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Antefatto
Negli anni '90 la General Motors realizzò la EV1, una iconica coupè elettrica disponibile solo a noleggio in leasing. Era molto innovativa e apprezzata dai suoi fortunati possessori, nonostante l'autonomia modesta, il costo elevato e altri difetti (la prima serie montava le antidiluviane batterie al piombo). La ricarica era solo casalinga mancando completamente una rete di ricarica pubblica. Ne fabbricarono solo 1100 senza soddisfare tutta la domanda del mercato che era superiore. Dopo pochi anni di produzione, nonostante il successo, anzichè cercare di migliorare la tecnologia elettrica, G.M. decise di interrompere per sempre il progetto di auto elettrica, distruggendo quasi tutte le EV1 perché non ne rimanesse traccia.
Le EV1 piacevano troppo: quando prima o poi le batterie fossero state migliorate e i costi ridotti, avrebbero ucciso il ben più lucroso business delle auto tradizionali e dei combustibili. L'era delle auto elettriche ebbe una battuta di arresto della durata di circa 10 anni.
Nel 2006 uscì il film documentario Who Killed the Electric Car? ispirato alla EV1. L'allora amministratore delegato della G.M., intervistato anni dopo, ammise che l'abbandono dell'auto elettrica fu il suo più grande errore.
Era ovvio che, prima o poi, qualcun altro si sarebbe messo a costruire auto elettriche. Altrettanto ovvio che la tecnologia e il mercato delle batterie, trascinati anche da altre applicazioni, nel frattempo, sarebbero progrediti, rendendo le auto elettriche sempre più fruibili e apprezzate da un pubblico sempre più ampio.
Gli inizi
Chi scrive, ha avuto l’occasione per motivi professionali di seguire la “nuova era” dell’auto elettrica al suo nascere che, convenzionalmente, si fa coincidere con l’uscita della prima Nissan Leaf e della Mitsubishi i-MiEV attorno al 2010 (se ne vede ancora qualcuna in circolazione anche in Italia). Trattandosi di progetti completamente nuovi e non di elettrificazione di auto nate non elettriche, il loro sviluppo ovviamente era iniziato diversi anni prima. Avevo avuto occasione di provarle entrambe. Assieme era stato sviluppato il sistema CHAdeMO, il primo sistema multimarca per la ricarica in corrente continua, con il quale anche in Europa si fecero le prime stazioni "veloci" (tra l'altro, settore nel quale l'industria europea divenne leader). Erano auto molto costose e dalla autonomia limitata quindi, per forza di cose, destinate a una nicchia di automobilisti. Tuttavia, erano prodotti tecnologicamente molto maturi, innovativi, attraenti e divertenti da guidare. Anche se i numeri assoluti non furono straordinari, in alcuni paesi molto elettrici come al Norvegia la Leaf ebbe un discreto successo entrando nella classifica delle dieci auto più vendute. Era ovvio che tutti i costruttori dovettero in qualche modo interrogarsi sul futuro delle auto elettriche. Era chiaro a tutti che l’unico problema delle auto elettriche era la batteria. Non appena fossero state disponibili batterie migliori (miglior densità kWh/kg, minore costo, migliore potenza di ricarica, migliore durata di vita…) non ci sarebbe più stato motivo per utilizzare auto a combustibile che sarebbero divenute di colpo inutilmente complesse e obsolete. In tutto il mondo la ricerca sulle nuove batterie, già allora, era il focus di molte industrie al quale dedicavano importanti investimenti. Era l’inizio di quella rivoluzione tecnologica che avrebbe sconvolto l’industria automobilistica della quale alcuni sembrano accorgersi con quindici anni di ritardo.
In quegli anni, avevo anche avuto riunioni con due importanti case costruttrici europee (una notoriamente molto scettica sull’elettrico). Entrambe non avevano dubbi che prima o poi tutte le auto sarebbero diventate elettriche. Si trattava di capire quando e come, chi sarebbe dovuto soccombere, chi sarebbe sopravvissuto alla rivoluzione elettrica. L’ibrido, in tutte le sue varianti, sarebbe stato solo una fase di transizione, sia pure molto lunga, mentre l’idrogeno una nicchia. Era iniziata allora la transizione elettrica (non oggi), per tutti i costruttori, sia pure in tempi e modi diversi. Passare all’elettrico non era una opzione, era necessario, una questione di vita o di morte, un fatto inevitabile. Chi non fosse passato all’elettrico per tempo era destinato a scomparire. Se non si faceva l'auto elettrica, qualcun altro l'avrebbe fatta comunque e, prima o poi, avrebbe conquistato il mercato. Si trattavo solo di aspettare l'inevitabile evoluzione tecnologica delle batterie.
Se non si poteva arrestare la rivoluzione elettrica, come aveva fatto dieci anni prima la G.M., almeno andava governata e affrontata per tempo.
Allora si pensava che i giapponesi sarebbero diventati i leader dell’auto elettrica, invece altri hanno preso il sopravvento. I giapponesi, intuendo che i cinesi sarebbero stati più concorrenziali con le auto a batteria, pur senza dismettere l'auto elettrica come aveva fatto dieci anni prima l'industria americana, virarono sull’ibrido, dei quali sono leader, e sull’idrogeno, che non ha mai preso piede. Nello stesso periodo, per la cronaca, avevo anche provato una Honda FCX a idrogeno che era di qualche anno più datata (la prima Honda FCX prodotta in serie era del 2007).
Lo sviluppo delle nuove versioni della Leaf proseguì a rilento, con il risultato che dopo pochi anni fu superata nelle vendite e nelle prestazioni dai nuovi modelli elettrici americani ed europei. La piccola Mitsubishi, pur restando in listino ancora per anni anche marchiata Peugeot e Citroën, non fu mai rinnovata e divenne presto obsoleta.
I giapponesi, soprattutto Toyota, rallentando lo sviluppo delle auto a batteria, hanno guadagnato qualche anno di supremazia nelle ibride, ma hanno perso il vantaggio nelle auto elettriche (ritardo che potranno recuperare in poco tempo).
Il caso Tesla
Furono due i pionieri che diedero il via alla transizione elettrica dopo la falsa partenza di G.M. e dei giapponesi. Innanzitutto Tesla, nata dal nulla nel 2003 ispirandosi alla defunta G.M. EV1. Per i primi dieci anni di vita, Tesla fu un marchio sconosciuto alla maggioranza, i cui prodotti erano destinati a una ristretta cerchia di milionari appassionati un po’ eccentrici, che preferivano spendere dai 60.000 ai 100.000 $ per una elettrica pura anzichè per una prestigiosa berlina a combustibile di pari prezzo fabbricata da Mercedes, BMW, Audi. Le Tesla furono le prime auto di serie a montare costosissime batterie al litio e a superare la soglia di 300 km di autonomia, segnando la strada che poi fu seguita da tutti gli altri. Dal 2012, con l’uscita all'inizio in sordina della Model S, iniziò il successo inarrestabile del costruttore americano in tutto il mondo. Tesla, a differenza di tutti gli altri costruttori che avevano il lucroso business delle automobili tradizionali da difendere, partiva direttamente dalla tecnologia elettrica. Non aveva nulla da perdere a sviluppare al meglio l'auto elettrica!
Alcuni “esperti” sentenziavano che l’auto elettrica era un fenomeno passeggero e che Tesla era destinata al fallimento. Tesla, nel frattempo, non sembrava dare ascolto a tali voci: aumentava la produzione di auto, costruiva nuovi stabilimenti in America, Germania e Cina, portava sulle strade nuovi modelli, installava sempre più stazioni di ricarica con tante colonne da 150 kW e più. Ormai le auto Tesla sono abbastanza diffuse persino in Italia, nonostante il prezzo non alla portata di tutti e, soprattutto, sono molto apprezzate dai loro proprietari, nonostante i mille difetti che le sono attribuiti. Oggi Tesla è una spina nel fianco dei più prestigiosi costruttori europei, tedeschi in particolare, nei cui segmenti preferenziali Tesla ha portato via quote importanti di mercato ( https://www.motorisumotori.it/tesla-sempre-piu-vicina-a-audi-mercedes-e-bmw/97977?utm_term=facebook_seb&utm_medium=sebmotori&utm_source=facebook_seb ). Ormai, nei segmenti medio e superiore, anche in Italia Tesla è ai vertici delle classifiche di tutte le auto vendute, battendo tanti modelli a combustiìbile. Intanto, proprio in questi giorni, Tesla ha annunciato una ulteriore piccola sforbiciata del listino (suscitando le proteste dei concorrenti) ed è in arrivo la nuova Model 2. Se anche Tesla fallisse, il suo giro di mercato è così importante che qualcuno ne raccoglierebbe l’eredità.
Se qualcuno non l'aveva ancora capito, il successo di Tesla era ed è la prova evidente che un futuro fatto di sole automobili elettriche non solo era possibile ma molto probabile! C’era da allarmarsi non poco! Cosa sarebbe successo quando sarebbero state disponibili batterie più economiche? Cosa sarebbe successo se, oltre a Tesla, ci fossero stati altri costruttori solo elettrici tra loro in concorrenza? Cosa sarebbe successo se l’elettrico si fosse allargato nei segmenti delle piccole o delle medie? Scendere in campo con le complicate ibride ricaricabili, un po’ elettriche un po’ no, come si affrettarono a fare i costruttori tedeschi, non servì a rallentare la crescita di Tesla.
Tesla ha insegnato due cose. Innanzitutto, che l’auto elettrica può anche essere un’auto grande, di prestigio, destinata a lunghi tragitti, che piace molto anche a chi può permettersi di spendere 50.000 o 100.000 euro per un’auto di un certo livello. Smentendo con i fatti chi si ostina ad affermare che le auto elettriche vanno bene solo se piccole, per percorsi cittadini. Poi, ha insegnato che l’auto elettrica prende piede solo se è disponibile una buona rete di ricarica veloce sul territorio (e Tesla per questo se la fece per conto suo senza aspettare nessuno).
La Cina
L’altro grande pioniere dell’elettrico e delle batterie sono stati l’industria e il governo cinesi. Agli inizi del nuovo millennio, i cinesi avevano capito da subito che spostando il paradigma da pistoni e petrolio a batterie ed elettricità, avrebbero colto in contropiede l’industria europea ed americana, e avrebbero giocato un ruolo di leader nell’industria automobilistica del futuro. Per la cronaca, in Cina le elettriche pure hanno già raggiunto nel 2022 il 21% del mercato, al quale si aggiunge un 9% di ibride ricaricabili: quote superiori a quelle europee.
Per i costruttori cinesi di automobili è difficile arrivare a vendere in Europa con i loro brand (BYD, SAIC, Chery, Geely, Aiways...) ma già ci sono arrivati (in Germania ho visto diverse fiammanti BYD, e anche in Italia circola qualche Aiways). La storica marca inglese MG (Morris Garages) acquisita dalla SAIC è diventata a tutti gli effetti cinese e vende elettriche anche in Italia con un interessante rapporto costi prestazioni. I cinesi hanno quindi preso il controllo di diverse industrie europee molto prestigiose, spingendole verso l’elettrico puro: Volvo, Mercedes, Smart, Lotus,…
Un pericoloso precedente sono stati i bus urbani ove, per diversi motivi, la transizione elettrica è più veloce che per le automobili private: i costruttori cinesi si sono dimostrati temibili concorrenti delle case europee spingendole ad affrettare la conversione all'elettrico.
Ma soprattutto i cinesi si candidano a fornitori di tecnologia, delle batterie in particolare, che le industrie europee sono in ritardo nello sviluppare.
Se qualcuno ha paura dell'industria automobilistica cinese (l'auto elettrica è un regalo all'industria cinese si sente ripetere), più che tentare di rallentare l'avvento dell'auto elettrica ormai imminente anche da parte di quasi tutta l'industria automobilistica europea, farebbe bene a non ostacolarlo e accelerare la conversione all'elettrico delle industrie europee ritardatarie, comprese quelle italiane, anziché lasciare il campo libero ai cinesi.
È poco lungimirante e inefficace ostacolare l'evoluzione tecnologica perché essa sarebbe vantaggiosa per l'industria concorrente, come quella cinese, e comprometterebbe la supremazia consolidata dall'industria tradizionale. L'auto elettrica è stata volutamente ignorata da circa trenta anni a questa parte dalla grande industria automobilistica internazionale, sin quando non è più stato possibile rinviare ancora.
Il gioco si fa pericoloso
Il gioco per i costruttori tradizionali si fa estremamente pericoloso. Guai ai costruttori che non si saranno preparati per tempo al "salto". Sono due i pericoli.
Innanzitutto, muoversi in ritardo. L’uscita di una nuova batteria, di un nuovo modello elettrico o di un nuovo fabbricante outsider, può di colpo ribaltare il mercato e condannare alla disfatta chi ancora produce con la vecchia tecnologia. Lo sviluppo di auto elettriche moderne ed efficienti, compresa la fornitura delle necessarie batterie, richiede anni e tanti investimenti.
Poi, è un pericolo anche muoversi troppo presto. Si verrebbe soffocati sul mercato dai concorrenti tradizionali avvantaggiati, per diversi anni, dal minore costo e dalla maggiore fruibilità della tecnologia precedente (non è infrequente qualche pubblicità delle auto "senza spina"). Non solo, si potrebbe puntare sulla tecnologia sbagliata quando di lì a poco un’altra più moderna potrebbe rivelarsi migliore.
Ricordiamoci di Fisker, la ibrida ricaricabile anti-Tesla: a detta dei suoi sostenitori avrebbe dovuto prevalere per la maggiore versatilità rispetto a una elettrica pura come la Tesla (si faceva rifornimento in pochi secondi da un qualunque distributore di benzina), ma è stata un flop. In realtà, chi poteva permetterselo, ha preferito acquistare una Tesla, nonostante i limiti di una elettrica pura che, evidentemente, tanto problematici non sono. Ricordiamoci di Fiat, che dopo aver apparentemente snobbato l'auto elettrica (in realtà la stava sviluppando), è scesa in campo con un modello azzeccato e redditizio, percorrendo la strada che era già stata aperta a fatica da altri.
Siamo a metà del guado
Da diversi anni tutte le case automobilistiche europee hanno avviato la transizione verso l’elettrico, passando dall’ibrido come tecnologia di transizione. Chi più velocemente, chi meno. Spesso lo hanno fatto un po' in sordina, senza pubblicizzare i prodotti che ancora non vendevano ma erano già disponibili da parte di altri. Casomai, mentre sviluppavano l'auto elettrica, volevano che si vendessero ancora molte auto endotermiche che tra qualche anno saranno da sostituire con... elettriche (ci ricordiamo tutti quando circa cinque anni fa Sergio Marchionne in pubblico sparava a zero sull'auto elettrica mentre la stava sviluppando!). Molti modelli elettrici sono già in vendita e presto ne usciranno di altri. Le auto elettriche che escono oggi, sono state decise e concepite almeno 5 anni fa. Sino a qualche tempo fa, la novità era un nuovo modello elettrico. Ormai quasi tutti i nuovi modelli saranno elettrici e la notizia sta nel fatto che per un po' saranno ancora previste motorizzazioni termiche. La produzione delle automobili a combustibile proseguirà per qualche anno, ancora da definire, per poi essere interrotta. Se qualche casa automobilistica non ha ancora ufficializzato questa scadenza, non significa che non abbia già avviato la transizione: semplicemente non l’ha resa pubblica in attesa di una scadenza regolamentare uguale per tutti.
Intanto, tra Tesla, i cinesi e gli europei, le elettriche hanno raggiunto circa il 10% del mercato mondiale, compresi i paesi meno industrializzati, partendo dallo 0,..% di circa 10 anni fa. Tutto ciò con le difficoltà, i limiti, i costi elevati delle elettriche odierne. Pensiamo a quello che accadrà nei prossimi anni, con una maggiore offerta di modelli elettrici, più concorrenza, più volumi, minori costi, maggiori prestazioni, un numero sempre maggiore di stazioni di ricarica sul territorio. Nei paesi più “avanti”, come la Norvegia, la quota di elettriche è già molto maggiore, attorno all’80%.
Per altri interessanti dati sulle auto elettriche si può consultare il sito
https://www.ev-volumes.com/ .
Secondo alcuni osservatori nel 2025 si raggiungerà il “punto di pareggio”: si venderanno sempre più auto elettriche perché saranno convenienti per quasi tutti i segmenti, l’andamento delle vendite potrebbe avere una accelerazione improvvisa. Se poi queste previsioni fossero sbagliate, se non sarà il 2025 ma il 2026 o il 2028, il discorso di massima a medio termine non cambierà. Tra il 2025 e il 2030, con una migliore offerta di automobili elettriche e più stazioni di ricarica, anche buona parte di chi oggi disdegna l'auto elettrica, probabilmente senza nemmeno averla provata, inizierà spontaneamente a preferire l'elettrico. Si pensa che il mercato norvegese sia il mercato pilota, che anticipa quello europeo di circa 5 anni. Nel 2030 il mercato europeo delle elettriche dovrebbe aver raggiunto il 90% del nuovo.
L’Unione Europea
Le multinazionali dell’auto, comprese quelle europee, hanno avuto tabelle di marcia diverse muovendosi in ordine sparso. Ci sono quelli che hanno già compiuto la totale transizione all’elettrico (Smart), quelli che sono più avanti e vorrebbero accelerare, quelli che vorrebbero rallentare. Ci sono stati anche curiosi “sorpassi”: la Fiat per diversi anni la più scettica contro la tecnologia elettrica con la 500e è saltata ai vertici delle vendite europee nel suo segmento, scalzando la Renault ZOE che fu diversi anni la reginetta delle utilitarie elettriche, ed ha annunciato più di un anno fa la totale transizione entro il 2030 ( https://www.alvolante.it/news/tutte-fiat-saranno-elettriche-entro-il-2030-373677 ). Non è da meno Mercedes che entro il 2030 cesserà la denominazione EQ perché tutte le Mercedes saranno elettriche ( https://www.newsauto.it/notizie/mercedes-solo-elettrica-2030-2021-326746/ ).
La direzione ormai è la stessa per tutti. Quasi tutte le case già da tempo hanno annunciato per i prossimi anni la fine o quasi della tecnologia endotermica per date che vanno dal 2025 al 2035. Lo sviluppo di nuovi modelli termici ormai è agli sgoccioli, poi saranno presentati solo modelli elettrici. Si può ipotizzare che dal 2050 (tra quasi 30 anni!) non ci saranno quasi più veicoli a combustibile in circolazione. È molto probabile che per motivi di anagrafe io non possa essere presente.
I costruttori, adesso, cercano di muoversi assieme, cercano accordi e regole comuni. E qui entra in gioco l’Unione Europea che non fa altro che rendere legge le proposte delle principali lobby europee.
La Commissione Europea, fissando il termine del 2035 se verrà confermato (tra dodici anni !), non ha fatto altro che ufficializzare e fissare per tutti una scadenza in linea con la maggior parte dei programmi delle case automobilistiche. Per quale motivo lo ha fatto? Non si poteva lasciare tutto al mercato e alle decisioni dei costruttori? Lo ha fatto per fissare tempistiche uguali per tutti, per dare certezza al mercato, per evitare che qualche fabbricante minoritario controcorrente si costruisca il ruolo di unico fornitore della vecchia tecnologia. Per svegliare qualche azienda ritardataria o movimento politico o di pensiero che ancora non si è accorto della rivoluzione elettrica o vi ci si oppone apertamente. Soprattutto per proseguire senza incertezza nella installazione delle necessarie stazioni di ricarica senza le quali l'auto elettrica non può essere utilizzata adeguatamente (in Italia molte aree di servizio ne sono ancora prive, così come buona parte del sud).
Chi oggi si stupisce del 2035 (ripeto: tra dodici anni), magari chiedendo una deroga, dimostra solo di non conoscere le strategie industriali ormai avviate da anni. Qualcuno veramente crede che, a parte un eventuale slittamento di qualche anno, si può pensare di arrestare tutto e tornare indietro da un percorso iniziato dalle grandi multinazionali automobilistiche circa 10 anni fa? Chi è giustamente preoccupato per la filiera italiana dei componenti deve essere informato che la maggior parte dei costruttori ha già deciso di smettere con la tecnologia endotermica nel giro di 5 anni, al massimo 10. Se non si saranno adeguati in tempo alla nuova tecnologia a chi venderanno i loro componenti?
Se anche l'Unione Europea decidesse di ritirare tutto e di non introdurre alcun limite temporale ai motori termici, la rivoluzione ormai avverrebbe ugualmente ma in modo un po' più difficile e disordinato.
Probabilmente è ormai inevitabile che molte auto elettriche saranno costruite in Cina o in altri paesi low cost, soprattutto quelle più a buon mercato, almeno parte dei loro componenti come la batteria sarà cinese. Tuttavia se l'industria automobilistica europea, italiana in particolare (quello che resta), saprà effettuare con decisione il salto tecnologico, per molti anni potrà essere mantenuta in Europa buona parte della produzione. Al contrario, se si insistesse nel voler mantenere in vita a tempo indeterminato (oltre il 2035) la tecnologia tradizionale in Europa, sarebbe inevitabile che tra pochi anni tutte le auto siano importate dalla Cina.
Chiaro che trasformare la rivoluzione elettrica, già in fase molto avanzata, in un obbligo imposto dall'alto, sarà un'ottima occasione per reclamare incentivi sempre molto graditi all'industria! (molto graditi, per altro, anche in passato quando si trattava di far sostituire automobili a combustibile con altre automobili a combustile senza un vero salto tecnologico).
Per la cronaca, non è solo l’Unione Europea ad aver fissato il termine del 2035. Il quinquennio del 2030-2035 quale periodo di transizione è nella pipeline della maggior parte dei paesi industrializzati (la grande Cina per il 2035, idem il Canada o l’Australia, 2025 per la Norvegia, tra il 2030 e il 2035 per il Regno Unito). Per avere scadenze più in là nel tempo, bisogna guardare ai paesi non industrializzati, che comunque seguiranno a ruota (magari acquistando auto elettriche di seconda mano).
E l’idrogeno?
Come dice Nicola Armaroli, l’auto a idrogeno è un’arma di distrazione di massa. Spesso preferita "ad occhi chiusi" all’auto elettrica da chi nulla sa nè dell'una nè dell'altra, e neanche sa di energetica. Su vantaggi e svantaggi delle auto a idrogeno avevo già scritto questo articolo sei anni fa ( https://www.electroyou.it/6367/wiki/auto-elettrica-o-auto-a-idrogeno ), che è ancora valido. Concludevo sei anni fa dicendo che gli anni successivi sarebbero stati decisivi per la diffusione delle auto a idrogeno. Da allora le stazioni di rifornimento idrogeno in Europa sono arrivate a ben 214 (ne sono state aperte di nuove, ma altre sono state chiuse per inutilizzo), mentre nel frattempo le stazioni pubbliche di ricarica elettrica, di varia potenza, ormai sono a quota 400.000 circa, alle quali va aggiunto un numero smisurato di punti di ricarica privati con quali si effettua la maggior parte del rifornimento delle auto elettriche. Le auto a idrogeno non sono per nulla escluse dall’Unione Europea. Però, pur arrivando sul mercato almeno dieci anni fa da parte di diversi costruttori, a differenza delle auto elettriche, le auto a idrogeno hanno avuto una diffusione scarsissima. Bisogna prendere atto che oggi le auto a idrogeno sono assenti dai programmi delle grandi case automobilistiche, oppure hanno un ruolo marginale ( https://insideevs.it/news/617056/mercedes-auto-elettrica-idrogeno-efuel/). Recentemente è stata presentata la BMW iX5, versione a idrogeno del nuovo suv elettrico della casa bavarese, suscitando l’entusiasmo dei fan dell’idrogeno. Tuttavia, molti non hanno notato che si tratta di una flotta pilota, per la quale non è al momento prevista la produzione di serie (per la cronaca, la percorrenza wlpt è di soli 504 km).
L’ultima casa automobilistica a difendere la tecnologia a idrogeno che ha contribuito a inventare e a portare sul mercato nel 2015, è la Toyota spesso citata dai detrattori delle auto elettriche. Eppure anche la Toyota ha già lanciato modelli completamente elettrici e, di recente, ha annunciato una virata verso l’elettrico ( https://insideevs.it/news/618284/toyota-accelera-auto-elettriche/).
L’idrogeno potrà essere di interesse per altre applicazioni, per esempio i veicoli pesanti, le navi o le acciaierie, ma non per le automobili. Anche per i veicoli pesanti, tuttavia, in molti dubitano del successo dell’idrogeno e prevedono anche qui un sostanziale vantaggio della tecnologia a batteria (va anche ricordato lo sviluppo da parte delle industrie europee del Megawatt Charging System, il nuovo sistema di ricarica destinato ai veicoli pesantti https://www.electroyou.it/forum/viewtopic.php?f=53&t=86617 ). Vedremo.
Lo stesso discorso vale per tutte le tecnologie “alternative”, come il battery swapping o gli e-fuel o i biocarburanti, che piacciono tanto ai detrattori delle auto elettriche, probabilmente senza mai averne capito a fondo vantaggi e svantaggi. Sono tecnologie già prese in considerazione dall’industria automobilistica, a volte già messe in produzione con risultati deludenti, e ormai destinate solo ad applicazioni di transizione (e-fuel, biocarburanti) oppure di nicchia (battery swapping), se non completamente defunte. Per esempio, leggo di Honda che, dopo aver annunciato la svolta verso l'elettrico per recuperare il tempo perduto, propone gli e-fuel solo per far... durare la tecnologia dei motori termici cinque anni in più! Un po' come se dicessero: va bene, transitiamo all'elettrico, ma siamo rimasti indietro, per piacere, potete aspettarci solo per un po'?
Chi non è d'accordo con le auto elettriche, dall'alto delle sue conoscenze, può sempre farsi assumere da qualche grande gruppo automobilistico e convincerlo a cambiare le sue strategie industriali!
Fotocamere digitali? Roba da ragazzetti
Chi è meno giovane ha vissuto un’altra importante rivoluzione tecnologica i cui numeri, tuttavia, sono stati assai meno impattanti sull’industria e l’economia globale di quanto non sia quella automobile. Su scala ridotta, è stata una rivoluzione tecnologica che ha fatto scuola e che per certi versi ha molte analogie con quella dell'auto elettrica. Si tratta della fotografia digitale. Le prime macchine fotografiche elettroniche comparvero negli anni ’70 dopo 100 anni di fotografia chimica (Kodak). Erano apparecchi molto costosi e di scarsa qualità per impensierire l’industria della fotografia tradizionale (macchine fotografiche, pellicole, kit chimici, laboratori, negozi,…).
La tecnologia dei sensori e delle memorie elettroniche, tuttavia, piano piano continuava a progredire. Nel 1984 la Toshiba inventava la memoria “flash” che sarebbe stato il rullino del futuro. Negli anni ’80 e ’90 numerosi fabbricanti presentano le loro prime macchine fotografiche digitali. Avevano ancora molte limitazioni ed erano costose per una diffusione di massa, tuttavia il loro acquisto e utilizzo non era improponibile come dieci anni prima. Tanto i fotografi più evoluti, quanto gli amatori meno esigenti, però, restavano fedeli alle macchine fotografiche tradizionali. I primi per la maggiore qualità, i secondi perché la nuova tecnologia costava troppo.
Gli anni '90 erano anche l’epoca degli scettici: “vuoi mettere la qualità della carta fotografica? L’elettronica non potrà mai sostituirla”, “Fotocamere digitali? Roba da ragazzetti”, “con quello che costa mi compro una reflex vera”, “i veri fotografi utilizzeranno sempre la pellicola”, ecc. In origine, lo sviluppo e stampa presso i laboratori richiedeva alcuni giorni di attesa. Si portava il rullino al negozio e dopo qualche giorno si ritirava la busta con le fotografie. Nel frattempo molti negozi nelle città e nelle località turistiche si erano attrezzati con attrezzature di photofinishing per consegnare le fotografie in meno di un’ora, rendendo la fotografia più agile e veloce. Per qualche anno fu un business promettente (mi ricordo le affollate fiere specializzate a Milano).
Kodak, leader storico della fotografia con una solida base anche in Italia, fu incerta nel salto, sempre a metà strada tra la tecnologia tradizionale e quella futura. Intuendo che la perdita del business dello sviluppo e stampa della fotografia era maggiore delle potenzialità del mercato digitale, Kodak e altri lanciarono nel 1996 l’APS (Advanced Photo System), nuovo moderno formato di pellicola chimica con qualche funzione elettronica che avrebbe dovuto contrastare l’avanzata della fotografia digitale. Sappiamo come è andata a finire: dopo pochi anni l’APS era un flop commerciale, schiacciato da un lato dai rullini tradizionali che andavano benissimo ancora ampiamente diffusi, dall’altro lato dalla fotografia digitale sempre più popolare e a buon mercato.
Cosa sia successo dal 2000 in poi lo sappiamo tutti. La fotografia tradizionale non esiste più, spazzata via dalla nuova tecnologia; la macchina fotografica è diventata il telefono cellulare. Che ne è stato degli innumerevoli fabbricanti (Kodak, Polaroid, Agfa, Fuji, Ilford, 3M, Canon, Nikon, Contax, Minolta, Leica, Hasselblad…) e dei tanti addetti ai lavori anche in Italia? Chi ha saputo fare il salto tecnologico al momento opportuno e nel modo opportuno è ancora sul mercato. Gli altri hanno chiuso, o si sono drasticamente ridotti, o hanno cambiato mestiere. Nuovi leader sono diventati i protagonisti della fotografia (Apple, Samsung, Huawai, Sony…), nuovi mestieri fanno uso della fotografia digitale che ormai è di uso quotidiano per tutti (a iniziare da chi sta sui "social"), anche per coloro che una volta erano riluttanti.