Cos'è ElectroYou | Login Iscriviti

ElectroYou - la comunità dei professionisti del mondo elettrico

9
voti

Lungo il corridoio

NB: Ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale.

Da Rollo a Berrìa (o...dalla padella alla brace)

Suona la campanella.


I ragazzi credono che il mio piacere sia inferiore al loro.
Si sbagliano.
Uscendo dall'aula mi libero da catene di parole inutili. Azzero per qualche minuto l'altalena tra rabbia ed indifferenza che ha come epilogo un fastidioso senso di frustrazione.
La materia che insegno da tempo è solo lo sfondo di un mestiere che dovrebbe essere tecnico e formativo. Che tutti dicono importante. Che, quasi tutti coloro che non lo fanno, pensano che saprebbero far meglio di chi effettivamente lo fa.
Io sono uno di quelli che questo mestiere lo fa. O cerca almeno. E pur sopportando poco chi sa quel che devono fare gli altri, ritenendo se stessi eccellenti nel loro mestiere, sono, purtroppo, convinto anch'io che lo si dovrebbe fare meglio.
Ma gli anni mi hanno evaporato le idee sul come sia possibile.
Lungo il corridoio sfumeranno, per poco, i pensieri che, esaurita da tempo la loro capacità  di irritarmi, ora mi annoiano solamente.
Sempre quelli. Inconcludenti. Inutili.
Sui risultati del mio mestiere. Sul modo di farlo. Sulle difficoltà  di farvi fronte giorno per giorno. Sulle gratificazioni inesistenti...
"forse perché immeritate" mi suggerisce una vocina che alcuni chiamano coscienza.
Cerco di contrastarla con una domanda: "Sono forse l'unico immeritevole?"
So che la risposta è no.
Basta seguire un dibattito in TV o leggere un giornale.
E gli insegnanti non sanno capire i ragazzi.
E non si aggiornano.
E non sanno spiegare
E gli insegnanti non sanno fare esempi concreti.
Il mondo avanza velocemente e gli insegnanti stanno fermi.
Ed il loro prodotto non può che essere scadente. Insomma non solo non sanno interessare i ragazzi ma addirittura li rovinano.
Per i media se c'è bisogno di una categoria di ignoranti da portare ad esempio ce n'è una ideale già  pronta per l'uso: gli insegnanti.
 
Ma il dirmi che non sono il solo a sbagliare è una difesa di poco successo. La vocina mi ricorda subito che è identica a quella di quasi ogni mio allievo ad un richiamo perché disturba:
"Non sono il solo, prof.! Perché chiama me? Allora lei ce l' ha con me!".
Già , perché, dimenticavo di dirlo, generalmente gli insegnanti prendono in antipatia alcuni studenti e ne fanno il bersaglio delle loro numerose frustrazioni.
Una volta rispondevo che il "non essere il solo" non giustificava il proprio comportamento scorretto. Ma da qualche tempo vi rinuncio. Come a tante altre battaglie. Battaglie che sarebbero perse. Fiato sprecato. Non ne vale la pena.
Così con il tempo mi sono rassegnato a mettere a punto qualche trucco per transitare indenne tra il gruppo di studenti ridanciani e disinteressati.
Riempio a volte la lavagna di formule e schemi oppure assecondo qualche discussione. Non sempre (per non dire quasi mai) di Elettrotecnica, la materia che insegno. A volte quando la mia capacità  di sopportazione si è esaurita, decido di aspettare che il tempo passi. So con certezza che nessuno protesterà  del vuoto didattico.
A volte urlo:
"State zitti ! State fermi ! Finitela! Basta!"
Perfino: "Avete rotto!".
Oppure minaccio: "Vi interrogo!"
Ma è più che altro un gioco delle parti.
"Perché prendersela?" mi dico.
Penso:"Volete essere così? Ridanciani e vuoti? Restateci! Io qualche conoscenza ve la comunico. Vi dico anche il mio parere sul vostro tempo sprecato. La mia opinione vale quel che vale, ma qualche contenuto in più delle vostre stupidaggini c'è". Credo...
Almeno lo spero. Tra qualche anno qualcuno me lo riconoscerà  e me lo verrà  a dire. E' già  capitato. Anche via e-mail.
Posticipato nel tempo qualcosa ottengo
Vorrei poterlo pensare veramente. Ma purtroppo non lo percepisco come il riconoscimento di un risultato positivo, se pur a maturazione ritardata, ma come la conferma del mio perenne sbagliare in tempo reale.

Classe A

Paragonare l'aula che sto abbandonando ad un girone dell'inferno è troppo...
....forse.
Perché la tortura psichica c'è. Inutile negarlo. E la psiche non è indipendente dal corpo. Anzi è il corpo che la secerne, se così si può dire. Senza corpo c'è poca psiche. Se la psiche tribola il corpo non sta certo bene.
C'è stato perfino il fuoco, qualche giorno fa. Acceso da un piccolo belzebù.
Lunghi capelli, corto cervello ed un amore infiammante per la scolorina.
La vampa, sorprendendo il suo stesso autore con uno scoppio sordo, ha lasciato lingue d'antracite sul muro. Il mio urlo ha fatto sussultare le bidelle nei corridoi , oltre che inchiodare l'improvvisato pirotecnico alla sua stupidità .
Si è pentito molto, è vero.
Ed io ho finito per sentirmi in colpa dopo la sospensione che gli è arrivata.
Tutto mi è parso esagerato.
Esagerato e stupido. Come molte altre cose del resto.
 
Spengo il mio Asus. Lo infilo nella custodia.

Mentre mi chiedo qual è la vera causa , escludendo la nascita, della mia dose quotidiana di insoddisfazione si alza con cronometrica regolarità  una delle mie attuali punizioni.
Ripropone la domanda con cui mi aveva accolto all'ingresso:

 "Posso uscire?".
La stessa che mi sarà  formulata da suoi epigoni in fondo al corridoio, dopo il breve intervallo di serenità .
E' la stessa di una vignetta trovata per caso su Internet e che qui riporto (spero che l'autore, che non sono riuscito a contattare, non ne rivendichi i diritti. Ad ogni modo quando la vedrà  su Electroportal sappia che è sua).


 
 

 


E' un professore di Elettrotecnica, tra l'altro. Come me.
"L'elettrotecnica fa forse questo effetto?" subito penso.
" Un diuretico? Un lassativo?... ".
"Beh, allora non lavoro per niente... (quando lavoro)" concludo dentro me, cercando almeno un aspetto positivo alla mia attività . Regola le funzioni corporee, se non altro.
O le mette in subbuglio? Pensandoci bene il numero di "posso uscire" che ricevo è molto alto.
Rollo (la mia punizione) non è certo l'inventore della domanda che mi sta facendo, però, bisogna dirlo, ne è uno specialista. Le mutazioni casuali per il perfezionamento del quesito, nei suoi geni hanno raggiunto l'apice. Non solo l' ha trasformato in un tormentone, degno di uno spot o di un pezzo rap, ma riesce a produrlo in ogni occasione ed in tutte le posizioni.
Insomma lo si potrebbe definire il Vatsyayana[1] del "posso uscire"
Tanto per fare qualche esempio.
Quando esce interrogato, lo fa per sporcarsi le mani col gesso. In questo modo al suo ritornello rap "Posso uscire?", che segue l'inevitabile cacciata al posto dopo gli strafalcioni elettrotecnici (di cui pure è uno specialista), può aggiungere: "per andare a lavarmi le mani", quindi ridere, sollecitando l'approvazione dei compagni.
E se si sbraccia alle mie spalle quando sto risolvendo un esercizio alla lavagna, non appena mi giro e lo trovo con le mani per aria, eccolo subito pronto a ripetere: "Posso uscire?"
A volte la usa perfino come paradosso. Infatti se arrivo in aula prima di lui, entrando mi chiede:"Posso uscire?"
Secondo questo artista del "posso uscire", la mia funzione è smistare il traffico verso i servizi igienici; o verso le macchinette del caffè, delle bibite e delle merendine, con varianti per incursioni in segreteria, o in laboratorio per stampare le relazioni di TDP e di Elettronica. O per fare fotocopie. I libri non li leggono, ma fanno fotocopie. Non leggono neanche quelle ma farle dà  loro l'impressione, ad alcuni perfino la convinzione, di studiare.
Oppure per procacciarsi in anticipo i panini della paninara e magari dare un'occhiata alla buona attrezzatura fisica di cui dispone. Cosa che io faccio regolarmente quando arriva e si china nella monovolume per estrarre gli scatoloni. O quando dietro la cattedra nel corridoio, la camicetta leggermente slacciata, aspetta le orde fameliche stappate dal trillo dell'intervallo. Ecco un argomento su cui potrei trovarmi d'accordo con i miei studenti. Ce ne sono anche altri, non voglio essere riduttivo: è sufficiente che non riguardino l'elettrotecnica.
Insegnante di elettrotecnica è per Rollo una funzione incomprensibile. Non riesce a capire come mai ci sia una materia del genere nella specializzazione da lui scelta: Elettronica e telecomunicazioni. La ritiene inutile. E per protesta non studia né Elettronica né telecomunicazioni. Ha ragione in fondo. Nessuno (o quasi ) degli occupanti le aule sente il bisogno di imparare qualche concetto di questa materia. Basta interrogarne qualcuno per verificarlo. Ma non ce ne sarebbe bisogno. Basta guardarli in faccia. Forse è un disinteresse che vale per ogni materia. Una simile generalizzazione è indubbiamente preoccupante. Ma non nego che io a volte spero che sia veramente così. E' un modo per contrastare la sfiducia che incrina il mio rapporto con me stesso portandomi alla soglia della depressione.
Così quando molti di loro sparano sciocchezze in matematica, matematica elementare sia chiaro, provo uno strano piacere: non sono l'unico a fallire nel tentativo di comunicare conoscenza. C'è anche l'insegnante di matematica che con tutta la sua passione ed il suo rigore produce frutti simili ai miei. E dico matematica per tralasciare l'italiano. Lascio stare l'inglese che non so (non dovrei dirlo come tecnico). E non mi pronuncio nemmeno sulle altre materie tecniche. Se sapessero qualcosa in quelle, Elettronica ad esempio, non avrebbero comunque difficoltà  a dire cose sensate sui concetti elementari della mia materia.
Ma non le dicono!
Tranne, beninteso, l'esigua percentuale di coloro che occupano le zone laterali della distribuzione gaussiana del sapere elettrotecnico scolastico, centrata su un livello di conoscenza cosciente quasi nullo. Negli insegnanti più esperti e normali, l'iniziale piacere di spiegare è da tempo svanito.
Ora si chiedono quale sia il motivo del loro lavoro, escludendo la necessità  di ottenere uno stipendio per sopravvivere.
Molti pensano: "I bar di una volta non ci sono più. Al loro posto sono aperte le aule scolastiche". Quindi concludono: "Forse siamo nuovi baristi mattutini" Rollo è una specie di musichiere vivo. Durante la spiegazione di Elettrotecnica spesso si prepara per la partecipazione a qualche quiz musicale, presumo, perché si dimena sulla seggiolina angusta con l'auricolare nel padiglione, mentre muove le labbra per facilitare la memorizzazione dei brani che ascolta.
 "Il Musichiere", condotto da Mario Riva, era una trasmissione televisiva. Fine anni '50. La madre (migliore della figlia) della Sarabanda condotta, qualche tempo fa, da Enrico Papi (molto peggiore di Mario Riva). Chi partecipava, se ne andava a casa con il pupazzo di figura.

Il PUPAZZO "Il musichiere"

Gambe e braccia lunghe e molli, e stampato in faccia un largo sorriso fisso. Non sfacciato però, ma un po' timido come i tempi richiedevano.
Il mio neomusichiere è un po' meno sorridente. Non ha naso e orecchie rosse. I capelli non sono arancione.
Eppure, stranamente è più pagliaccio. Perché meno timido o più sfacciato.
Ma più che ridere fa piangere con le sue battute....
ma no, nemmeno quello..:
Avete mai seguito uno sketch con quei comici che sfornano battute a ripetizione e nessuna fa ridere? Beh, Rollo non è proprio una mitragliatrice ma nessuna delle cose che spara a vanvera fa ridere.
O " al fa gnir al lat ai znoch"[2], dicono nel ferrarese oppure " el fa girar le bae"[3] come dicono in Veneto.

Classe B

Il senso di liberazione della campana è di breve durata.
Sarà  completamente annullato fra pochi minuti in fondo al corridoio.
Durante il tragitto, penso alle sciocche risate che mi attendono. Al disinteresse roccioso. All'assenza di rispetto per l'anziano professore. Al riverbero delle sue urla che incidono sulle pareti il suo fallimento.
 
Non riesco ad evitare un rapido bilancio della mia attività  professionale, la cui negatività  posso solo mitigare, con considerazioni cattive, sul materiale, chiamiamolo così, che dovrei modellare, almeno in una sezione limitata di quella massa grigia che gli adolescenti (o pre) dovrebbero contenere all'interno della palla ossea ricoperta dello strato elasticamente deformabile per smorfie tra lo stupido e l'inutile.
E' un modo di esprimermi ispirato da un romanzo letto qualche mese fa: "Le particelle elementari" di Michel Houllebecq e non posso fare a meno di appropriarmi anche delle sue osservazioni a proposito degli adolescenti.

"E' difficile per chi, come me, è entrato nella fase in cui la congerie di organi che compone la sua individualità  porta a livello cosciente il senso di un disgregamento costante, immaginare degli esseri più cretini, più aggressivi, più insopportabili ed odiosi degli adolescenti maschi (le femmine sono, per varie ragioni e sotto ogni punto di vista animali completamente diversi, in genere incommensurabilmente più accettabili), soprattutto quando fanno gruppo tra i muri di un'aula scolastica . L'adolescente maschio diventa in questa situazione un mostro ed un imbecille. Il suo conformismo è incredibile ma profondamente reale. Sembra la cristallizzazione improvvisa, malefica (e imprevedibile se si pensa al bambino adorabile da cui deriva) di ciò che c'è di peggio nell'uomo".
 
Ecco, il corridoio è finito. Il mio breve intervallo di libertà , pur aggredito da pensieri deprimenti, preferibili comunque alle torture psicologiche indotte da adolescenti di scatenata incoscienza, si conclude
La porta si apre su una nuova aula. Allievi diversi come apparenza fisica. Ma dal cervello omologo ai precedenti.
All'immancabile (anche se non al livello di Rollo) "Posso uscire" che alcuni di loro emettono come pallottole d'assaggio della battaglia che mi attende, non cruenta ma inibitrice della mia serotonina, si aggiunge chi mi porta la giustificazione per l'assenza.
E' l'emblema del clima paradossale in cui sarò immerso. E' di Ghizza un ciondolone permanente di indolenza assoluta. Penso che dovrebbe portare non la giustificazione dell'assenza da una lezione, ma la giustificazione della sua presenza a tutte le altre.
Colui che però mi darà  più filo da torcere, nonostante la pavidità  che dimostra agli attacchi seri, anche se di proposito ambigui, è Berrìa. Pochi neuroni dedicati all'Elettrotecnica, ancora meno sinapsi specifiche sviluppate. In compenso moltissimi neuroni e moltissime sinapsi dedicate alla sua attività  preferita, nella quale eccelle: "rompere i maroni" dicono quasi in tutta Italia.
Con lui la sottile ironia che permea le riflessioni sulla mia vita e sulla mia carriera, subisce scossoni violenti.
Se Rollo la favorisce, poiché veleggia in un'incoscienza onirica che ho scoperto però essere non priva di una sua dolcezza, (probabilmente indottavi dall'ingenua ragazzina che lo ha in cura), Berrìa, l'incedere da plantigrado ed il cavallo delle braghe rotte a mezzo culo, lancia risate alla Gasparri[4] dalla spalla sinistra con la schiena arcuata rivolta alla cattedra. Non so se ne sia cosciente, lo dubito in realtà , ma è lui che assesta il colpo più duro per demolire il mio mestiere.
Il suo "Posso uscire?" che generalmente emette a metà  lezione, non è scherzoso od ironico, ma cattivo.
Esigente.
Violento.
Spesso do vita ad un braccio di ferro, rifiutandogli il permesso.
Lui bofonchia.
Poi scalpita.
Ed infine scalcia.
Al suono della campana si avvia come un bufalo lungo il corridoio dandomi dello "stronzo".

"E' atroce il pensiero che la mia vita sia ormai questo perdere ore, giorni, mesi, anni, raccontare storie e fatti di cui nessuno vuol sapere niente. Ho qui la certezza di perdere la mia vita seminando nel vento, senza costruire niente" dice l'insegnante di Valentina, personaggio del romanzo di Melania Mazzucco "Un giorno perfetto".

Purtroppo la mia vita di insegnante è fatta proprio di questi giorni mesi ed anni, persi ad illustrare leggi fisiche e procedimenti matematici al vento, che ha diluito fino a disperderlo il pur moderato entusiasmo dei primi anni. In compenso però sono riuscito a farmi dare dello stronzo. Ecco ora sono dentro l'aula. Berrìa si prepara, con lo stile dello scimmione che ordina a Dino due Crodino, per assistere e partecipare alla corrida elettrica. C'è anche Grenni pronto a dargli una mano. Per non parlar del Ghizza. Il torero però non ha e non vuole la spada. Altrimenti l'adopererebbe. E i vari torelli lo sanno.

La lezione


Parlo di Elettrotecnica.
E subito: "Quante parole inutili!", penso mentre mi escono di bocca.
C'è quello che appallottola un foglio di quaderno e attende che gli giri le spalle per lanciarlo contro il compagno che poco prima gli aveva sparato un proiettile di carta masticata, con la cannuccia della biro.
C'è quello che indossa gli auricolari e dondola la testa ad occhi chiusi con il sorriso ebete per la situazione di piacere che la musica gli evoca.
C'è chi batte un suo ritmo soul con le dita sul banco. Si ferma immediatamente non appena vede che lo osservo: ma era proprio ciò che desiderava per sfidarmi con lo sguardo nel caso rinunciassi alle parole di rito, come ormai sempre più spesso faccio.
C'è chi racconta al compagno la sua ultima avventura in discoteca, o la sua ultima serpentina in motorino.
C'è chi gli parla del computer che si è comperato.
C'è chi smanetta sul telefonino i vari ke, nn e x che lo fanno salire di diritto sull'arca dell'originalità  perduta.
C'è chi tiene aperto sotto o sopra il banco, o sulle ginocchia, non visto ovviamente, il libro di matematica per prepararsi all'ora successiva. Con i risultati che è possibile immaginare anche perché non occorre essere particolarmente fantasiosi.
C' è chi nasconde lo zaino del bersagliato di turno. O gli accartoccia le pagine del quaderno.
C'è anche chi apre la lattina di Coca Cola con il martello, che per caso ha trovato nello zaino, perché la linguetta si è rotta.

Insomma le mie parole sui concetti elettrici che dovrebbero fermare e trasformare in attenzione ed interesse questo brulicare di eventi, le vedo uscire dalla mia bocca, svolazzare sulle loro teste infastidite, cadere inascoltate nell'urto contro le pareti, come mosche ubriache colpite dalle palette dell'indifferenza di cui la maggioranza dei miei studenti è provvista.

Massimo Gandini nel suo racconto "L'elettrotecnico" dice che tra gli addetti ai lavori la legge di Ohm sembra essere un segreto noto a pochi eletti.
Beh, qui è lo stesso. Con la differenza che in questo caso non c'è alcuna aspirazione, da parte di quasi tutti, di voler far parte degli eletti che la conoscono. Quindi non hanno alcuna incertezza sulla legge perché, semplicemente, se ne sbattono.
Sui programmi del …POF[5] si scrivono molti argomenti (li scrivo ogni anno, identici, non essendoci sconvolgimenti nei concetti della materia, né negli obiettivi da raggiungere: per fortuna esiste il copia e incolla di Word!) di complessità  crescente. I libri sono densi di pagine e di esercizi. Ma se si diplomassero tutti conoscendo effettivamente la legge di Ohm sarebbe un grande risultato.
Riduco il livello minimo di apprendimento anno per anno, come in quella danza in cui si gareggia per passare sotto un'asta posizionata ad un'altezza sempre più in bassa. Dopo oltre due decenni l'asta è attualmente al livello del terreno. Eppure la maggior parte riesce sempre a passare al di sotto.
Tanto, lo sanno. Alla fine il prof. sarà  costretto a trovare una giustificazione per far finta che l' l'obiettivo minimo, trasversale e specifico, è stato raggiunto dalla media, se vuol conservare le classi e non perdere il posto di lavoro. E poi i media ripetono che l'Italia ha la minor percentuale di diplomati e laureati rispetto a tutti gli altri paesi sviluppati. Contemporaneamente però ricordano che la scuola, troppo permissiva, fa andare avanti anche gli ignoranti. D'altra parte cosa si potrebbe pretendere con i prof. che si ritrova? Ma le contraddizioni sono un motore sociale. Addirittura costituiscono l'essenza della struttura intima della materia con l'irriducibile dualismo onda-particella. Ha senso allora meravigliarsi che gli insegnanti siano costretti ad adottare in contemporanea comportamenti opposti per conciliare scuola e società ?
Insomma i contenuti dell'elettrotecnica sono obbligatoriamente secondari. Con gli allievi la materia è esclusivamente un pretesto per scherzare o litigare, ma non un terreno su cui giudicarli.

E' questa la scuola?

"... la domanda sorge spontanea ", direbbe chi non teme le frasi fatte.
Ho forse esagerato?
Un po' sì, non lo nego.
Ma se si parla di vere conoscenze elettrotecniche acquisite non sono completamente fuori dalla realtà . E poi l'esagerazione, la situazione paradossale, ha la capacità  di evidenziare i concetti espressi. Highlights della partita quotidiana che si gioca tra le pareti di un'aula scolastica, direbbe un cronista sportivo.
Prescindiamo allora dall'Elettrotecnica. Non è certo qui a scuola che l'impareranno.
Ma, in effetti, qualcuno farà  poi il mestiere per cui dovrebbe avere studiato?
Mi rispondo no, per la maggioranza.

Ed allora devo proprio ritenerli (e ritenermi) i soli colpevoli?
Mi fanno infuriare spesso, ma anche divertire, a volte, questi ragazzi che hanno delle colpe ma, se non altro, proporzionate ai loro anni.
Mi deludono spesso, ma anche mi sorprendono positivamente, a volte.
A volte penso che non abbiano né cuore né testa, e con i colleghi arrivo ad una conclusione concorde su questo tema. Ma a volte qualcuno di loro mi fa ricredere e pentirmi di averlo pensato.

Forse non sono proprio ridanciani e vuoti. Di certo non lo sono tutti. Forse anche meno di quel che appare.

Il fatto è che, con il passare degli anni, l'Elettrotecnica èdiventata evanescente, e non è più il motivo per cui chiudo alle mie spalle la porta dell'aula restando solo con un gruppo di adolescenti. Così anno dopo anno, invece di comprenderlo, mi sfugge il senso della mia professione. La analizzo. Sono certo (ci vuol poco ad accorgersene) che i ragazzi non acquistano conoscenze tecniche solide, mentre le mie si indeboliscono per non dire scompaiono. L'esatto contrario delle fantasie legateal mio primo incarico. So che al loro ingresso nel mondo del lavoro, ciò che è stato fatto nel periodo scolastico e quel poco che si ricorderanno, non servirà a nulla, se non a suscitare l'ironia ed il disprezzo, per la scuola e l'insegnante che li ha preparati, del datore di lavoro di turno. Non mi serve pensare che scuola e lavoro sono cose diverse, che la scuola non è un'azienda e che il critico che si ritiene molto bravo nel mestiere che non fa, si sente autorizzato nel suo giudizio da un reddito, superiore a quello dell' insegnante, non obbligatoriamente meritato. Le sensazioni descritte, per quanto esagerate, hanno un'origine concreta che mi sento incapace di modificare. Forse non sono più all'altezza del compito assegnatomi e temo addirittura di aggravare una situazione scolastica, precaria già senza il mio contributo. E l'ironia che amo usare si trasforma sempre più spesso in un sarcasmo amaro.

-----------------------------------------------------

[1] Lo scrittore indiano del Kama Sutra.
[2] Fa venire il latte alle ginocchia: detto di cosa o persona noiosa o fastidiosa.
[3] Forse non c'è bisogno di traduzione. Comunque corrisponde all'italiano "fa girare le palle" che, come si può notare, è più mellifluo.
[4] l'ex ministro delle telecomunicazioni dell'ex governo Berlusconi prima di uno dei rimpasti, quello della legge Gasparri e dell'introduzione del digitale terrestre
[5]Piano dell'Offerta Formativa . Secondo il regolamento sull'autonomia scolastica, è il documento fondamentale della scuola che la identifica dal punto di vista culturale e progettuale, ne esplicita la progettazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa.

23

Commenti e note

Inserisci un commento

di ,

Mi fa piacere, Attilio, che li trovi gradevoli. Ma sono solo ricordi che scrivo così, per me, e non credo interessino a molti. Comunque, anche se con un po' di timore devo dire, ho trovato il coraggio di pubblicarli qui.

Rispondi

di ,

Sono arrivato solo a metà, ma mi sto appassionando ai tuoi racconti di vita vissuta Zeno! Hai mai pensato di pubblicarli?

Rispondi

di ,

Nostalgia non ne ho molta. Rammarico semmai, per gli anni volati che sento sciupati, perché non vi trovo l'orgoglio del mio lavoro. Occorreva essere ciò che non ero, per ottenere quanto desideravo. Così ho trasferito il desiderio ad una realtà che mi era più facile modellare. Ai vari Rollo e Berrìa, potrei essere grato di avermi quasi obbligato a cercare, al di fuori delle quattro mura che ci costringevano insieme, chi potesse trovare utile il lavoro che facevo per loro.

Rispondi

di ,

Caro prof., nonostante frequenti il suo portale da due anni, solo ora mi sono imbattuto in questa "confessione". Mi ha trasmesso due emozioni contemporanee e contrastanti; il sorriso per quel suo humor che pervade tutto lo scritto e l'angoscia della realta' scolastica che rappresenta. Direi che in questi quattro anni la situazione e' peggiorata... io nella mia classe ho fatto una gran fatica a studiare, perche' se mi dimostravo troppo interessato i miei compagni mi isolavano, come poi in effetti hanno fatto! Sono sopravvissuto solo perche' contavano sul mio aiuto all'esame. Eppure confesso che il mio prof. di Sistemi mi affascinava (dal p.d.v. culturale sia chiaro!) E' grazie a lui se ho imparato qualcosa. Alla fine dell'ultimo anno, durante il pranzo dei 100 giorni, si e' anche scusato con me (aveva gli occhi lucidi) per non avermi seguito come avrebbe voluto... ma era costretto a recuperare sempre gli ultimi, "tanto le eccellenze vanno avanti da sole". Adesso che Lei e' in pensione come sta? Le mancano un po' quei Rollo e Berria o e' meglio adesso che la guerra e' finita? Ah! finalmente interpreto la foto del suo avatar... Quel braccio sinistro alzato dietro la testa, mi fa pensare ad un'amaca, o sbaglio?

Rispondi

di Savi,

Beh, per fortuna, non mi sono ritrovato in una classe in cui insegna lei profe ... Ho appena finito la I dell'IPIA, settore quello elettrico ed elettronico. Non sono stato io ad iscrivermi a questa scuola, bensì mio padre. Subito, mi resi conto, che questo settore è grandissimo e molto affascinante. Così, iniziai subito a studiare con passione l'elettrotecnica. Per di più sono un ragazzo timido, e sempre calmo in classe. Infatti, sono passato con la media del 8 quest'anno.
P.S. Profe, un consiglio, cerchi di mostrare la teoria che insegna ai ragazzi anche con un pò di pratica (es. mostrargli la legge di Ohm, mettendo una resistenza ad una tensione, e poi aumentando il valore di resistenza, diminiurà il valore di corrente etc.) Sono certo, che così, un paio di ragazzi si interesseranno maggiormente all'elettrotecnica. Saluti ...

Rispondi

di Scuolazoo,

Si consoli prof.! I suoi allievi sono degli angioletti..Anche noi abbiamo un po' esagerato, ma, come lei ben sa, non tantissimo

Rispondi

di Francesco,

Devo dire che ho letto questo articolo perchè stavo cercando degli argomenti di elettrotecnica, visto che dovrei prendere un diploma di perito elett. con un esame integrativo del 3 e 4 anno e poi il 5. Trovo molto difficile imparare da solo questi argomenti, non so nemmeno da dove incominciare, ma ben mi sta visto che a 14 anni facevo esattamente come quei ragazzi citati nell'articolo. Adesso a 40 anni mi affascina questa materia visto che faccio l'elettricista e vorrei approfondire le mie conoscenze

Rispondi

di Carlo,

Non sono un professore, non sono mai stato uno studente modello, anzi penso di essere la causa di frustrazione di qualche professore di liceo. Mi sono comunque laureato in Ing. Elettrica, ho conosciuto nella mia carriera studentesca professori speciali ed altri ai quali si potrebbe anche non dare un centesimo. Purtroppo il problema sta da entrambe le parti, disapprovo quello che dice il genitore indignato sul lavoro dei professori, disapprovo anche il fatto che un professore non sia in grado di cambiare lavoro se non soddisfatto. Alla lunga anche per il professore più motivato la situazione, con certe scuole e classi, può essere snervante ed avvilente. Non capisco come in un istituto tecnico gli alunni siano svogliati su materie che dovrebbero essere il loro futuro, avrebbero fatto bene a fare altro... E' vero che l'elettrotecnica ha basi lontanissime ma che comunque le cose evolvano non si nega. Ci sono corsi di base ma ci sono nuove evoluzioni nei sistemi che possono essere interessanti e soprattutto aggiornate nei tempi. E' inutile insegnare come funzionano vecchie macchine in profondità quando la loro tecnologia è obsoleta e non commercializzata. Applichiamo direttamente le basi teoriche a macchine e sistemi più moderni, magari qualcuno si interesserà di più alla materia perché capirà come funziona ciò che lo circonda. Se gli alunni sono svogliati non facciamo che la causa siano i professori. Se un professore non si sente di fare il professore cambi mestiere, è inutile avvilirsi. Se invece si rimane nel campo dell'insegnamento per convenienza, allora meglio tentare di migliorarsi e magari capire cosa vuole lo studente (se lo studente ha le idee chiare altrimenti è vano). Che poi gli studenti di oggi siano comunque un po' meno studenti di una volta è vero, anche perché la scuola ha perso un po' di quella severità formativa che era deputata ad avere anche a causa di genitori troppo protettivi ma completamente all'oscuro di ciò che viene fatto nell'ambiente scolastico.

Rispondi

di Bruno Siligardi,

Beh, non so quanta esagerazione ci sia nel racconto. Mi viene il sospetto che l'esagerazione sia nella parte finale dove il prof. mitiga la sua insoddisfazione cercando degli appigli sentimentali in episodi rari. Forse per questo preziosi, ma rari. Parlo anch'io con l'insoddisfazione che mi porto dietro per non aver capito perché i ragazzi non trovano mai interessante quello che faccio ed in compenso trovano interessantissime le stupidaggini che fanno.

Guardando poi le osservazioni mi colpisce quella di Salvatore

Quelli che invece non riescono ad attrezzarsi a fare bene il proprio mestiere sono i signori insegnanti..”.

Già, ha ragione. Gli insegnanti sono proprio degli incapaci. Quello che mi chiedo è perché ci sia una tale concentrazione di incapacità in questa categoria. Che sia la sola? E perché la malattia dell'ignoranza finisce per colpire nell'immaginario collettivo proprio una categoria che non dovrebbe esserlo? Una legge del contrappasso? O cosa.?.

Non poteva mancare poi l'osservazione “Quello dell'insegnante deve essere prima di tutto una missione e non un semplice lavoro” Sento spesso dire che il mestiere degli altri è una missione.

Sono convinto che Claudio Colombo abbia ragione quando dice che

la conoscenza della materia mi veniva, oltre che dalla teoria, solamente dall'esercizio quotidiano della professione... “

Ecco qual è il modo che ha un insegnante tecnico di svolgere realmente la professione. Quella della libera professione, quindi del doppio lavoro. Come dire che un medico ospedaliero per essere un bravo medico deve avere uno studio professionale, meglio ancora una clinica privata. Quindi è necessario uno sdoppiamento: il bravo insegnante non può essere tale di per sé, ma lo può essere solo se l'insegnamento è un'attività secondaria, un'appendice di quella socialmente più importante e più redditizia.

La successiva osservazione penso che riesca a fornire la chiave del disagio in cui si trova la scuola, in particolare quella tecnica:

nel tempo è uno scadimento continuo del grado di preparazione dei periti...

vita di fabbrica, con problemi molto diversi...

non hanno nessuna ambizione riguardo alla costruzione del proprio futuro, probabilmente perché nemmeno ci pensano

Non c'è alcuna fiducia che il titolo che si acquisisce sia spendibile per una carriera. Una sfiducia condivisibile e condivisa penso da tutti ormai. Tanto più dagli insegnanti che sono i primi a sentirsi tagliati fuori dal mondo del lavoro verso cui dovrebbero avviare i loro ragazzi. Si sentono abbandonati in una nicchia dove sarebbe bello fare cultura disinteressata, pura, per il piacere e la crescita della mente. Ma che è un'attività che interessa un'esigua minoranza che forse nemmeno più esiste. La cultura a che serve? Ora nemmeno più a vincere ai quiz televisivi dove se si è personaggi si può intuire la risposta che si deve dare ragionando su ciò che non si sa od avere il colpo di fortuna per portare a casa in una sera ciò che un insegnante guadagna in venti anni.

Rispondi

di Paolo Tersi,

Sono anch'io un insegnante di materie tecniche in un istituto tecnico. Una specie di jolly, tra l'altro poiché sono passato da Elettronica e Telecomunicazioni, a TDP, a Sistemi ed ora, finalmente, insegno solo Elettrotecnica, come il collega del racconto. Dico finalmente perché la ritengo una materia almeno formativa. Non voglio infatti nemmeno parlare di Sistemi che è un autentico marasma. Nessuno, almeno di quelli che conosco sa bene che fare pur potendo essere la materia sintesi più stimolante, per un corso di elettrotecnica ed automazione. Però occorrerebbe un'esperienza vera, fatta sul campo. Ma è forse esclusiva colpa degli insegnanti se nessuno gliela fa fare? Cosa dovrebbe fare di preciso un insegnante per acquisire l'esperienza che gli si richiede? Il buon senso dice che bisognerebbe rovesciare le cose. Chi ha, che so, almeno dieci anni di esperienza lavorativa può essere promosso all'insegnamento. Va da sé che il compenso deve essere maggiore di quello che gli deriva dal continuare la carriera nel suo campo lavorativo. Ed allora si avrebbero gli insegnanti che "conoscono" la materia come si pretende. Ma c'è un proverbio: chi sa fa, chi non sa insegna; si vede che lo si ritiene valido. Si continuerà pertanto sempre a sentenziare sugli insegnanti, ma ad una possibilità come quella che ho prospettato non si accennerà nemmeno, pur continuando ad esigere una conoscenza che deriverebbe da un'esperienza che nessuno può darsi da solo.L'insegnante deve essere bravo ma si vuole che lo sia senza che lo possa diventare. Così lo si scaraventa in una bolgia di scatenati disinteressati, come quelli della classe B e si pretende che come un mago li trasformi in appassionati tecnici. Beh, io non ci sono riuscito. Faccio quel che posso e mi accorgo che potrei fare anche meno. Ho letto la nota del lettore che dice che l'insegnamento uno lo deve fare come una missione. Sottintende con questo che gli insegnanti siano una banda di scapestrati desiderosi solo di fannullare e di mangiare a sbafo. Non viene nemmeno sfiorato dal dubbio che l'insegnante singolo sia in realtà troppo debole rispetto alle forze esterne che ne hanno progressivamente screditato la funzione. Claudio Colombo ha abbozzato un'ipotesi sul perché del generale disinteresse degli allievi che all'origine delle difficoltà del mestiere di insegnante. Quel disinteresse è la pietra dura da scalfire. Su quel disinteresse e su quella sfiducia occorre riflettere per trovare un rimedio. Gli insegnanti migliorerebbero, ritrovando la passione per il loro mestiere, che è uno dei più belli, se gli allievi fossero motivati alla scuola dal desiderio di imparare, dalla coscienza che ciò che impareranno sarà loro utile. Si potrebbe obiettare che gli studenti sono demotivati perché l'insegnante non riesce a motivarli, ma si cadrebbe solo in un anello chiuso, privo di soluzioni. Ci deve essere qualcosa di esterno per interrompere il circolo vizioso. E questo qualcosa deve venire dall'intera società che deve vedere nell'insegnamento un valore e non un ripiego

Rispondi

di Claudio Colombo,

Sono un "vecchio" che ha passato tutta la sua vita di lavoro occupandosi di macchine elettriche. Negli anni '70, per arrotondare lo stipendio, ho insegnato per circa sette anni misure elettriche presso un istituto privato serale per periti. Bene, da quell'esperienza ho ricavato delle sensazioni che ancora oggi ricordo con immenso piacere, generate soprattutto dall'interesse degli allievi per la materia che mi trovavo a insegnare. Cosa è cambiato da allora? Non mi illudo certamente di essere stato un insegnante perfetto, la conoscenza della materia mi veniva, oltre che dalla teoria, solamente dall'esercizio quotidiano della professione. A mio parere la situazione odierna, così sconsolatamente descritta dagli attuali insegnanti, deriva dal fatto che gli allievi non hanno nessuna ambizione riguardo alla costruzione del proprio futuro, probabilmente perché nemmeno ci pensano. Al tempo del mio insegnamento gli allievi di un corso serale avevano l'obbiettivo di migliorare la propria posizione, insomma di fare carriera. Evidentemente questa spinta è oggi totalmente esaurita. Purtroppo non sono in grado di dare consigli professionali, sono fuori dalla scuola da troppo tempo, e il resto della mia esperienza riguarda la vita di fabbrica, con problemi molto diversi da quelli trattati nell'articolo. Certamente quello che ho constatato nel tempo è uno scadimento continuo del grado di preparazione dei periti. Quali le cause? Un fenomeno del genere non è mai addebitabile a una sola parte. La conseguenza è che nelle aziende manifatturiere (almeno in quelle poche rimaste), si presenta per i periti un futuro professionalmente poco gratificante, molto diverso da quello costruibile solo 10 anni fa. Quella figura è progressivamente in via di sostituzione con laureati triennali. Ma se non ci si forma teoricamente nella scuola secondaria superiore, l'iter universitario diventa quasi insormontabile (in università serie almeno, e ne esistono ancora). Sarebbe bene che i ragazzi si rendessero conto di queste cose, ammesso che l'argomento susciti il loro interesse.

Rispondi

di Salvatore,

Ho una voglia matta di sfogare la mia rabbia su questi argomenti, che non ho bisogno di leggere l'articolo da voi proposto.
Naturalmente questo sfogo lo vorrei fare direttamente alle persone interessate "gli insegnanti".
Non mi è possibile; farei un danno a mio figlio che finalmente frequenta l'ultimo anno di un istituto tecnico. Ho letto tutte le note all'articolo e giustamente ognuno fa le proprie considerazioni.
La mia considerazione parte da un'analisi del passato e del presente: gli alunni continuano a fare bene il loro mestiere, cioè ad essere svogliati, disinteressati, fannulloni etc. etc. etc..........
Quelli che invece non riescono ad attrezzarsi a fare bene il proprio mestiere sono i signori insegnanti, i quali continuano a lamentarsi per lo stipendio che ricevono e per questo stanno in eterno sciopero contro gli alunni senza avere voglia di insegnare quel poco di vecchio che sanno.
Non si può scegliere come lavoro l'insegnamento mirando ad un impiego di comodo per la donna, o perché permette di fare una seconda attività per l'uomo.
Quello dell'insegnante deve essere prima di tutto una missione e non un semplice lavoro. La materia prima con cui loro hanno a che fare sono i ragazzi, cioè il futuro della nazione .
Con questo non voglio dare tutta la colpa alla categoria degli insegnanti, ma nel mio immaginario di alunno li ho sempre visti come persone con una marcia in più e come tali vorrei che fossero i primi a reagire a questa situazione.

Rispondi

di Franco A.,

Come lo stesso autore dice nel finale, è un po' tutto esagerato per aumentare il clima paradossale in cui spesso si svolge l'insegnamento di una materia tecnica.
Anch'io insegno Elettrotecnica e trovo un'enorme differenza tra ciò che effettivamente ottengo e ciò che penso si dovrebbe ottenere. Questo genera senz'altro insoddisfazione, insieme ad altre cose, non ultimo lo stipendio. Ma qui si potrebbe aprire un'inchiesta per sapere chi è contento del suo stipendio. Però la mia nota era più rivolta al primo commennto dell'Anonimo che dice che il senso di frustrazione dell'insegnante è dovuto al fatto che a scuola non si insegnano cose al passo con i tempi. Sarà anche vero. Me lo sono chiesto anch'io. Ma cosa significa di preciso questa domanda? L'Anonimo, o chiunque altro ovviamente, sa dettagliare una risposta vera? Per esempio se uno insegna Elettrotecnica di base cosa deve insegnare per essere al passo con i tempi? La legge di Ohm è del 1826, quella di Faraday del 1831 ecc. Bisogna insegnarle o no? I ragazzi le devono sapere o no perché sono troppo vecchie? Sono al passo con i tempi o non lo sono?

Rispondi

di Beppe,

Sono un insegnante di Elettronica e nel leggere lo sfogo del collega di elettrotecnica, sia io che mia moglie, anch'essa insegnante di materie tecnico-scientifiche negli istituti secondari superiori, abbiamo riconosciuto in pieno la situazione che viviamo quotidianamente nel nostro lavoro. E' facile sostenere che il problema consista nell'incapacità dei docenti di riuscere a stimolare l'interesse degli studenti, ma vi assicuro che è impossibile riuscire ad ottenere non dico interesse, ma almeno un minimo di attenzione da parte di adolescenti che hanno un'infinità di stimoli più gratificanti e più immediati che non la comprensione di argomenti così lontani dal loro mondo e per lo più incomprensibili anche per la propria intrinseca difficoltà.
A questo si aggiunge la scarsa considerazione che gode la classe docente, sottolineata dal basso livello retributivo che, in un mondo in cui il successo è commisurato al guadagno, rende i professori dei falliti e quindi a maggior ragione esempi negativi da non seguire.

Rispondi

di ,

Be', Angelo, si può essere d'accordo con te. Forse anche si deve. Però non condivido completatmente il modo con cui l'hai fatto presente.
Si potrebbero fare diverse considerazioni.
Ad esempio che si tratta di una nota, scritta spesso di getto; che il senso dell'intervento di Mattia si capisce; che ci sono cose più gravi della scelta di un verbo sbagliato; che si possono ascoltare le opinioni di chi non sa esprimerle in un italiano purissimo, perché possono anche essere migliori di chi non fa alcun errore di grammatica e di sintassi...

Rispondi

di Angelo,

".......D'altronde la solida preparazione teorica, se non viene "imparata" a scuola non sarà più facilmente apprendibile in futuro......"
E SE COLTIVASSIMO UN PO' ANCHE LA LINGUA ITALIANA?

Rispondi

di Anonimo,

Il problema è che i ragazzi scelgono corsi di studio per i quali non sono minimamente portati, né affascinati.

Rispondi

di ,

Inizio subito col dire che sono in totale e inamovibile disaccordo col primo commento, non posso che giudicarlo il solito luogo comune espresso più per convenienza che per reale convinzione. Detto questo io credo, avendo affrontato esperienze simili in un istituto professionale, che a scuola dovrebbe andare solo chi è interessato ad apprendere. Non mi si venga a dire che la scuola è un diritto e che tutti devono studiare, si può benissimo prendere la licenza media e andare a fare i muratori o i contadini o altri dignitosissimi e tra l'altro anche molto remunerativi lavori. Una delle cose che a mio giudizio maggiormente alimenta questo stato di cose è l'atteggiamento dei genitori che tendono non solo a giustificare QUALSIASI atteggiamento dei loro figli ma sono ben disposti a prendersela con l'insegnante piuttosto che solo supporre che il problema possa risiedere nel loro figlio se non nel proprio atteggiamento. Il tutto pesantemente alimentato dalla campagna quasi diffamatoria portata avanti dalla stampa. L'unica soluzione che riesco a vedere è che i genitori inizino a spiegare ai loro figli che la scuola serve e funziona (perché è così, inutile citare 1 caso su 10000 per dimostrare il contrario) e che ci vuole rispetto per l'istituzione. Saluti

Rispondi

di Roberto B.,

Sono un tecnico elettronico momentaneamente prestato all'insegnamento dell'elettrotecnica x un gruppo di ragazzi . Ho letto d'un fiato l' articolo e mi sono ritrovato pienamente nei personaggi e luoghi descritti in modo cosi' spiritoso. Capisco le domande che l'INSEGNANTE si pone e penso che proprio per questo sia importante condividerle e continuare. NON perdere la Speranza !!. Questo periodo della vita da alunni è difficoltoso perché non si capisce la difficoltà del TRASFERIRE conoscenza e l'importanza che cose "PICCOLE" come la legge di OHM possono fruttare in futuro.

Rispondi

di Roberto,

A conferma dell'opinione che si ha della scuola, cito un'inchiesta trasmessa per TV un paio di domeniche fa. Purtroppo non l'ho potuto vedere , quindi non ne so precisare i contenuti. Il titolo comunque non lascia tante possibilità di congetture: "La fabbrica dei somari"

Rispondi

di Mattia Marinelli,

Sono uno studente di ing. elettrica giunto ormai al termine del suo corso di studi. Nonostante non abbia ancora avuto esperienza con quello che sarà il mio futuro lavoro non posso che concordare con l'opinione di un mio insegnante, il quale ritiene che l'università debba fornire anzitutto le conoscenze teoriche del proprio campo. Ritengo che per l'istituto tecnico il ragionamento sia analogo. Non si potranno mai capire a fondo i problemi pratici senza prima possedere una solida preparazione teorica. D'altronde la solida preparazione teorica, se non viene imparata a scuola non sarà più facilmente apprendibile in futuro, poichè non ci sarà più l'aiuto fondamentale del docente. Rivolgendomi al sig. anonimo che ha stilato il primo commento, e invitandolo a leggere completamente (e a rileggerlo meglio così si accorgerebbe che il docente insegna elettrotecnica e non elettronica...) il documento, vorrei sapere, se non ritiene che la legge di Ohm sia al passo coi tempi, cosa lo è secondo lui?

Rispondi

di Carlo Sacrato,

Ho fatto anch'io la scuola tecnica (mi sono diplomato otto anni fa) ed in effetti ciò che stavamo facendo lo trovavo sempre diverso da ciò che mi interessava. Poi però mi sono anche reso conto che le leggi fondamentali, per quanto vecchie siano, sono quelle, e che è indispensabile conoscerle bene per capire molto di tutto il resto. La scuola dovrebbe essere l'ambiente ideale per fare proprio questo, ma non lo si riesce a capire in tempo reale. Non è di sicuro facile rincorrere l'evoluzione tecnica che contiene di tutto. La scuola dovrebbe funzionare come un filtro, capace di trattenere e proporre le cose fondamentali. Il legame scuola-tecnica lavoro è senz'altro auspicabile, ma come deve essere realizzato? Penso poi che in realtà ai ragazzi di adesso, ed io comunque non sono molto distante da loro, mancano gli stimoli per imparare le cose seriamente. Dovrebbero arrivare arrivare da varie sorgenti. Prime fra queste, certo, gli insegnanti preparati, e soprattutto, motivati nel fare il loro mestiere. Non ultima però una società che apprezzi e valorizzi il sapere e non solo l'apparire.

Rispondi

di Anonimo.,

Non ho letto tutto l'articolo ma credo che tutta questa frustrazione di un insegnante di elettronica dipenda principalmente dal fatto che ormai quello che si insegna non è al passo dei tempi.
La scuola dovrebbe essere più vicina al mondo del lavoro ed alle esigenze del momento.
Personalmente l'elettronica è sempre piaciuta e stranamente l'ho cominciata ad amare meglio dopo la scuola.
Il problema sta tra il rapporto scuola/lavoro. Si deve cominciare ad insegnare quello che serve ma sopratutto quello che ci circonda intorno e come funziona o dovrebbe funzionare.
Poi si approfondisce ma sempre tenendo bene d'occhio l'utilità pratica.

Rispondi

Inserisci un commento

Per inserire commenti è necessario iscriversi ad ElectroYou. Se sei già iscritto, effettua il login.