Domanda per (in particolare) PietroBaima
Oggi ho imparato (per quelli che sono i miei mezzi, niente di profondissimo) che esiste una visione 'quantistica' di quello che è il campo elettromagnetico, in particolare una visione che spiega perché vicino a una carica il campo è forte e lontano il campo è debole.
A quanto pare, la carica è circondata da una nube di suoi messaggeri della sua posizione nello spazio (i fotoni) che vengono presi dalla banca della Natura e devono poi essere restituiti. Intorno alla carica insomma è presente una specie di effervescenza di messaggeri che appaiono, vivono per un po' andando a , e poi riscompaiono.
Siccome più è alta l'energia presa dalla banca, meno è il tempo che può essere trattenuta prima di essere restituita, una seconda carica ha la possibilità di percepire fotoni molto energetici solo vicino alla prima carica che li ha generati. Viceversa, fotoni spuntati fuori a minore energia, possono restare per più tempo, e quindi (siccome vanno a possono percorrere più spazio, quindi una carica lontana sente solo questi ultimi di fotoni, e non quelli più energetici che potrebbe sentire solo avvicinandosi (questi fotoni più energetici non avrebbero il tempo per arrivare "fin laggiù").
Deduco naturalmente quindi che: la legge (cioè, il fatto che l'esponente sia proprio 2) che vale nell'elettromagnetismo classico (Poynting) è conseguenza del fatto che e hanno proprio il valore che hanno (sarebbe una cosa incredibile...).
Se e avessero valori diversi da quelli che hanno, potrei rispettivamente trattenere per un tempo diverso fotoni più energetici o fargli percorrere uno spazio diverso nel loro tempo di vita, quindi modificherei proprio quell' .
E' una deduzione corretta?
Grazie in anticipo.
Immagine quantistica del campo elettromagnetico
Moderatori: IsidoroKZ, Ianero, PietroBaima
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Caro Ianero,
ogni tanto tiri fuori delle perle incredibili, e questa è una di quelle.
Ti devo confessare che ogni tanto non ti capisco, perché sembri avere delle lacune su cose che reputo fondamentali, mentre altre mi mostri una capacità deduttiva eccezionale.
Sei di gran lunga l'utente EY che mi appare più "problematico" (e spesso lo intendo come complimento).
Finito questo sproloquio senza senso cerco di risponderti.
La cromodinamica quantistica è la mia specialità e la sua applicazione all'ottica fisica è stata la mia tesi.
E' stata la teoria che di gran lunga mi ha affascinato di più e continua a farlo.
Se ti poni i i dubbi che hai esposto devi assolutamente studiarla, anche se farlo da solo è una impresa semplicemente titanica.
La tua deduzione è importante e tocca alcuni elementi di elettromagnetismo classico e teoria quantistica dei campi.
La descrizione del campo elettromagnetico come "effervescenza" di fotoni virtuali è una rappresentazione della visione quantistica del campo. Questi fotoni virtuali non sono come i fotoni reali che possiamo osservare (ad esempio, nella luce visibile), ma sono fluttuazioni quantistiche che mediano le interazioni elettromagnetiche tra particelle cariche e hanno proprietà diverse dai fotoni reali (anche se sono a loro equivalenti). Per giustificarti questa frase probabilmente dovrei usare quasi tutta la QED.
Però la legge dell'inverso del quadrato della distanza è una conseguenza della geometria tridimensionale dello spazio in cui viviamo. In uno spazio tridimensionale, una sorgente puntiforme emette onde sferiche; l'energia o il campo si distribuiscono su superfici sferiche la cui area cresce con il quadrato della distanza. Questo è il motivo principale per cui il campo (e quindi l'intensità dell'interazione) diminuisce con il quadrato della distanza. Questo è elettromagnetismo classico.
La costante di Planck (normale o ridotta) e la velocità della luce sono fondamentali nella teoria quantistica dei campi e nella relatività, ma il valore specifico dell'esponente nella legge 1/r^2 è principalmente una conseguenza della geometria dello spazio e non direttamente di h o c.
Tuttavia, h e c influenzano il comportamento delle interazioni a livello quantistico:
h determina la relazione tra l'energia di un fotone e la sua frequenza, e gioca un ruolo nelle fluttuazioni quantistiche.
c determina la velocità alla quale queste interazioni si propagano.
Il fatto che il campo elettromagnetico sia descritto dalla legge 1/r^2 è quindi legato al fatto che viviamo in uno spazio tridimensionale. Cambiare h o c oppure h e c modificherebbe le caratteristiche quantitative delle interazioni (come la forza delle interazioni a diverse distanze o le scale di lunghezza coinvolte), ma non cambierebbe l'esponente 2, che è legato alla dimensionalità dello spazio.
Consflusione?
La tua deduzione è valida nel riconoscere l'importanza di h e c nella teoria quantistica, ma l'esponente 2 della legge di distribuzione spaziale del campo elettromagnetico rimane una conseguenza della nostra geometria spaziale tridimensionale, indipendentemente dai valori specifici di h e c.
Questo finché non introduci la teoria delle stringhe, dove h e c hanno valori diversi a seconda della dimensione che consideri.
A tal proposito, mi hai fatto venire una curiosità che vado a vedermi...
Lo so che la mia risposta è molto approssimativa, ma per giustificartela bene servirebbe probabilmente raddoppiare lo spazio sul server che ospita EY
ogni tanto tiri fuori delle perle incredibili, e questa è una di quelle.
Ti devo confessare che ogni tanto non ti capisco, perché sembri avere delle lacune su cose che reputo fondamentali, mentre altre mi mostri una capacità deduttiva eccezionale.
Sei di gran lunga l'utente EY che mi appare più "problematico" (e spesso lo intendo come complimento).
Finito questo sproloquio senza senso cerco di risponderti.
La cromodinamica quantistica è la mia specialità e la sua applicazione all'ottica fisica è stata la mia tesi.
E' stata la teoria che di gran lunga mi ha affascinato di più e continua a farlo.
Se ti poni i i dubbi che hai esposto devi assolutamente studiarla, anche se farlo da solo è una impresa semplicemente titanica.
La tua deduzione è importante e tocca alcuni elementi di elettromagnetismo classico e teoria quantistica dei campi.
La descrizione del campo elettromagnetico come "effervescenza" di fotoni virtuali è una rappresentazione della visione quantistica del campo. Questi fotoni virtuali non sono come i fotoni reali che possiamo osservare (ad esempio, nella luce visibile), ma sono fluttuazioni quantistiche che mediano le interazioni elettromagnetiche tra particelle cariche e hanno proprietà diverse dai fotoni reali (anche se sono a loro equivalenti). Per giustificarti questa frase probabilmente dovrei usare quasi tutta la QED.
Però la legge dell'inverso del quadrato della distanza è una conseguenza della geometria tridimensionale dello spazio in cui viviamo. In uno spazio tridimensionale, una sorgente puntiforme emette onde sferiche; l'energia o il campo si distribuiscono su superfici sferiche la cui area cresce con il quadrato della distanza. Questo è il motivo principale per cui il campo (e quindi l'intensità dell'interazione) diminuisce con il quadrato della distanza. Questo è elettromagnetismo classico.
La costante di Planck (normale o ridotta) e la velocità della luce sono fondamentali nella teoria quantistica dei campi e nella relatività, ma il valore specifico dell'esponente nella legge 1/r^2 è principalmente una conseguenza della geometria dello spazio e non direttamente di h o c.
Tuttavia, h e c influenzano il comportamento delle interazioni a livello quantistico:
h determina la relazione tra l'energia di un fotone e la sua frequenza, e gioca un ruolo nelle fluttuazioni quantistiche.
c determina la velocità alla quale queste interazioni si propagano.
Il fatto che il campo elettromagnetico sia descritto dalla legge 1/r^2 è quindi legato al fatto che viviamo in uno spazio tridimensionale. Cambiare h o c oppure h e c modificherebbe le caratteristiche quantitative delle interazioni (come la forza delle interazioni a diverse distanze o le scale di lunghezza coinvolte), ma non cambierebbe l'esponente 2, che è legato alla dimensionalità dello spazio.
Consflusione?
La tua deduzione è valida nel riconoscere l'importanza di h e c nella teoria quantistica, ma l'esponente 2 della legge di distribuzione spaziale del campo elettromagnetico rimane una conseguenza della nostra geometria spaziale tridimensionale, indipendentemente dai valori specifici di h e c.
Questo finché non introduci la teoria delle stringhe, dove h e c hanno valori diversi a seconda della dimensione che consideri.
A tal proposito, mi hai fatto venire una curiosità che vado a vedermi...
Lo so che la mia risposta è molto approssimativa, ma per giustificartela bene servirebbe probabilmente raddoppiare lo spazio sul server che ospita EY
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PietroBaima
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PietroBaima ha scritto:Però la legge dell'inverso del quadrato della distanza è una conseguenza della geometria tridimensionale dello spazio in cui viviamo. In uno spazio tridimensionale, una sorgente puntiforme emette onde sferiche; l'energia o il campo si distribuiscono su superfici sferiche la cui area cresce con il quadrato della distanza.
Le onde sferiche di cui parli in questo contesto sono di probabilità, e non di campo elettromagnetico nel senso classico, è corretto?
Grazie.
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Caaavolo, grazie PietroBaima...
È questa "effervescenza di fotoni virtuali" la risposta alla domanda 2 ("Di che cosa è fatto il campo magnetico?") che mi fece mio figlio 9 anni fa?
[Campo magnetico] Domande di un bambino
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Ianero ha scritto:Le onde sferiche di cui parli in questo contesto sono di probabilità, e non di campo elettromagnetico nel senso classico, è corretto?
Grazie.
Nel contesto della tua domanda originale, la discussione era più focalizzata sulla visione quantistica del campo elettromagnetico e sull'idea di fotoni virtuali che mediano l'interazione tra cariche. Quando si discute del comportamento a livello quantistico possiamo parlare di "ampiezze di probabilità" per l'emissione o l'assorbimento di fotoni virtuali, ma quando ci riferiamo alla legge 1/r^2 questa legge è derivata dal comportamento del campo elettromagnetico classico in uno spazio tridimensionale.
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PietroBaima
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GuidoB ha scritto:È questa "effervescenza di fotoni virtuali" la risposta alla domanda 2 ("Di che cosa è fatto il campo magnetico?") che mi fece mio figlio 9 anni fa?
Il campo magnetico non è fatto di una qualche sostanza materiale, ma è una proprietà dello spazio che descrive come le forze magnetiche agiscono su cariche in movimento e dipoli magnetici. È una componente fondamentale del campo elettromagnetico e può essere descritto sia attraverso la fisica classica (come un campo vettoriale) sia attraverso la teoria quantistica dei campi per mezzo dei fotoni virtuali.
Ti faccio un esempio: se poni una biglia in mezzo ad un piano inclinato questa cade giù.
Tu puoi osservare il fatto che la pallina subisce una forza (di gravità) che la attira verso il basso oppure puoi dire che la geometria del piano inclinato è tale da favorire la discesa della pallina.
A livello ancora più microscopico puoi dire che la pallina scambia delle micropalline col piano inclinato e queste vengono riemesse leggermente più in basso ogni volta, in modo tale per cui per ricombinarsi fra di loro obbligano la pallina a scendere di un dx.
Sono punti di vista, tutti validi.
Se parliamo di meccanica classica possiamo credere che esistano le forze, altrimenti parliamo della geometria dello spazio(tempo) altrimenti parliamo di come i fotoni virtuali condizionano forze di carica che hanno l'effetto di formare uno spazio con certe proprietà.
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PietroBaima
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Io ero fermo al campo vettoriale (classico), che però ha tutta l'aria di essere un artificio di noi umani.
Cioè, è una costruzione matematica che ci permette di calcolare le forze di interazione, senza però spiegarne la vera natura o essenza.
La spiegazione della teoria quantistica dei campi attraverso i fotoni virtuali mi sembra faccia un bel passo in avanti nella comprensione di questa essenza.
Non ho le basi per andare oltre questa mia sensazione "istintiva" per dire che una descrizione è "più vera" dell'altra (o almeno applicabile in un ambito più generale). Comunque grazie delle spiegazioni.
Cioè, è una costruzione matematica che ci permette di calcolare le forze di interazione, senza però spiegarne la vera natura o essenza.
La spiegazione della teoria quantistica dei campi attraverso i fotoni virtuali mi sembra faccia un bel passo in avanti nella comprensione di questa essenza.
Non ho le basi per andare oltre questa mia sensazione "istintiva" per dire che una descrizione è "più vera" dell'altra (o almeno applicabile in un ambito più generale). Comunque grazie delle spiegazioni.
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Il discorso è che il mondo fisico noi lo immaginiamo a strati, perché la dura realtà è che la realtà fisica è troppo complessa per essere capita da noi poveri umani.
Per cui, per cercare di leggere qualche pagina dal libro dell'universo, quello che facciamo è cercare di studiarlo a strati.
Prima immaginiamo che ci siano le forze, senza avere l'obiettivo di capire da dove provengano e cosa le generi, e, così facendo, costruiamo la meccanica classica.
Parliamo quindi di forze (forza peso, forza centrifuga, forza centripeta, forza di Coriolis ecc. ecc. ...) e questo ci permette di spiegare alcuni comportamenti della natura.
Poi, quando siamo diventati sufficientemente bravi nel maneggiare le forze, a furia di fare esperimenti, troviamo qualcosa che non segue (anche di poco) il nostro bel castello teorico (per esempio il comportamento dell'orbita di Mercurio) oppure ci chiediamo quale sia l'origine delle forze, cosa le genera.
A questo punto la meccanica classica (quella teoria che noi abbiamo chiamato così e che si accontenta di osservare un fenomeno "macroscopico" quale sono le forze) non ci basta più.
A questo punto dobbiamo parlare di campi. A rigore se parliamo di campi non possiamo più parlare di forze.
Nella teoria dei campi le forze non esistono, essendo solo una manifestazione, un effetto, del campo stesso.
Diciamo però, spesso, che il campo magnetico "genera" una forza e qui si abusa un po' la notazione, perché quello che vogliamo dire é: "il campo magnetico è responsabile di quello che noi, macroscopicamente, osserviamo e chiamiamo forza".
Quando i campi non ci bastano più allora dobbiamo cercare di capire chi sia il responsabile dei campi e qui troviamo tutte quelle cose simpatiche che classifichiamo come particelle virtuali o particelle di scambio.
Il mondo, visto così, è una matrioska (infinita?) di teorie una dentro l'altra.
Quando diciamo che, per esempio, il bosone di Higgs è responsabile della massa intendiamo dire che è il responsabile del campo gravitazionale.
Alcune particelle riescono a non interagire col bosone di Higgs (i fotoni) e quindi diciamo che non hanno massa, intendendo dire che non sentono il campo gravitazionale.
Alcune altre interagiscono molto poco (i neutrini ad esempio) e altre interagiscono significativamente.
Se potessimo costruire una specie di gabbia di Faraday che scherma il bosone di Higgs (per ora non sappiamo proprio come fare), in quella gabbia non ci sarebbe il concetto di massa e il concetto di campo gravitazionale, la materia non potrebbe stare insieme e quella scatola avrebbe proprietà inconsuete.
Voglio dire che ogni sforzo che facciamo per comprendere la natura è un artificio umano. Può essere benissimo (e mi aspetto che lo sia) che la QCD sia l'approssimazione di qualcosa di più profondo, che è lì per dirci quanto siamo limitati mentalmente di fronte all'universo, che non è nulla di quello che approssimiamo, ma semplicemente un qualcosa di effimero chiamato realtà.
Meglio restare umili. O lo siamo noi di nostro o prima o poi ce lo ricorderà l'universo.
Per cui, per cercare di leggere qualche pagina dal libro dell'universo, quello che facciamo è cercare di studiarlo a strati.
Prima immaginiamo che ci siano le forze, senza avere l'obiettivo di capire da dove provengano e cosa le generi, e, così facendo, costruiamo la meccanica classica.
Parliamo quindi di forze (forza peso, forza centrifuga, forza centripeta, forza di Coriolis ecc. ecc. ...) e questo ci permette di spiegare alcuni comportamenti della natura.
Poi, quando siamo diventati sufficientemente bravi nel maneggiare le forze, a furia di fare esperimenti, troviamo qualcosa che non segue (anche di poco) il nostro bel castello teorico (per esempio il comportamento dell'orbita di Mercurio) oppure ci chiediamo quale sia l'origine delle forze, cosa le genera.
A questo punto la meccanica classica (quella teoria che noi abbiamo chiamato così e che si accontenta di osservare un fenomeno "macroscopico" quale sono le forze) non ci basta più.
A questo punto dobbiamo parlare di campi. A rigore se parliamo di campi non possiamo più parlare di forze.
Nella teoria dei campi le forze non esistono, essendo solo una manifestazione, un effetto, del campo stesso.
Diciamo però, spesso, che il campo magnetico "genera" una forza e qui si abusa un po' la notazione, perché quello che vogliamo dire é: "il campo magnetico è responsabile di quello che noi, macroscopicamente, osserviamo e chiamiamo forza".
Quando i campi non ci bastano più allora dobbiamo cercare di capire chi sia il responsabile dei campi e qui troviamo tutte quelle cose simpatiche che classifichiamo come particelle virtuali o particelle di scambio.
Il mondo, visto così, è una matrioska (infinita?) di teorie una dentro l'altra.
Quando diciamo che, per esempio, il bosone di Higgs è responsabile della massa intendiamo dire che è il responsabile del campo gravitazionale.
Alcune particelle riescono a non interagire col bosone di Higgs (i fotoni) e quindi diciamo che non hanno massa, intendendo dire che non sentono il campo gravitazionale.
Alcune altre interagiscono molto poco (i neutrini ad esempio) e altre interagiscono significativamente.
Se potessimo costruire una specie di gabbia di Faraday che scherma il bosone di Higgs (per ora non sappiamo proprio come fare), in quella gabbia non ci sarebbe il concetto di massa e il concetto di campo gravitazionale, la materia non potrebbe stare insieme e quella scatola avrebbe proprietà inconsuete.
Voglio dire che ogni sforzo che facciamo per comprendere la natura è un artificio umano. Può essere benissimo (e mi aspetto che lo sia) che la QCD sia l'approssimazione di qualcosa di più profondo, che è lì per dirci quanto siamo limitati mentalmente di fronte all'universo, che non è nulla di quello che approssimiamo, ma semplicemente un qualcosa di effimero chiamato realtà.
Meglio restare umili. O lo siamo noi di nostro o prima o poi ce lo ricorderà l'universo.
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PietroBaima
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PietroBaima ha scritto:Quando si discute del comportamento a livello quantistico possiamo parlare di "ampiezze di probabilità" per l'emissione o l'assorbimento di fotoni virtuali, ma quando ci riferiamo alla legge 1/r^2 questa legge è derivata dal comportamento del campo elettromagnetico classico in uno spazio tridimensionale.
Non ho capito.
Se le due visioni devono essere coerenti senza che emergano paradossi, deve succedere almeno che:
- se adotto la descrizione classica, il campo elettromagnetico si comporta come dicono le equazioni di Maxwell e spunta fuori l' per le onde elettromagnetiche. Fine della storia.
. se adotto la descrizione quantistica (quindi non parlo proprio più di campo elettromagnetico), i messaggeri che avvolgono le cariche si comportano come descritto dalle equazioni di Vattelapesca, le quali descrivono delle densità di probabilità (non dei campi) che parlano della possibilità di trovare dei messaggeri in certe zone dello spazio.
Ora, per non essere in contrasto con la visione classica, le equazioni di Vattelapesca devono avere come soluzione una densità di probabilità di forma sferica e che decresce come .
E' così?
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Cosa conosci di termodinamica e meccanica statistica?
Quando il numero di fotoni è grande e si considerano le medie statistiche la descrizione quantistica del campo elettromagnetico deve avvicinarsi alla descrizione classica.
In questo limite, la distribuzione di probabilità dei fotoni virtuali e la conseguente forza tra cariche deve riflettere il comportamento classico del campo, cioè decrescere come 1/r^2
Le "equazioni di Vattelapesca" che menzioni sono l'equivalente quantistico delle equazioni di Maxwell. In realtà sono le equazioni della teoria quantistica dei campi, che in effetti devono prevedere, in media, un comportamento del campo che corrisponda alla descrizione classica.
Quando si leggono quegli articoli divulgativi che spiegano lo spaziotempo che ribolle di particelle come un gas (che in realtà non sono molto esplicativi) fanno riferimento semplicemente al fatto che i fotoni virtuali sono tanti, per cui cominciamo a trattarli con la meccanica statistica. Che poi questa sia applicata anche ai gas è vero, certo...
Hai ragione nel dire che la descrizione quantistica del campo elettromagnetico (anche se solo entro un certo limite) deve restituire un comportamento che rispetta la legge classica dell'inverso del quadrato della distanza. Le densità di probabilità associate ai fotoni virtuali devono avere una struttura tale che, nella media, il campo che producono rispecchi la distribuzione sferica e la dipendenza da 1/r^2 che emerge nella descrizione classica. Questa coerenza tra le due teorie è una delle ragioni per cui la fisica quantistica è considerata una generalizzazione della fisica classica che include sistemi in cui si utilizza la descrizione termodinamica statistica, dato che le particelle quantizzate di campo sono numerose.
Se invece consideriamo la teoria delle stringhe, sostanzialmente possiamo sviluppare lo spazio tempo in serie di Taylor e considerare solo i primi termini dello sviluppo e trovare che le tre dimensioni che percepiamo sono solo quelle non trascurabili per la nostra scala, per cui è logico che percepiamo la legge di distribuzione delle energie che segue 1/r^2. Se lavorassimo a scala più piccola dovremmo includere ulteriori termini. Finora la teoria delle stringhe riesce a speculare bene fino a 11 dimensioni, oltre andrebbe rinormalizzata, ma per ora non ci è ancora riuscito nessuno.
Quando il numero di fotoni è grande e si considerano le medie statistiche la descrizione quantistica del campo elettromagnetico deve avvicinarsi alla descrizione classica.
In questo limite, la distribuzione di probabilità dei fotoni virtuali e la conseguente forza tra cariche deve riflettere il comportamento classico del campo, cioè decrescere come 1/r^2
Le "equazioni di Vattelapesca" che menzioni sono l'equivalente quantistico delle equazioni di Maxwell. In realtà sono le equazioni della teoria quantistica dei campi, che in effetti devono prevedere, in media, un comportamento del campo che corrisponda alla descrizione classica.
Quando si leggono quegli articoli divulgativi che spiegano lo spaziotempo che ribolle di particelle come un gas (che in realtà non sono molto esplicativi) fanno riferimento semplicemente al fatto che i fotoni virtuali sono tanti, per cui cominciamo a trattarli con la meccanica statistica. Che poi questa sia applicata anche ai gas è vero, certo...
Hai ragione nel dire che la descrizione quantistica del campo elettromagnetico (anche se solo entro un certo limite) deve restituire un comportamento che rispetta la legge classica dell'inverso del quadrato della distanza. Le densità di probabilità associate ai fotoni virtuali devono avere una struttura tale che, nella media, il campo che producono rispecchi la distribuzione sferica e la dipendenza da 1/r^2 che emerge nella descrizione classica. Questa coerenza tra le due teorie è una delle ragioni per cui la fisica quantistica è considerata una generalizzazione della fisica classica che include sistemi in cui si utilizza la descrizione termodinamica statistica, dato che le particelle quantizzate di campo sono numerose.
Se invece consideriamo la teoria delle stringhe, sostanzialmente possiamo sviluppare lo spazio tempo in serie di Taylor e considerare solo i primi termini dello sviluppo e trovare che le tre dimensioni che percepiamo sono solo quelle non trascurabili per la nostra scala, per cui è logico che percepiamo la legge di distribuzione delle energie che segue 1/r^2. Se lavorassimo a scala più piccola dovremmo includere ulteriori termini. Finora la teoria delle stringhe riesce a speculare bene fino a 11 dimensioni, oltre andrebbe rinormalizzata, ma per ora non ci è ancora riuscito nessuno.
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PietroBaima
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