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Enrico Pietrangeli
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Rel...ax

Presentazione

E' estate. Tempo di vacanze. Anche gli elettrici si svagano con letture diverse da normative e tutorials tecnici. Enrico Pietrangeli, ci propone tre sue brevi composizioni. Una poesia dedicata a Mosaic, il padre dei moderni browser grafici, e due brevi racconti., il secondo dei quali ha il titolo di un'indimenticabile perla musicale di Syd Barrett dei Pink Floyd.

Enrico Pietrangeli è l'autore della raccolta di poesie "Di amore, di morte", pubblicata in versione cartacea (Teseo editore 2000) ed in elettronica (Kult Virtual Press 2002), collabora con riviste e siti internet pubblicando articoli e racconti brevi. Attraverso la traduzione poetica, si è dedicato all'opera di alcuni autori poco conosciuti. Redattore di Tam Tam, gestisce il sito "Poesia, scrittura e immagine" e, recentemente, ha pubblicato il suo primo romanzo "In un tempo andato con biglietto di ritorno" (Proposte editoriali 2005)

 

MOSAIC

 

 

 

UN ALTRO GIORNO, UN’ALTRA MOSCA, PER CASO

Era un’estate torrida, ma mai quanto quella precedente; eppure, da quando alloggiavo presso la piccola Emily, non avevo mai visto una quantità tale di agguerrite zanzare. Ve n’erano ovunque, piccole ed impudenti, sempre pronte a ronzarti addosso anche quando, inutilmente, nella rabbia di una morsa, si scagliava, fulmineo, il palmo richiudendosi.

C’era una vasca con dei pesciolini rossi nel suo fiabesco giardino, contornato, qua e là, di gnomi e folletti adombrati tra la vegetazione. Da qualche mese Romeo e Giulietta, i due pesciolini, avevano prole al seguito, ovvero il piccolo Ughetto. Le condizioni ambientali dovevano, quantomeno per loro, essere più che mai favorevoli. In quanto a cibo, non ne mancava di certo. Larve di fresche e genuine zanzare abbondavano nello sfavillante equilibrio di un ecosistema rigenerato con le sole forze di madre natura.

Emily, proprio quel giorno, mi annunciava, con innocente gioia, che degli stranissimi ed altrettanto sorprendenti funghi erano cresciuti nella padella abbandonata ai bordi del lavello. Lo schermo del computer che utilizzavo era sommerso di carte sovrapposte a libri, CD, chincaglieria e quant’altro in possibili, inusuali sorprese. Il cattivo odore che si celava oltre il gruppo di memoria fin avantieri, altro non era che del salame casualmente occultato.

Il momento più critico era, comunque, il tramonto. Una sete di sangue cresceva, smisurata ed improvvisa, in quei minuscoli ed avidi insetti. Le livide piaghe dei raschiamenti susseguiti ai salassi seguitavano, puntualmente, ad essere martoriate. Lo schermo era lì, pronto a risplendere di luce propria col favore delle tenebre. Lume nella notte contornato da una miriade d’insetti. Ne avevo sempre osservati, fin da bambino, sotto i lampioni, indaffarati a girovagarvi intorno; talvolta prede di fuggevoli pipistrelli. Da Emily ne avevo un intero e variegato sciame a pochi centimetri, probabilmente e mia insaputa, del tutto presi dalla trama di quanto, versando tributi di sangue, digitavo sulla tastiera. Sarà per il fatto che le notti insonni risultino, spesso, troppo lunghe o, più semplicemente, per qualche lacuna d’ispirazione, tra lo scorrere del ritmo della tastiera, nell’ansia di una presunta solitudine o non so cosa ma, soffermandomi sullo schermo, notavo, da qualche tempo, una strana mosca. Pareva timida; si dava da fare meno delle altre, voglio dire che non si agitava tanto nello svolazzare quanto, metodica ed attenta, esplorava la barra strumenti di “Word” riposta in alto. Sembrava avere uno straordinario rispetto e considerazione per l’insolito ambiente che aveva intorno. Non si spingeva mai, avventatamente, nelle aree più centrali del video. Restava, perlopiù, nel suo bordo in alto e, di tanto in tanto, faceva qualche capatina sul testo per poi, con un saltello, ripiegare verso i suoi margini. Si lasciò andare del tutto, percorrendo l’intero schermo con inaudita audacia e disinvoltura, solo quando, tra un aggiornamento e l’altro del mio sito, comparve la mia home page. Era rimasta fatalmente attratta da un semplice script che animava un’altra mosca a video. Come si apriva il file in questione perdeva ogni remora e si lasciava andare incrociando ed infine attorniando il piccolo “GIF” in digitale. Emily era inverosimilmente entusiasta di questa buffa storia e non perdeva più occasione per sedersi al mio fianco invitandomi, ripetutamente, ad aprire la pagina. Ne nacque una specie di fiaba in “reality show”. Insomma, l’irrefrenabile fantasia di Emily, ed io stesso complice, vide principi, principesse ed eterni, sospirati amori prendere forma. Poi, la mamma di Emily, fece ritorno in casa. Sbuffò, nauseata, per tutto quell’inferno di depresso disordine. Chiuse ermeticamente porte e finestre. Spruzzò quanto più insetticida possibile nell’ambiente e, soddisfatta, commentò tra sé:

- Domani potrò finalmente tornare a pulire…- .

 

Madcap Laugh

- ...è un fottuto mondo impazzito - digitava nevrotico con il mozzicone della sigaretta che gli pendeva dalle labbra, accovacciato in un angolo della stanza, sopra l'esiguo spazio di un palmare. - ...uno sporco fottutissimo mondo e niente più - concluse nel suo sincopato ed incessante scrivere lasciando scivolare il piccolo ritrovato digitale che tratteneva fra le mani in terra. Il suo sguardo parve, di colpo, essersi acquietato da una prepotente foga liberatrice che lo aveva a lungo inchiodato ad usare la tastiera. Ora era assente, svestito di quella violenta luce che lo incalzava sospingendolo in dure parole di rabbia. La sua pupilla aveva perso contatto con l'anima e si comportava come uno specchio, riflettendo il solo sguarnito scorcio che delimitava i confini del lato opposto della camera. Un vaso con dei fiori appassiti, il putrescente aroma che aveva invaso l'ambiente e moltitudini di cavi intrecciati in improbabili connessioni elettriche caratterizzavano lo statico panorama. La piovra che fuoriusciva dalle note di Octopus di Syd Barrett s'incarnò in quel groviglio di fili, a rappresentare la sua contorta mente divenuta inerte. Si alzò, infine, rompendo quello sguardo fisso, liberandosi da un guscio larvale con movimenti ponderati ed incerti. Si percepì nell'ebbrezza di una farfalla che correva entusiasta verso la vita; dal cuore alla mente fu pervaso da un'unica profonda emozione ed iniziò, un passo dopo l'altro, a tracciare una danza lungo il perimetro della stanza. - i secoli non sono altro che istanti ed il tempo non è che un effimera invenzione per trattenerci nella gabbia della storia - realizzò con retaggi umani nella sua testa di colpo incarnata in quella di un evoluto, libero insetto. Quindi, roteando, distese le braccia aperte attraversando la stanza in un doppio circolo ad otto che simulava il volo. Lo sguardo divenne trasognato, inebriato d'inesistenti pollini che pullulavano dentro la sua mente e, di tanto in tanto, si approssimava al vaso contenente quei marcescenti fiori inalandoli intensamente. Fu proprio durante uno di questi delicati approcci, fatti dello sfiorare appena con la narice gli essiccati petali che guarnivano ancora, per precario equilibrio, il calice, che cadde, estasiato, con le ginocchia in terra. Si rannicchiò, raccolto come fosse intento a recitare una preghiera, un puro e sincero ringraziamento al creato devoluto dal solo istinto. Modulava, costante, il labbro inferiore senza che dalla bocca fuoriuscissero suoni percettibili all'orecchio umano. Dal computer, prossimo al palmare scaraventato a terra e con il cavo ancora collegato in una delle porte USB del gruppo di memoria, si avviò un software precedentemente pianificato. Un breve script enunciava altre parole, ordinate ed incessanti, che cadevano, una sillaba dopo l'altra, come pioggia...

Oh dolcezza, libellula in volo
che vibra sul lago in fretta
e non conosce quell'orizzonte,
non veste gli occhi di effimeri confini;
stenta e talvolta cade, serena morte,
travolta d'insolita innocenza.

Mentre comparivano queste parole sullo schermo sopraggiungeva, cadenzato ed ossessivo, il costante rumore di un gocciolio fuoriuscito da qualche rubinetto che veniva amplificato nell'eco prodotta dalla nuda stanza. Un fastidio che avrebbe potuto incarnarsi in musica fin tanto da eseguire una lunga suite: Echoes dei Pink Floyd; così come lui, quell'uomo divenuto quasi farfalla, la lasciava scorrere nella sua mente. Il suono, quell'umano, ultimo primordiale retaggio, si era fatto carne ancor prima di abbandonarci ad altre melodie, quelle delle fauci di famelici vermi. Lui, non esitò, ruppe il suo sarcofago di bruco, diede vita all'irrefrenabile puro idealismo di rinascere farfalla; raggomitolato, al suolo, fuoriusciva un ultimo conato di sangue dalla sua bocca. Giaceva immobile, iniziato ad una presunta fuga di resurrezione, in posizione fetale, come in un lungo abbraccio dove, più che rinascita e amore, restava, immortalato, solo un disperato ghigno di liberazione.

Kultunderground n°97 maggio 2003

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