NB: Ogni riferimento a fatti e persone reali è puramente casuale.
Da Rollo a Berrìa (o...dalla padella alla brace)
Suona la campanella.
I ragazzi credono che il mio piacere sia inferiore al loro.
Si sbagliano.
Uscendo dall'aula mi libero da catene di parole inutili.
Azzero per qualche minuto l'altalena tra rabbia ed indifferenza che ha come
epilogo un fastidioso senso di frustrazione.
La materia che insegno da tempo è solo lo sfondo di un
mestiere che dovrebbe essere tecnico e formativo. Che tutti dicono importante.
Che, quasi tutti coloro che non lo fanno, pensano che saprebbero far meglio di
chi effettivamente lo fa.
Io sono uno di quelli che questo mestiere lo fa. O cerca
almeno. E pur sopportando poco chi sa quel che devono fare gli altri, ritenendo se stessi eccellenti nel loro
mestiere, sono, purtroppo, convinto anch'io che lo si dovrebbe fare meglio.
Ma gli anni mi hanno
evaporato le idee sul come sia possibile.
Lungo il corridoio sfumeranno, per poco, i pensieri che,
esaurita da tempo la loro capacità di irritarmi, ora mi annoiano solamente.
Sempre quelli. Inconcludenti. Inutili.
Sui risultati del mio mestiere. Sul modo di farlo. Sulle
difficoltà di farvi fronte giorno per giorno. Sulle gratificazioni inesistenti...
"forse perché immeritate" mi suggerisce una vocina che
alcuni chiamano coscienza.
Cerco di
contrastarla con una domanda: "Sono forse l'unico immeritevole?"
So che la risposta è no.
Basta seguire un dibattito in TV o leggere un giornale.
E gli insegnanti non sanno capire i ragazzi.
E non si aggiornano.
E non sanno spiegare
E gli insegnanti non sanno fare esempi concreti.
Il mondo avanza velocemente e gli insegnanti stanno fermi.
Ed il loro prodotto non può che essere scadente.
Insomma non solo non sanno interessare i ragazzi ma
addirittura li rovinano.
Per i media se c'è bisogno di una categoria di ignoranti da
portare ad esempio ce n'è una ideale già pronta per l'uso: gli insegnanti.
Ma il dirmi che non sono il solo a sbagliare è una difesa di
poco successo. La vocina mi ricorda subito che è identica a quella di quasi ogni mio
allievo ad un richiamo perché disturba:
"Non sono il solo, prof.! Perché chiama me? Allora lei ce l'
ha con me!".
Già , perché, dimenticavo di dirlo, generalmente gli
insegnanti prendono in antipatia alcuni studenti e ne fanno il bersaglio delle
loro numerose frustrazioni.
Una volta rispondevo che il "non essere il solo" non
giustificava il proprio comportamento scorretto. Ma da qualche tempo vi
rinuncio. Come a tante altre battaglie. Battaglie che sarebbero perse. Fiato
sprecato. Non ne vale la pena.
Così con il tempo mi sono rassegnato a mettere a punto
qualche trucco per transitare indenne tra il gruppo di studenti ridanciani e
disinteressati.
Riempio a volte la lavagna di formule e schemi oppure
assecondo qualche discussione. Non sempre (per non dire quasi mai) di
Elettrotecnica, la materia che insegno. A volte quando la mia capacità di
sopportazione si è esaurita, decido di
aspettare che il tempo passi. So con certezza che nessuno protesterà del vuoto
didattico.
A volte urlo:
"State zitti ! State
fermi ! Finitela! Basta!"
Perfino: "Avete rotto!".
Oppure minaccio: "Vi interrogo!"
Ma è più che altro un gioco delle parti.
"Perché prendersela?" mi dico.
Penso:"Volete essere così?
Ridanciani e vuoti? Restateci! Io qualche conoscenza ve la comunico. Vi
dico anche il mio parere sul vostro tempo sprecato. La mia opinione vale quel
che vale, ma qualche contenuto in più delle vostre stupidaggini c'è". Credo...
Almeno lo spero. Tra qualche anno qualcuno me lo riconoscerà
e me lo verrà a dire. E' già capitato. Anche via e-mail.
Posticipato nel tempo qualcosa ottengo
Vorrei poterlo pensare veramente. Ma purtroppo non lo
percepisco come il riconoscimento di un risultato positivo, se pur a
maturazione ritardata, ma come la
conferma del mio perenne sbagliare in tempo reale.
Classe A
Paragonare l'aula che sto abbandonando ad un girone dell'inferno è troppo.......forse.
Perché la tortura psichica c'è. Inutile negarlo. E la psiche non è indipendente dal corpo. Anzi è il corpo che la secerne, se così si può dire. Senza corpo c'è poca psiche. Se la psiche tribola il corpo non sta certo bene.
C'è stato perfino il fuoco, qualche giorno fa. Acceso da un piccolo belzebù.
Lunghi capelli, corto cervello ed un amore infiammante per la scolorina.
La vampa, sorprendendo il suo stesso autore con uno scoppio sordo, ha lasciato lingue d'antracite sul muro. Il mio urlo ha fatto sussultare le bidelle nei corridoi , oltre che inchiodare l'improvvisato pirotecnico alla sua stupidità .
Si è pentito molto, è vero.
Ed io ho finito per sentirmi in colpa dopo la sospensione che gli è arrivata.
Tutto mi è parso esagerato.
Esagerato e stupido. Come molte altre cose del resto.
Spengo il mio Asus. Lo infilo nella custodia.
Mentre mi chiedo qual è la vera causa , escludendo la
nascita, della mia dose quotidiana di insoddisfazione si alza con cronometrica
regolarità una delle mie attuali punizioni.
Ripropone la domanda con cui mi aveva accolto all'ingresso:
"Posso uscire?".
La stessa che mi sarà formulata da suoi epigoni in fondo al
corridoio, dopo il breve intervallo di serenità .
E' la stessa di una vignetta trovata per caso su Internet e
che qui riporto (spero che l'autore, che non sono riuscito a contattare, non ne
rivendichi i diritti. Ad ogni modo quando la vedrà su Electroportal sappia che
è sua).
E' un professore di Elettrotecnica, tra l'altro. Come me.
"L'elettrotecnica fa forse questo effetto?" subito penso.
" Un diuretico? Un lassativo?... ".
"Beh, allora non lavoro per niente... (quando lavoro)"
concludo dentro me, cercando almeno un aspetto positivo alla mia attività .
Regola le funzioni corporee, se non altro.
O le mette in subbuglio? Pensandoci bene il numero di "posso
uscire" che ricevo è molto alto.
Rollo (la mia punizione)
non è certo l'inventore della domanda che mi sta facendo, però, bisogna
dirlo, ne è uno specialista. Le mutazioni casuali per il perfezionamento del
quesito, nei suoi geni hanno raggiunto
l'apice. Non solo l' ha trasformato in
un tormentone, degno di uno spot o di un pezzo rap, ma riesce a produrlo
in ogni occasione ed in tutte le posizioni.
Insomma lo si potrebbe definire il Vatsyayana[1] del "posso uscire"
Tanto per fare qualche esempio.
Quando esce interrogato, lo fa per sporcarsi le mani col
gesso. In questo modo al suo ritornello rap "Posso uscire?", che segue
l'inevitabile cacciata al posto dopo gli strafalcioni elettrotecnici (di cui
pure è uno specialista), può aggiungere: "per andare a lavarmi le mani", quindi
ridere, sollecitando l'approvazione dei compagni.
E se si sbraccia alle mie spalle quando sto risolvendo un
esercizio alla lavagna, non appena mi giro e lo trovo con le mani per aria,
eccolo subito pronto a ripetere: "Posso uscire?"
A volte la usa perfino come paradosso. Infatti se arrivo in
aula prima di lui, entrando mi chiede:"Posso uscire?"
Secondo questo artista del "posso uscire", la mia funzione è
smistare il traffico verso i servizi igienici; o verso le macchinette del
caffè, delle bibite e delle merendine, con varianti per incursioni in
segreteria, o in laboratorio per stampare le relazioni di TDP e di Elettronica.
O per fare fotocopie. I libri non li leggono, ma fanno fotocopie. Non leggono
neanche quelle ma farle dà loro l'impressione, ad alcuni perfino la convinzione, di
studiare.
Oppure per
procacciarsi in anticipo i panini della paninara e magari dare un'occhiata alla
buona attrezzatura fisica di cui dispone. Cosa che io faccio regolarmente
quando arriva e si china nella monovolume per estrarre gli scatoloni. O quando dietro la cattedra nel corridoio, la camicetta leggermente slacciata, aspetta le orde fameliche stappate dal trillo dell'intervallo. Ecco un argomento su cui potrei trovarmi d'accordo con i miei studenti. Ce ne sono anche altri, non voglio essere riduttivo: è sufficiente che non riguardino l'elettrotecnica.
Insegnante di elettrotecnica è per Rollo una funzione incomprensibile. Non riesce a capire come mai ci sia una materia del genere nella specializzazione da lui scelta: Elettronica e telecomunicazioni. La ritiene inutile. E per protesta non studia né Elettronica né telecomunicazioni. Ha ragione in fondo. Nessuno (o quasi ) degli occupanti le aule sente il bisogno di imparare qualche concetto di questa materia. Basta interrogarne qualcuno per verificarlo. Ma non ce ne sarebbe bisogno. Basta guardarli in faccia.
Forse è un disinteresse che vale per ogni materia. Una
simile generalizzazione è indubbiamente preoccupante. Ma non nego che io a
volte spero che sia veramente così. E' un modo per contrastare la sfiducia che
incrina il mio rapporto con me stesso portandomi alla soglia della depressione.
Così quando molti di loro sparano sciocchezze in matematica,
matematica elementare sia chiaro, provo uno strano piacere: non sono l'unico a
fallire nel tentativo di comunicare conoscenza. C'è anche l'insegnante di matematica che con tutta la sua
passione ed il suo rigore produce frutti simili ai miei. E dico matematica per tralasciare l'italiano. Lascio stare l'inglese che non so (non dovrei dirlo come tecnico). E non mi pronuncio
nemmeno sulle altre materie tecniche. Se sapessero qualcosa in quelle,
Elettronica ad esempio, non avrebbero comunque difficoltà a dire cose sensate sui
concetti elementari della mia materia.
Ma non le dicono!
Tranne, beninteso, l'esigua percentuale di coloro che
occupano le zone laterali della distribuzione gaussiana del sapere elettrotecnico
scolastico, centrata su un livello di conoscenza cosciente quasi nullo.
Negli insegnanti più esperti e normali, l'iniziale piacere
di spiegare è da tempo svanito.
Ora si chiedono quale sia il motivo del loro lavoro,
escludendo la necessità di ottenere uno stipendio per sopravvivere.
Molti pensano: "I bar di una volta non ci sono più. Al loro
posto sono aperte le aule scolastiche". Quindi concludono: "Forse siamo nuovi
baristi mattutini"
Rollo è una specie di musichiere vivo. Durante
la spiegazione di Elettrotecnica spesso si prepara per la partecipazione a
qualche quiz musicale, presumo, perché si dimena sulla seggiolina angusta con
l'auricolare nel padiglione, mentre
muove le labbra per facilitare la memorizzazione dei brani che ascolta.
"Il Musichiere", condotto da Mario Riva, era una
trasmissione televisiva. Fine anni '50. La madre (migliore della figlia) della
Sarabanda condotta, qualche tempo fa, da Enrico Papi (molto peggiore di Mario Riva). Chi partecipava,
se ne andava a casa con il pupazzo di figura.
Il PUPAZZO "Il musichiere"
Gambe e braccia lunghe e molli, e stampato in faccia un largo sorriso fisso. Non sfacciato però, ma un po' timido come i tempi richiedevano.
Il mio neomusichiere è un po' meno sorridente. Non ha naso e orecchie rosse. I capelli non sono arancione.
Eppure, stranamente è più pagliaccio. Perché meno timido o più sfacciato.
Ma più che ridere fa piangere con le sue battute....
ma no, nemmeno quello..:
Avete mai seguito uno sketch con quei comici che sfornano
battute a ripetizione e nessuna fa ridere? Beh, Rollo non è proprio una
mitragliatrice ma nessuna delle cose che spara a vanvera fa ridere.
O " al fa gnir al lat ai znoch"[2],
dicono nel ferrarese oppure " el fa girar le bae"[3]
come dicono in Veneto.
Classe B
Il senso di liberazione della campana è di breve durata.
Sarà completamente annullato fra pochi minuti in fondo al
corridoio.
Durante il tragitto, penso alle sciocche risate che mi
attendono. Al disinteresse roccioso. All'assenza di rispetto per l'anziano
professore. Al riverbero delle sue urla che incidono sulle pareti il suo
fallimento.
Non riesco ad evitare un rapido bilancio della mia attività
professionale, la cui negatività posso
solo mitigare, con considerazioni cattive, sul materiale, chiamiamolo così, che
dovrei modellare, almeno in una sezione limitata di quella massa grigia che gli
adolescenti (o pre) dovrebbero contenere all'interno della palla ossea
ricoperta dello strato elasticamente deformabile per smorfie tra lo stupido e
l'inutile.
E' un modo di esprimermi ispirato da un romanzo letto
qualche mese fa: "Le particelle elementari" di Michel Houllebecq e non posso
fare a meno di appropriarmi anche delle sue osservazioni a proposito degli
adolescenti.
"E' difficile per chi, come me, è entrato nella fase in
cui la congerie di organi che compone la sua individualità porta a livello
cosciente il senso di un disgregamento costante, immaginare degli esseri più cretini, più aggressivi, più
insopportabili ed odiosi degli adolescenti maschi (le femmine sono, per varie
ragioni e sotto ogni punto di vista animali completamente diversi, in genere
incommensurabilmente più accettabili), soprattutto quando fanno gruppo tra i
muri di un'aula scolastica . L'adolescente maschio diventa in questa situazione un mostro ed un imbecille. Il suo conformismo è incredibile ma profondamente reale. Sembra la cristallizzazione
improvvisa, malefica (e imprevedibile se si pensa al bambino adorabile da cui
deriva) di ciò che c'è di peggio nell'uomo".
Ecco, il corridoio è finito. Il mio breve intervallo di
libertà , pur aggredito da pensieri deprimenti, preferibili comunque alle
torture psicologiche indotte da adolescenti di scatenata incoscienza, si
conclude
La porta si apre su una nuova aula. Allievi diversi come apparenza fisica. Ma dal cervello omologo ai
precedenti.
All'immancabile (anche se non al livello di Rollo) "Posso
uscire" che alcuni di loro emettono come pallottole d'assaggio della battaglia
che mi attende, non cruenta ma inibitrice della mia serotonina, si aggiunge chi mi porta la giustificazione
per l'assenza.
E' l'emblema del clima paradossale in cui sarò immerso. E' di Ghizza un ciondolone
permanente di indolenza assoluta. Penso che
dovrebbe portare non la giustificazione dell'assenza da una lezione, ma
la giustificazione della sua presenza a tutte le altre.
Colui che però mi darà più
filo da torcere, nonostante la pavidità che dimostra agli attacchi seri, anche
se di proposito ambigui, è Berrìa.
Pochi neuroni dedicati all'Elettrotecnica, ancora meno sinapsi specifiche sviluppate. In compenso moltissimi neuroni e moltissime sinapsi dedicate alla sua attività preferita, nella quale eccelle:
"rompere i maroni" dicono quasi in tutta Italia.
Con lui la sottile ironia che permea le riflessioni sulla mia vita e sulla mia carriera, subisce scossoni violenti.
Se Rollo la favorisce, poiché veleggia in un'incoscienza
onirica che ho scoperto però essere non priva di una sua dolcezza,
(probabilmente indottavi dall'ingenua ragazzina che lo ha in cura), Berrìa,
l'incedere da plantigrado ed il cavallo delle braghe rotte a mezzo culo, lancia
risate alla Gasparri[4] dalla spalla sinistra con la schiena arcuata rivolta alla cattedra. Non so se
ne sia cosciente, lo dubito in realtà , ma è lui che assesta il colpo più duro
per demolire il mio mestiere.
Il suo "Posso uscire?" che generalmente emette a metà
lezione, non è scherzoso od ironico, ma cattivo.
Esigente.
Violento.
Spesso do vita ad un braccio di ferro, rifiutandogli il
permesso.
Lui bofonchia.
Poi scalpita.
Ed infine scalcia.
Al suono della
campana si avvia come un bufalo lungo il corridoio dandomi dello "stronzo".
"E' atroce il pensiero che la mia vita sia ormai questo perdere ore, giorni, mesi, anni, raccontare storie e fatti di cui nessuno vuol sapere niente. Ho qui la certezza di perdere la mia vita seminando nel vento, senza costruire niente" dice l'insegnante di Valentina, personaggio del romanzo di Melania Mazzucco "Un giorno perfetto".
Purtroppo la mia vita di insegnante è fatta proprio di questi giorni mesi ed anni, persi ad illustrare leggi fisiche e procedimenti matematici al vento, che ha diluito fino a disperderlo il pur moderato entusiasmo dei primi anni. In compenso però sono riuscito a farmi dare dello stronzo. Ecco ora sono dentro l'aula. Berrìa si prepara, con lo stile dello scimmione che ordina a Dino due Crodino, per assistere e partecipare alla corrida elettrica. C'è anche Grenni pronto a dargli una mano. Per non parlar del Ghizza. Il torero però non ha e non vuole la spada. Altrimenti l'adopererebbe. E i vari torelli lo sanno.
La lezione
Parlo di Elettrotecnica.
E subito: "Quante parole inutili!", penso mentre mi escono
di bocca.
C'è quello che appallottola un foglio di quaderno e attende
che gli giri le spalle per lanciarlo contro il compagno che poco prima gli
aveva sparato un proiettile di carta masticata, con la cannuccia della biro.
C'è quello che indossa gli auricolari e dondola la testa ad
occhi chiusi con il sorriso ebete per la situazione di piacere che la
musica gli evoca.
C'è chi batte un suo ritmo soul con le dita sul banco. Si
ferma immediatamente non appena vede che lo osservo: ma era proprio ciò che
desiderava per sfidarmi con lo sguardo nel caso rinunciassi alle parole di
rito, come ormai sempre più spesso faccio.
C'è chi racconta al compagno la sua ultima avventura in
discoteca, o la sua ultima serpentina in motorino.
C'è chi gli parla del computer che si è comperato.
C'è chi smanetta sul telefonino i vari ke, nn e x che lo
fanno salire di diritto sull'arca dell'originalità perduta.
C'è chi tiene aperto
sotto o sopra il banco, o sulle ginocchia, non visto ovviamente, il libro di matematica per prepararsi
all'ora successiva. Con i risultati che
è possibile immaginare anche perché non occorre essere particolarmente
fantasiosi.
C' è chi nasconde lo zaino del bersagliato di turno. O gli accartoccia le pagine del quaderno.
C'è anche chi apre la lattina di Coca Cola con il martello,
che per caso ha trovato nello zaino, perché la linguetta si è rotta.
Insomma le mie parole sui concetti elettrici che dovrebbero
fermare e trasformare in attenzione ed interesse questo brulicare di eventi, le
vedo uscire dalla mia bocca, svolazzare sulle loro teste infastidite, cadere inascoltate nell'urto contro le
pareti, come mosche ubriache colpite dalle palette dell'indifferenza di cui la
maggioranza dei miei studenti è provvista.
Massimo Gandini nel suo racconto "L'elettrotecnico" dice che
tra gli addetti ai lavori la legge di Ohm sembra essere un segreto noto a pochi
eletti.
Beh, qui è lo stesso. Con la differenza che in questo caso non c'è alcuna aspirazione, da parte di quasi tutti, di voler far parte degli eletti che la conoscono. Quindi non hanno alcuna incertezza sulla legge perché,
semplicemente, se ne sbattono.
Sui programmi del
POF[5] si scrivono molti argomenti (li scrivo ogni anno, identici, non essendoci
sconvolgimenti nei concetti della materia, né negli obiettivi da raggiungere: per fortuna esiste il copia e incolla di Word!)
di complessità crescente. I libri sono densi di pagine e di esercizi. Ma se si
diplomassero tutti conoscendo effettivamente la legge di Ohm sarebbe un grande
risultato.
Riduco il livello
minimo di apprendimento anno per anno, come in quella danza in cui si gareggia
per passare sotto un'asta posizionata ad un'altezza sempre più in bassa. Dopo
oltre due decenni l'asta è attualmente
al livello del terreno. Eppure la maggior parte riesce sempre a passare al di
sotto.
Tanto, lo sanno. Alla fine il prof. sarà costretto a trovare
una giustificazione per far finta che l' l'obiettivo minimo, trasversale e
specifico, è stato raggiunto dalla media, se vuol conservare le classi e non perdere il posto di lavoro.
E poi i media ripetono che l'Italia ha la minor percentuale di diplomati e
laureati rispetto a tutti gli altri paesi sviluppati. Contemporaneamente però
ricordano che la scuola, troppo permissiva, fa andare avanti anche gli
ignoranti. D'altra parte cosa si potrebbe pretendere con i prof. che si ritrova? Ma le contraddizioni sono un
motore sociale. Addirittura costituiscono l'essenza della struttura
intima della materia con l'irriducibile dualismo onda-particella. Ha senso
allora meravigliarsi che gli insegnanti siano costretti ad adottare in
contemporanea comportamenti opposti per conciliare scuola e società ?
Insomma i contenuti dell'elettrotecnica sono
obbligatoriamente secondari. Con gli allievi la materia è esclusivamente un pretesto per
scherzare o litigare, ma non un terreno su cui giudicarli.
E' questa la scuola?
"... la domanda sorge spontanea ", direbbe chi non teme le
frasi fatte.
Ho forse esagerato?
Un po' sì, non lo nego.
Ma se si parla di vere conoscenze elettrotecniche acquisite
non sono completamente fuori dalla realtà . E poi l'esagerazione, la situazione
paradossale, ha la capacità di evidenziare i concetti espressi. Highlights della partita quotidiana che si gioca tra le pareti di un'aula
scolastica, direbbe un cronista sportivo.
Prescindiamo allora dall'Elettrotecnica. Non è certo qui a
scuola che l'impareranno.
Ma, in effetti, qualcuno farà poi il mestiere per cui dovrebbe
avere studiato?
Mi rispondo no, per la maggioranza.
Ed allora devo proprio ritenerli (e ritenermi) i soli colpevoli?
Mi fanno infuriare spesso, ma anche divertire, a volte,
questi ragazzi che hanno delle colpe ma, se non altro, proporzionate ai loro anni.
Mi deludono spesso, ma anche mi sorprendono positivamente, a
volte.
A volte penso che non abbiano né cuore né testa, e con i
colleghi arrivo ad una conclusione concorde su questo tema. Ma a volte qualcuno
di loro mi fa ricredere e pentirmi di averlo pensato.
Forse non sono proprio ridanciani e vuoti. Di certo non lo sono tutti. Forse anche meno di quel che appare.
Il fatto è che, con il passare degli anni, l'Elettrotecnica èdiventata evanescente, e non è più il motivo per cui chiudo alle mie spalle la porta dell'aula restando solo con un gruppo di adolescenti. Così anno dopo anno, invece di comprenderlo, mi sfugge il senso della mia professione. La analizzo. Sono certo (ci vuol poco ad accorgersene) che i ragazzi non acquistano conoscenze tecniche solide, mentre le mie si indeboliscono per non dire scompaiono. L'esatto contrario delle fantasie legateal mio primo incarico. So che al loro ingresso nel mondo del lavoro, ciò che è stato fatto nel periodo scolastico e quel poco che si ricorderanno, non servirà a nulla, se non a suscitare l'ironia ed il disprezzo, per la scuola e l'insegnante che li ha preparati, del datore di lavoro di turno. Non mi serve pensare che scuola e lavoro sono cose diverse, che la scuola non è un'azienda e che il critico che si ritiene molto bravo nel mestiere che non fa, si sente autorizzato nel suo giudizio da un reddito, superiore a quello dell' insegnante, non obbligatoriamente meritato. Le sensazioni descritte, per quanto esagerate, hanno un'origine concreta che mi sento incapace di modificare. Forse non sono più all'altezza del compito assegnatomi e temo addirittura di aggravare una situazione scolastica, precaria già senza il mio contributo. E l'ironia che amo usare si trasforma sempre più spesso in un sarcasmo amaro.
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[1] Lo
scrittore indiano del Kama Sutra.
[2] Fa venire il
latte alle ginocchia: detto di cosa o persona noiosa o fastidiosa.
[3] Forse non
c'è bisogno di traduzione. Comunque corrisponde all'italiano "fa girare le
palle" che, come si può notare, è più mellifluo.
[4] l'ex
ministro delle telecomunicazioni dell'ex governo Berlusconi prima di uno dei rimpasti,
quello della legge Gasparri e dell'introduzione del digitale terrestre
[5]Piano dell'Offerta Formativa . Secondo il
regolamento sull'autonomia scolastica, è il documento fondamentale della scuola
che la identifica dal punto di vista culturale e progettuale, ne esplicita la
progettazione curricolare, extracurricolare, educativa ed organizzativa.