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Una sera, fine anni ottanta...
Tuo papà ...
"Too pà l'era propria un tastòn: s'al s'matéa 'n testa na roba, 'n gh'era gnent da far!" 1
Mamma conclude il racconto, e nei suoi occhi c'è rammarico per discussioni inutili, ma anche orgoglio.
Anni '30, periodo fascista, tempo d'elezioni
Mio papà fascista non era. L'ideale comunista lo aveva affascinato perché si proponeva l'eliminazione di ogni disuguaglianza, causa prima di ogni guerra. Lui si sentiva un pacifista: Gandhi, Tolstoj, Marx le stelle del suo firmamento, non Mussolini con la sua odiosa retorica bellica!
"Le vutaziòn iera fate acsì: a t'andaséi déntar e i t'daséa do schede. Su una a gh'era scrit SI, e su cl'altra NO, e i ta dgéa: questa t'la meti chi, e st'altra lì!" 2
Papà entra nel seggio per rendere pubblico il suo rifiuto di quella farsa.
Scandalo! Minacce di botte.
Lui è inflessibile. Gracile e debole, ma deciso nella difesa dei suoi ideali.
"Ma dai, Remo, che ti metti nei guai. Ormai le cose vanno così e allora vota come ti dicono... così poi danno la tessera anche a te e potrai lavorare. Gli ideali non te li ruberà nessuno. Pensa intanto alla pelle ed alla pagnotta!" gli dicevano gli altri che, in attesa di un coraggio che non c'era, pragmaticamente si adeguavano.
"To nono al m'l'a cuntàda tante olte!" 3.
Nonno era scrutatore. Lui era fascista come la maggioranza, ma non per meditate motivazioni ideologiche: per praticare caccia e pesca, le uniche attività che faceva volentieri, occorreva la licenza, e se si possedeva la tessera del fascio non c'erano problemi.
"Immagina cus ga gh'interesàa dla tèssara a tòo pà ... gnent!" 4
Voleva che si sapesse che lui non era d'accordo, che se tutti si chinavano e dicevano sì, c'era almeno qualcuno che diceva no.
"Mèi vergh le braghe rote int'al cul, che 'l cul rot int'le braghe" 5 replicava
Sosteneva che le cose sarebbero cambiate, ed allora si sarebbe visto chi aveva avuto ragione.
"Sì, iè cambiàde, ma sèt cum ch'iera i so cumpàgn? Cumpàgn a chiàltar, iera!" 6
I più furbi hanno ottenuto vantaggi, lui niente. Voleva risolvere i problemi dell'umanità, lui.
"Figurémas! Al ghea l'upiniòn publica int'la testa! A l'en vista l'upiniòn publica quand ch'i sa butà fora ad ca!" 7
Abitavamo, nei primi anni '50, in affitto nel centro del paese. Pagavamo regolarmente l'affitto, ma il padrone disse che gli occorrevano le nostre due stanze. Subito. Noi non sapevamo dove andare.
"A vdren s'i g'ha al curàgg ad butàrs fora, con l'upiniòn publica contra" 8 diceva papà.
Il sindaco era comunista e papà pensava di trovare solidarietà anche nelle istituzioni.
"I gh'l'à bu al curagg, e i sa butà fora a la piòa, con tut le nostre tampline!" 9
Il sindaco disse a mia madre che non poteva farci nulla.
"Eco, a cus ch'l'è sarvìda l'upiniòn publica! Ma lu l'era fat acsì" 10.
Io non frequentavo ancora la prima elementare, e ricordo quei giorni piovosi in cui, senza capire la gravità di quanto successo, trovavo curioso aggirarmi tra i mobili ammassati all'aperto.
Nel silenzio che segue la pausa nel racconto, guardo mamma negli occhi. Poi, entrambi, chiniamo la testa, consapevoli che c'è qualcosa, orgoglio, speranza, chissà mai cosa, in questo tutto che ci trasforma e ci cancella, che ci unirà per sempre.
Primo dopoguerra
L'esaltazione fascista produsse inevitabilmente la guerra.
Alla fine della guerra a papà, segretario del Partito in quanto fondatore in pieno fascismo della cellula del PCI nel paese, fu affidata la custodia un magazzino del CLN. Furono affidate a lui le chiavi perché si sapeva che non ne avrebbe approfittato, neanche se fosse morto di fame.
Ma un giorno si accorge che dal magazzino è sparito tutto. Forse furono proprio alcuni tra suoi "amici" del CLN che fecero il colpo, e ci fu il compagno dell'ultima ora che fece insinuazioni sul suo conto.
Fu il primo segno di riconoscenza per il coraggio e la coerenza dimostrate quando gli altri se la facevano sotto.
Molti divennero antifascisti. Può darsi che lo fossero anche prima, ma nessuno se n'era mai accorto.
Beh, comunque siano le cose, mio zio Albino, ventiduennne, fu denunciato perché fascista. Furono proprio i nuovi antifascisti, quelli che insieme a lui avevano lavorato per la TODT sotto i tedeschi.
Una sera zio Bino va a ballare e la notte non torna.
" In du saràl mai andà cal putlét’, la dgéa to nona, in du saràl mai andà!"
In parsòn i l'ea miss!
L'era sta Gigèt.
E ala matina, i ven a ciapàr anca to nono!.. L'ea fat purasé ,lu, come fascista!"
Gerbamàsch', al giometra, ch' l'era brav a tgnir i pé in do scarpe, a m'dis:
"Va là Fabiòla, non capisco come sia successo (parché al parlàa anch in italian) ma a gh' matarò mi na parola bona!" 11.
Sapeva benissimo com'era successo. Ad ogni modo la cosa si concluse bene, e tutto passò in dimenticatoio per l'opinione pubblica.
"Ma mi a n'am son minga dismangàda e a n'am dismangarò più" 12.
Primi anni di matrimonio.
Mamma conobbe papà poco dopo la fine della guerra.
Non ho mai saputo come, ma ad un certo punto dovevo nascere io. Ed io ho sempre avvertito un'atmosfera densa di mistero, quasi celasse un messaggio che dovevo capire, nel fruscio dei pioppi sulle rive del Po.
Il matrimonio avvenne in un mattino dell'estate del '47, alle sei.
Invitati, nessuno. Testimone, il campanaro e non so se zio Albino o zio Alfonso.
Viaggio di nozze a Bologna: andata e ritorno in giornata.
A dirlo così viene da ridere e si pensa: poveretti, chissà che divertimento!
Eppure in mamma c'era il desiderio di tornare in gita a Bologna. Voleva mostrarmi San Luca ed un giorno ci andammo tutti e tre, e fu molto bello.
Nei primi anni del dopoguerra la povertà era quasi assoluta.
Mio padre era stato a Torino per qualche tempo, finita la guerra. Lì aveva lavorato come artigiano di pellami, tradizionale mestiere della sua famiglia che, fin verso la fine degli anni '20 poté vivere dignitosamente confezionando finimenti per cavalli, collane in particolare. L'avvento e la successiva affermazione delle automobili tolse loro molti introiti e non seppero rinnovarsi. Papà aveva conservato una buona abilità ed un discreto amore per quel lavoro. Si era recato a Torino per metterlo a frutto. Là aveva confezionato perfino scarpe di cuoio per i cani degli Agnelli.
"Par le bestie da cla zent lì, insòma, ch'i magnàa i turtlìn e too pà l'era famà!" 13 .
Ad ogni modo gli era andata bene, ed al ritorno al paese aveva messo da parte quarantamila lire.
Era una bella sommetta per l'epoca, e si era presentata l'occasione di acquistare una casa con trenta pertiche di terreno. Qui mio papà dimostra tutto il suo fiuto per gli affari, sui quali prevalgono sempre di gran lunga i sentimenti.
"Lu, a Castelnòv a'n ga vléa più star!" 14.
Le delusioni non erano mancate e il desiderio di far sapere a tutti che il paese l'aveva deluso era forte. Ma sai cosa importa agli altri delle tue delusioni! Era meglio cogliere l'occasione e mettere al riparo i risparmi e non affidarsi ad essi per una fuga densa di incognite. L'inflazione era in agguato, e mio padre nemmeno immaginava a che punto sarebbe arrivata.
"A i tegn in banca i me schei, e po' a vdren, al dgéa. E acsì, in poch temp, chi quarantamila franc iè dvantà un pugn ad mosche!" 15.
Dal paese non poté più andarsene, e forse non lo desiderava. Così ritentò con il suo antico mestiere, finimenti per cavalli. Ne costruì per Tano Ziùli, ma al momento di riscuotere ricevette prima alcuni rifiuti, poi venne invitato ad un incontro sull'argine del Po e qui minacciato con una pistola.
"’Al ma vléa cupàr!"’
"E ti andar là, ca t'se chi l'era Tano!""
"Mi a vagh dapartùt, 'n g'ho paura ad nissùn, mi!"
"Ma Tano l'era propria un delinquént" 16.
Un giorno, abitavamo alla Cabina, passa una macchina a tutta velocità, e poi un'altra ed un'altra ancora. Un vero inseguimento.
"Sula prima a gh'era Tano, su chialtre zent chi vléa fàral fòra!" 17.
Tutti cercavano un lavoro. In certi i casi il prete era in grado di fare qualcosa, ma molti poveri, come mio papà, disgraziatamente erano comunisti.
"Beh, alora ch'i crepa" 18
erano le sue parole cristiane; del resto si trattava di scomunicati.
"A na gh'gnéa minga in ment che i putìn da cal comunista i gh'ea fam cme chiàltar!" 19.
Papà tenta allora l'avventura artigiana nella lavorazione delle pelli.
Acquistata un'attrezzatura minima, una macchina da cucire, qualche forbice, qualche pinza, un po’ di filo, un po’ di cuoio, iniziò a costruire borse. Con i suoi manufatti partecipava ai mercati.
"A l'iutàa anca mi, e at gnèi tante olte anca ti, at ieri zà grandìn, al marcà dla Màssa" 20.
"Ma a gh'era pochi schei par tutti e i le matéa zo e pochi, trop pochi, i cumpràa. A m'gnéa na ràbia!"
21
Non avemmo il successo economico sperato. Io non mi accorsi della progressiva nuova sconfitta, e ricordo solo che i bei trasferimenti sul carretto delle borse finirono.
Sembra impossibile, ma questa attività riuscì ad infastidire qualcuno. Invidia, non si sa di che del resto, visto il volume degli affari. Così un giorno arrivano a casa nostra le finanze. Vogliono controllare il laboratorio. Dopo aver visto la macchina da cucire e qualche altro arnese dicono: “Tutto qui?"
Sorridono con tristezza e prima di andarsene, quasi per scusarsi, aggiungono: "Sa signora, i vicini parlano e…".
"A staséan in piàza, ad sicùr l'era sta Baùr; che po', a lu, cuss a gh'interessàa, ch'al vandéa stofe!" 22.
Un giorno arrivò un cinese da Bologna. Si chiamava Gino ed aveva fatto qualche fornitura a papà. Doveva riscuotere tremila lire. Io, bambino, gli faccio molte feste, gli salto in braccio, si vede che mi risulta simpatico per gli occhi stretti e ridenti. Gino rimane gradevolmente sorpreso della festosa accoglienza. Pranza con noi e papà gli spiega che i soldi per saldare il debito non ci sono ancora. Il cinese capisce e non li pretende:
"Me li darete quando potrete" disse, e tornò a Bologna e quei soldi non li pretese più.
"Di schei a gh n'era pochi, e na olta tòo pà al perd al tacuìn in du ca gh'era tut i nòstar" 23.
Con noi viveva zia Gonda, sempliciotta sorella di papà, che mi insegnava un suo interessante linguaggio.
"Questo è il cappottino" mi dicevano ad esempio gli altri.
"No", strillavo io, "no cappottino, Gonda dis paputìn" 24 ed io volevo chiamarlo così: era più bello secondo me.
Papà dunque racconta a mamma di aver perso il portafoglio. Mamma è disperata. Provano a cercarlo ripercorrendo la strada fatta. Niente da fare, del portafoglio non c'è traccia. Gonda segue con curiosità l'evento e osservando la grande tristezza di mamma e papà commenta seria e convinta:
"Mama mia! Chissà cum ch'i s'è gudèst quei ca l'ha catà!" 25
Cessata l'attività artigianale, papà si trova disoccupato. L'unico lavoro che gli capita alla soglia dei cinquant'anni, è la campagna dello zuccherificio, a Sermide, un lavoro stagionale.
Ma un anno mamma trova un posto parziale e provvisorio: segretaria alla scuola media di Castelmassa per alcune ore: dodicimila lire al mese. Quell'anno il collocatore non fa chiamare mio padre per la campagna dello zuccherificio: c'è già mia madre che guadagna. Mamma allora va nel suo ufficio e lo aggredisce verbalmente per quella giustificazione che riteneva ridicola. Ma le cose non cambiarono. Mamma maledisse il collocatore che, arrivato in paese senza nulla, in pochi anni, con quel mestiere che era al servizio dei poveri, "l'è dvantà un siòr" 26. Come fece? Tangentopoli doveva ancora venire, ma forse si stavano gettando le basi.
Il tempo attenuò la rabbia e fece dimenticare la maledizione, ma gli eventi andarono come se quella maledizione si fosse verificata. Non vuol dir nulla, ma fa un certo effetto pensarci!
Tuo nonno...
"To nono l'era un tip particulàr; l'era bùrbar in cà, invézi fora i dgéa: ah, che simpàtic chl'è Giuàn!. Quand che nuàltar tri a sen gnu star a Lendinara, to nono al m'a dà zinquantamila franc. A na m'al sarìa mai immaginà! Quand ca m'son maridàda, gnanc al s'era alzà dal let!" 27.
Mamma non aveva mai visto suo papà piangere e non pensava che ne fosse capace, ma nell'allungargli quei soldi non riuscì a nascondere le lacrime. Era vecchio e sentiva la vita affacciarsi ad una solitudine vasta, e l'energia consumata da pensieri una volta impossibili.
Non partecipò al matrimonio e quel giorno si trovò solo a casa.
Durante il pranzo nuziale, zio Albino gli telefonò.
Zio Albino, l'ultimo figlio, era stato la forza della sua vecchiaia da tempo iniziata, nella cura del vigneto, nella produzione del vino, nella raccolta del fieno, del piccolo "loghetto".
Nonno il telefono non l'aveva mai sfiorato, nemmeno con lo sguardo; per lui era una cosa inutile e parlare a quell'affare di plastica lo avrebbe fatto sentire ridicolo e stupido.
Il telefono squillava ed il nonno l'avrebbe ignorato come il solito, ma quella volta lì sentì la solitudine, alzò gli occhi dal giornale, capì che all'altro capo del filo c'era qualcuno che avrebbe desiderato vicino, si alzò faticosamente dallo sdraio, si avvicinò al telefono e alzò la cornetta. Ascoltò in silenzio come procedeva il matrimonio, quindi aggiunse prima di interrompere la conversazione:
"Ma ricordat che chi nualtar a gh sem 'ncora!" 28.
Zio Albino sentì la voce malferma e capì che l'interruzione nascondeva un groppo che annebbiava gli occhi di lacrime.
Note
- Tuo padre era proprio cocciuto (letteralmente, un testone): se si metteva in testa una cosa non c'era niente da fare
- Le votazioni erano fatte così: entravi e ti consegnavano due schede. Su una c'era scritto SI e sull'altra NO, e ti dicevano: qusta la metti qui e quest'altra lì.
- Tuo nonno me l'ha raccontato molte volte.
- Immagina cosa interessava della tessera a tuo papà!.Niente!
- Meglio avere i pantaloni rotti nel sedere che il sedere rotto nei pantaloni!
- Si, sono cambiate, ma sai com'erano i suoi compagni? Uguali agli altri erano!
- Figuriamoci! Lui aveva in testa l'opinione pubblica. L'abbiamo vista l'opinione pubblica quando ci hanno sfrattato!.
- Vedremo se hanno il coraggio di buttarci fuori con l'opinione pubblica contro.
- Lo hanno avuto il coraggio e ci hanno sloggiato con tutte le nostre masserizie.
- Ecco cos'è servita l'opinione pubblica! Ma lui era fatto così.
- Dove sarà andato quel ragazzo! Dove sarà mai andato. In prigione l'avevano messo. Era stato Gigetto. E al mattino vengono a prendere anche tuo nonno, perché aveva fatto molto lui come fascista! Gerbamaschi, il geometra, che era bravo a tenere il piede in due scarpe, mi dice: aspetta, Fabìola, non so come sia successo ma ci metterò io una parola buona
- Ma io non ho dimenticato e non dimenticherò più.
- Per le bestie di quella gente lì, insomma, che mangiavano i tortellini e tuo papà era affamato.
- Lui, a Castelnovo non ci voleva più abitare.
- Li tengo in banca i soldi, poi vedremo, diceva, e così, in poco tempo, quelle quarantamila lire sono diventate un pugno di mosche.
- Mi voleva uccidere. E tu andare là!. Io vado dappertutto, non ho paura di nessuno, io. Tano era proprio un delinquente.
- Sulla prima c'era Tano sulle altre gente che volevano farlo fuori.
- Beh, che nuoiano allora!
- Non pensava che i bambini di quel comunista avevano fame come gli altri
- Lo aiutavo anch'io, e venivi molte volte anche tu, eri già grandicello, al mercato di Castelmassa.
- Ma c'erano pochi soldi per tutti, e la rimettevano giù e pochi compravano. Mi veniva una rabbia!
- Abitavano in piazza, quasi certamente era stato Bavuro, che poi cosa gli interessava che vendeva stoffe.
- Soldi ce n'erano pochi e un giorno tuo papà perde il portafoglio con tutti i nostri.
- Gonda dice.
- Mamma mia chissa come si sono divertiti quelli che l'hanno trovato!
- E' diventato ricco
- Tuo nonno era un tipo particolare, era burbero in casa, invece fuori dicevano: ah, com'è simpatico Giovanni! Quando noi tre siamo venuti ad abitare a Lendinara, tuo nonno mi diede cinquantamila lire. Non me lo sarei mai immaginato. Quando mi sposai non si alzò nemmeno dal letto!
- Ma ricordati che qui noialtri ci siamo ancora.
Libro
il racconto è inserito anche in questo libro cartaceo