Chi insegna una materia tecnica nel primo anno del triennio di un
ITIS, sente la necessità di iniziare con il ripasso delle principali
grandezze fisiche e delle loro unità di misura, fondamentali e derivate.
C'è sempre una leggera esitazione nel farlo poiché l'argomento,
in sé fondamentale, ha qualcosa di poco appassionante, che prelude
ad un'insoddisfazione generale. Eppure l'insegnante sa bene come
sia importante la padronanza delle unità di misura, non solo per
la corretta distinzione delle grandezze fisiche, ma anche per riconoscerne
l'ordine di grandezza .
Cosa c'è di appassionante nell'imparare a memoria la definizione
di metro o di secondo? La loro arbitrarietà può anche apparire
irritante, ma riflettendo su di essa ricercandone le motivazioni
storiche, può iniziare un'indagine dagli sviluppi impensati e coinvolgenti.
Per quale motivo il metro è quello che è? O il secondo? O il chilogrammo?
Prima ancora che nascesse la fisica, lo scambio di merci e la necessità di spostamento resero necessario un riferimento per lunghezze,
distanze, tempi, pesi.
Naturale che tutto fosse definito sulla base delle dimensioni del
corpo umano e della sua esperienza quotidiana.
Così l'unità di lunghezza poteva essere la lunghezza del braccio,
l'unità di tempo una frazione del giorno, e l'unità di peso, cui
è associata la quantità di materia, cioè la massa, qualcosa di
comodo che una mano poteva tenere. Il problema che s'imponeva
per le lunghezze era l'accordo su quale uomo considerare per definire
il braccio, il piede od il pollice. Non siamo tutti uguali fisicamente,
nemmeno all'interno di uno stesso gruppo etnico. Già nel 1150 d.c.
Davide I di Scozia decretò che il pollice dovesse essere la media
della larghezza della base dell'unghia del pollice di un uomo alto,
di un uomo piccolo e di uno di statura media. Ogni gruppo etnico
o nazione inventava i riferimenti più comodi sulla base delle proprie
abitudini sociali e nessuno era disposto a rinunciare alle proprie
unità a favore di quelle di altri. Ci volle addirittura la Rivoluzione
francese per iniziare una razionalizzazione. Le unità di misura
dovevano rispondere al principio dell'eguaglianza. Liberté, egalité,
fraternité era il motto sancito dalla rivoluzione, ed in tal senso
l'Assemblea Nazionale promulgò una legge nel 1791 sulle unità di misura. Nel
1799 si realizzarono campioni appositi cui fare riferimento per
le unità di lunghezza e massa, da conservare negli archivi della
nuova repubblica francese.
La standardizzazione progressivamente si rendeva necessaria pur
seguendo un andamento che oscillava con le vicende storiche. In
Francia ed in Inghilterra i campioni definiti erano diversi, ma
il processo era iniziato ed il progresso della scienza, la necessità
degli scambi di merci ed informazioni, avrebbe fatto il resto, anche
nei riguardi dell'esigenza di definire i multipli ed i sottomultipli
dell'unità di riferimento. Ha finito con il prevalere, sotto quest'ultimo
aspetto, il sistema metrico decimale, anche se le unità anglosassoni
come libbra o iarda hanno lottato per rimanere, dando origine anche
ad un incredibile errore, per quel che riguarda almeno le spiegazioni
ufficiali, che fu alla base del fallimento della sonda spaziale
su Marte nel 1998.
Lo sviluppo della fisica sempre più rapido ed imponente, mise in
crisi, almeno per certi aspetti, la scelta delle grandezze campione.
Erano grandezze antropometriche, mentre, della natura studiata dalla
fisica, l'uomo non è che uno dei tanti componenti; un sistema complesso,
importante indubbiamente, almeno per se stesso, ma per nulla privilegiato.
L'uomo ha, con il suo progresso tecnico, acquisito un discreto controllo
dei fenomeni fisici sulla scala che lo riguarda, ma è ancora insignificante
nell'evolversi degli eventi non solo cosmologici, ma anche terrestri.
Un terremoto, un uragano, per non parlare delle reazioni atomiche
stellari, non si curano di uno o tanti microscopici condensati semiliquidi
mobili, per quanto pensanti siano, che si aggirano sulla superficie
del nostro pianeta. La fisica e le sue leggi appaiono indipendenti
dall'uomo; anzi l'uomo è destinato ad accettarle come sono: non
le può modificare.
Appare allora quanto meno singolare che la spiegazione e la misura
di questi fenomeni si basi su oggetti di cui solo l'uomo ha esperienza.
Sì, è vero, la scienza nasce soprattutto per conoscere e risolvere
problemi tipicamente umani, ma la sua evoluzione ha posto il problema
se sia l'uomo a decidere com'è fatto il mondo o se sia il mondo
ad essersi evoluto con leggi proprie, indipendenti dall'uomo e che
hanno prodotto l'uomo. Se vogliamo è un problema antico: cosa siamo,
come funzioniamo, perché ci siamo, cos'è l'universo. Dalle religioni
mitologiche, alle prime spiegazioni dei filosofi greci basate sulla
nuda ragione, alle religioni più elaborate, astratte, più o meno
umanizzate, la ricerca della risposta alle eterne domande, si è
affacciata alla porta della ricerca scientifica. La scienza pur
consapevole di un' incapacità di rispondervi definitivamente, forse
necessaria, si è comunque resa conto che le sue basi avrebbero dovuto
essere sempre più indipendenti dalle particolari esigenze umane.
Il sistema uomo nell'universo, sia come massa che come dimensioni,
è a metà strada tra l'ultrapiccolo, il modo delle particelle elementari,
e l'ultragrande, le galassie. Non sappiamo se ci sia un significato,
né se la ricerca di questo significato abbia un senso. Probabilmente
è un caso, ma che il caso non abbia un significato è, pare, smentito
tanto dall'evoluzione che dalla fisica quantistica.
Per uscire comunque da domande che forse rimarranno sempre senza
risposta, o almeno senza una risposta che ci soddisfi, torniamo
al problema delle unità di misura.
La proliferazione di unità che si stava imponendo nel XIX secolo
in ogni ramo dell'industria e del commercio, poteva anche andar
bene per chi si limitava a svolgere l'attività all'interno di un
settore specifico, ma era quantomeno bizzarra, e, per chi era alla
ricerca di una conoscenza della natura non frammentaria, senz'altro
immotivata e fonte di equivoci.
Ma non c'era solo l'aspetto della varietà delle unità: si cominciava
anche a porre sotto critica i campioni che potevano essere standardizzati.
Per quanto ben conservati, non potevano essere veramente costanti,
costituire dunque un riferimento inequivocabile. E non erano universali:
come spiegare ad una eventuale civiltà extraterrestre com'è il nostro
campione di massa, o di metro senza spedirglielo?
Certo, dal punto di vista delle comuni attività umane, si tratta
di problemi di poco conto, ma è un principio di conoscenza vera
da cui progressivamente non si potrà prescindere.
Fu Maxwell che, nel 1870, in un discorso alla British Association
for the Advancement of Science, fece presente che le unità di misura
non avrebbero dovuto essere collegate ad oggetti particolari, come
metri o chilogrammi campione, che, anche se perfettamente conservati,
non possono essere costanti. Possono perdere od acquistare molecole
e l'unità di misura del tempo non può essere costante, riferita
com'è al moto della terra, il quale, seppure lentamente, è soggetto
a molteplici variazioni. Egli proponeva un riferimento alle molecole
in cui individuava le uniche entità non soggette a variazioni: vere
costanti naturali dunque. La sua idea, in definitiva, era trovare
ciò che in natura, in ogni luogo ed in ogni tempo potesse essere
ritenuto costante e fare di esso il vero campione per le unità di
misura. L'obiettivo era stato individuato: occorreva tracciare la
strada per arrivarci.
George Johnstone Stoney, un eclettico fisico irlandese, nel 1874
si propose di individuare nella fisica delle costanti vere che potessero
definire il superamento dei limiti imposti dalle unità di misura
antropometriche ed antropocentriche. Partì dalla legge di Newton
ed ipotizzando la sua validità in ogni parte dell'universo, ipotesi
convalidata dalle precise previsioni dei moti celesti che essa consentiva,
assunse che la costante di gravitazione G, fosse identica in ogni
punto dell'universo. Ricordiamo che nelle nostre abituali unità il valore della costante è
G=6,67259...10-11
m3s-2kg-1.
La seconda costante che Stoney ritenne di dover considerare fu la
velocità della luce, c=3.108ms-1 che, tra l'altro, la teoria elettromagnetica di Maxwell aveva dimostrato
essere pari all'inverso della radice quadrata del prodotto della
costante dielettrica e della permeabilità magnetica del vuoto, stabilendo
un inscindibile legame tra luce ed elettromagnetismo. Stoney non
sapeva ancora quanta importanza avrebbe assunto la costanza della
velocità della luce. Einstein nel 1905 sulla base di quest'ipotesi
elaborò la teoria della relatività ristretta che, ampliata nel 1916
nella teoria della relatività generale, era destinata a rivoluzionare
i concetti di spazio e tempo.
Infine Stoney propose come terza costante universale la carica dell'elettrone, e, il cui valore era ancora da scoprire; non solo,
l'elettrone stesso era ancora da scoprire, cosa che avvenne nel
1897. Stoney ne ipotizzava comunque un valore teorico ed in base
ad esso dimostrò che erano esprimibili in maniera univoca, sulla
base delle tre costanti G, c, e, nuovi campioni
di massa, lunghezza e tempo.
MS=(e2/G)1/2
=10-10 chilogrammi
LS=(G.e2/c4)1/2=10-37
metri
TS=(G.e2/c6)1/2=3.10-
46 secondi
Sono le prime unità costruite senza finalità umane pratiche, indipendenti
dalle dimensioni umane, determinate unicamente dalla struttura della
realtà fisica. Le prime unità indipendenti dall'uomo ed indifferenti
all'uomo, come testimoniano del resto gli inavvicinabili valori
dell'unità di tempo e di lunghezza. Il loro significato però non
era chiaro, il tutto appariva un esercizio matematico sterile. Eppure
il modo in cui ci si era arrivati ed il valore che assumevano possedeva
qualcosa che sembrava andare oltre la semplice curiosità
L'idea delle costanti universali naturali fu ripresa nel 1899 da
Max Planck. Anch'egli scelse la costante di gravitazione e la velocità
della luce, ma al posto dell'elettrone propose la costante d'azione
o costante di Planck appunto, h, che stabilisce
la quantità minima con cui può variare l'energia in natura: il quanto
di energia dunque. Anche Planck combinò le tre costanti G,c, h,
per trovare le unità naturali di lunghezza tempo e massa:
LP=(G.h/c3)1/2
= 4,13.10-35
metri
MP=(h.c/G)1/2
= 5,56.10-
8 chilogrammi
tP=(G.h/c5)1/2=1,38.10-
43 secondi
Considerando infine un'ulteriore costante, la costante di Boltzmann
k che converte energia in temperatura, aggiunse
TP=(1/k).(h.c5/G)1/2
= 3,5.1032
kelvin
A condizione che la legge di gravitazione e quella di propagazione
della velocità della luce nel vuoto rimangano valide, le grandezze
proposte da Planck come unità di misura, saranno sempre uguali in
ogni luogo e tempo dell'universo. Egli le riteneva dunque le unità
di misura naturali, poiché extraumane, prescindevano cioè da qualsiasi
esigenza pratica dell'uomo.
Ma che cosa rappresentano i valori di Planck, le unità che lui stesso
definiva naturali?
La velocità della luce è una costante e sappiamo a cosa si riferisce,
ma MP, LP, tP, TP hanno
un'entità fisica che vi corrisponde?
Una risposta non è stata fornita. Neppure Planck lo seppe fare ma
per lui rappresentavano la prova di una realtà fisica distinta dall'attività
della mente umana proprio per il fatto che i loro valori non avevano
attinenza con oggetti direttamente percepibili dall'uomo, nonostante
si fosse giunti ad essi mediante grandezze scelte originariamente
per comodità umane. Rappresentavano qualcosa che, in un certo senso,
definiva la struttura della natura.
Gli sviluppi della cosmologia, alla fine degli anni sessanta del
ventesimo secolo, portarono ad una loro interpretazione proprio
in questa direzione.
Le unità di Planck segnano i confini delle nostre conoscenze teoriche,
fissano, come dire, "dei paletti". Ci dicono cioè fino a quali limiti
sono applicabili le teorie elaborate per interpretare i fenomeni
fisici.
Due sono le principali teorie del ventesimo secolo: la teoria della
relatività e la meccanica quantistica. La prima descrive correttamente
fenomeni fisici in cui i corpi si muovono a velocità prossime alla
velocità della luce, o quando la forza di gravità è molto intensa.
La seconda definisce con precisione, poiché le sue previsioni sono
rigorosamente confermate, il comportamento del mondo microscopico,
a livello dell'atomo. Le due teorie si applicano a livelli diversi
di realtà, sembrano incomunicabili, ma quando inizia la validità
dell'una e finisce quella dell'altra, o meglio quando è necessario
utilizzare l'una piuttosto dell'altra? Non solo, ma fino a quando
sono valide?
Le unità naturali di Planck sono attualmente la risposta al quesito.
Se l'intera massa dell'universo occupasse uno spazio di dimensioni
inferiori ad LP, avesse un'età inferiore a tP
ed una temperatura superiore a TP, nessuna delle due
teorie è applicabile. Ne occorre una nuova capace di unificarle.
Dal punto di vista pratico la cosa non sembra interessarci molto,
diciamo la verità, però è un grande problema di conoscenza. E' una
teoria che sarebbe in grado di descriverci l'origine dell'universo
rispondendo scientificamente alle domande che spesso citiamo sorridendo,
perché la loro secolare assenza di risposta ci fa apparire inutile
la loro incessante riformulazione. Ma sono domande che ognuno si
fa o si è fatto: "cos'è l'universo? chi siamo noi? da dove veniamo?
dove andiamo?" e che assillavano anche i protagonisti dell'indimenticabile
trasmissione di Renzo Arbore "Quelli della notte" nei primi anni
ottanta del
secolo scorso: eh,sì bisogna dire così ormai!
Forse, e probabilmente senza forse, si tratterebbe di una spiegazione
che non ci entusiasmerebbe più di tanto, ma potrebbe essere convincente,
perché non inventata, non di fantasia pura, ma capolinea di un viaggio
avventuroso della mente che non ha modificato il mondo, ma lo ha
scoperto, ed ha, in fondo, compreso se stessa.
Oltre quel limite, quindi nel nostro attuale esistente universo,
le due teorie sono valide.
Gli oggetti presenti nel nostro universo possiamo suddividerli in
strutture che differiscono per massa e dimensioni, in qualunque
regione si trovino. Così andiamo dall'atomo alle galassie se consideriamo
oggetti osservabili. Ma ci sono oggetti o ci potrebbero essere che
hanno masse e dimensioni inosservabili, sia per ragioni relativistiche
sia per ragioni quantistiche. Nel primo caso siamo di fronte ai
"buchi neri" ipotizzati, contestati, ma che la maggior parte dei
fisici considera non solo possibili ma effettivamente "esistenti",
che possiedono una massa tale da produrre una forza di gravità così
intensa da impedire alla luce di emergere da essi. Nel secondo
caso siamo di fronte ad oggetti così piccoli che un'eventuale osservazione
li perturberebbe modificandoli radicalmente.
La regione quantistica e la regione dei buchi neri non sono separate:
esse si uniscono proprio in corrispondenza di quegli oggetti di
massa MP e dimensioni uguali od inferiori ad LP.
Si, è vero, non abbiamo scoperto nulla di utile o pratico con questo.
Almeno non riusciamo a vederne l'utilità o la praticità immediata,
anche perché si è ancora lontani da una teoria globale che spieghi
i limiti trovati.
Però è un bel viaggio della mente ed un bel viaggio
od un bel gioco è ciò che ci può fare accettare la vita, vivendola.
Bibliografia
John D. Barrow I numeri dell'universo - Mondadori