---------- 1976, una notte ------
“Ben, sett cuss ca t’ho da dir, Fabiòla?”1
Mia nonna, novant’anni, si è svegliata, si è seduta sul letto ed ha acceso la luce.
Sono le quattro del mattino.
Mia mamma dorme, ma mia nonna la sveglia.
Le deve dire qualcosa di importante.
Molto importante.
Mamma insonnolita la osserva, mentre nonna tiene lo sguardo fisso davanti a sé.
Guarda nella specchiera del comò la sua immagine riflessa, poi fissa l'armadio.
O meglio guarda oltre l'armadio, oltre il muro, nel buio della notte.
Vi pullulano immagini della sua lunga vita che si accavallano, senza rispetto di sequenze temporali.
L’incontro con il nonno, la sua casa ora deserta e chiusa, i quarantasei anni di servizio come maestra elementare, i cinque figli, le difficoltà economiche, le due guerre mondiali, i quattro anni di lontananza dal nonno nella prima guerra, la paura dei bombardamenti nella seconda.
Nella successione dei figli c'è un buco di cinque anni: 1911 Fausto; 1913 Miranda; 1914 Alfonso; 1919 Fabìola, a quasi trentaquattro anni. Poi riposo per altri quattro anni, ed arriva anche Albino.
Le due guerre non hanno portato via per sempre nessuno, e questa è stata una fortuna.
La prima ha solo impedito che i figli, invece di cinque, fossero otto o nove.
Poi ecco, appaiono i numerosi scolari delle pluriclassi, una media di una cinquantina di allievi, con punte di ottanta. Sono quelli che l’hanno fatta diventare “la maestra” del paese. Sono gli anni del duce in cui anche, tutto sommato, lei aveva fiducia.
Poi, arrivano i primi nipoti, la pensione, la televisione, nuove incertezze, debolezze, nuove paure, la vecchiaia.
I figli la lasciano sola con il suo Giuàn, per formare la loro famiglia più o meno lontano dal paese. Per lei inizia la solitudine progressiva che tocca a tutti, inesorabile e definitiva, pur mitigata dal sentire che la sua vita si è propagata ai nipotini.
Insomma nel buio della notte qualcuno proietta sequenze di immagini, che ora osserva come spettatrice, mentre ricorda di esserne stata la protagonista, con passione, impegno, amore e preoccupazioni.
Qual è il senso che dovrebbero comunicarle?
Lei si è tanto adoperata per arrivare a cosa?
A essere vecchia?
A non sentirsi più indispensabile?
A camminare a fatica?
A confondere gli anni?
Ad abbandonare la sua casa, che ora è là, chiusa e vuota dopo la morte del nonno, che l'aveva accompagnata, bene o male, per tutto un tragitto di quasi settant’anni?
Quella casa che era il suo ambiente, dove quasi tutto è successo?
Dove c’erano cani, gatti, vigneti, cantina, polli, anatre, tacchini, oche, orto, tutto insomma quel che serviva per una vita che sembrava avere un senso?
Quel senso ora scomparso nel vortice che ruota nel buio oltre il muro dietro l'armadio?
Cos’erano e dove sono finite le ansie di farcela?
Perché c’erano?
Si fa strada un pensiero, uno strano pensiero che le sembra una risposta definitiva alle domande che le ingombrano la mente, un pensiero semplice che vuol comunicare alla figlia, ma non solo a lei, al mondo intero che le ha spremuto l'esistenza.
“Cuss’ela sta roba ca t’ghé da dirm ale quàtar d’la matina”2 le chiede Fabìola.
Nonna, sempre seduta sul letto, sempre con lo sguardo fisso su tutti i suoi ricordi che ribollono, affiorano, vanno, vengono, si intrecciano, evaporano, riappaiono, si ricompongono...
“A mi, cara Fabiòla, am’n’inporta più gnént ad gnént e ad nissùn!”3
Ciò detto, lentamente torna a distendersi, poggia la testa sul cuscino, tira su la coperta e chiude gli occhi per catturare il sonno interrotto dal temporale dei ricordi.
Fabìola spegne la luce e sfiora con una mano i lisci capelli bianchi della vecchia mamma, immersa nella sua confusa e misteriosa avventura finale.
[1] Bene, sai cosa ti devo dire, Fabìola?
[2] Cos'è questa cosa che devi dirmi alle quattro del mattino?
[3] A me, cara Fabiola, non importa più niente di niente e di nessuno
Libro
il racconto è inserito anche in questo libro cartaceo