Indice |
Premessa
Non essendomi dimenticato dell'invito di Admin a parlare di musica, dopo aver detto qualcosa su J.S. Bach e su W.A. Mozart, che sono riuscito a legare a temi di genere matematico, più adatti a un blog come questo, adesso mi sono lanciato con Beethoven. Qui il legame si fa difficile ... Comunque l'inizio tenta un'attinenza con l'elettricità che, forse non casualmente, chissà, ha cominciato a essere studiata proprio ai tempi del grande musicista, cui l'energia creativa, pur tra mille sofferenze, non viene mai meno e, per il modo in cui la manifesta in musica, mostra una certa affinità con quella elettrica.
Elettricità
Luigi Magnani riporta che Beethoven aveva detto a Bettina Brentano, una famosa scrittrice tedesca sua amica:
“La musica è il suono elettrizzato in cui lo spirito vive pensa e crea. Ogni elemento elettrico eccita lo spirito a fluide effuse creazioni musicali. Il mio temperamento è elettrico.” Queste frasi possono oggi farci sorridere ma dobbiamo pensare che l’elettricità era giunta alla ribalta proprio a metà ‘700 con gli esperimenti del poliedrico B. Franklin, a cui è attribuita l’invenzione del parafulmine, e intorno ad essa era nata una sorta di mitologia; si voleva vedere l’elettricità, quest’energia impalpabile eppure potente, come una metafora del rapporto tra materia e spirito". Dice ancora Magnani: “arte e scienza sono per Beethoven sinonimo di un’altra equazione: bellezza = verità. E se la scienza,indagando l’origine e le leggi costanti cui obbediscono nel loro divenire i fenomeni naturali, rende manifesta l’origine spirituale e sopra-sensibile dell’universo, la sua intima coesione, l’arte consentirà di comprendere intuitivamente quella coesione, stabilirà, mediante la forma e la bellezza, il perfetto accordo tra l’uomo e il mondo.”
Verità e bellezza
La verità come bellezza tormenta il nostro musicista che sente l’esigenza interiore, impellente e continua, di darle espressione tramite il suono. E fin dalle prime composizioni, Ludwig van Beethoven (famiglia di origine olandese) è già “lui”: subito riconoscibile nella grande forza espressiva che così tanto lo caratterizza. Nato a Bonn nel 1770 mostra subito una grande attitudine verso la musica; al quattordicenne Ludwig il nuovo principe elettore di quella città, Maximilian Franz, riconosce un talento straordinario e lo nomina secondo organista di corte. La conoscenza del conte Waldstein gli permette di incontrare Franz Joseph Haydn, a quei tempi un dio in terra della musica (e anche oggi) che lo vorrà come allievo a Vienna, dove si trasferirà a 22 anni. Ma il ragazzo si mostra subito ribelle ai dettami del maestro e, senza disconoscere le forme della tradizione da cui comunque parte, inizia subito a scrivere secondo i propri impulsi, imprimendo alle composizioni un’incisività e un’energia tutte particolari.Tempo di cambiamento
La storia della musica ci mostra che con Beethoven cambiano non tanto le forme della composizione, almeno inizialmente (poi verranno introdotti dei cambiamenti anche in questi aspetti), quanto i contenuti della musica. Irrompe in essa quella soggettività debordante, fatta di accesi contrasti e di sentimenti forti, di solitudine e di lotta eroica contro “il destino dell’uomo”, sempre in agguato e pronto a vanificare le conquiste dei lumi della ragione. Per il giovane musicista tedesco sono i tempi della Rivoluzione francese, tempi in cui il vecchio ordine aristocratico viene minato alle fondamenta, anche se non del tutto distrutto, come sembrava in un primo momento. La borghesia ormai sufficientemente ricca ha già preso in mano le redini del potere e lo esercita a pieno titolo servendosi di quella libertà che, insieme alla sacrosanta libertà di pensare e di muoversi, è soprattutto libertà di commerciare e di spadroneggiare come meglio conviene. Oltre che ai commerci, i lumi della ragione servono alla civiltà per darsi ordinamenti più funzionali e per sviluppare scienze e tecnologie che cambino radicalmente i modi di produzione. La ragione, soffocata per tanti secoli durante il Medio Evo (in cui però si sviluppano importanti studi di Logica, non dimentichiamolo) e tenuta prigioniera come un giocattolo nelle stanze dei castelli e dei palazzi cittadini durante il Rinascimento, era tornata nel ‘6 – ‘700 ad essere regina del pensiero per aver creato il nuovo mezzo interpretativo del mondo, la scienza. Ma, passata la Rivoluzione, si rivela insufficiente a soddisfare le nascenti istanze di rinnovamento sociale.
E’ giunto il momento di liberare le forze soggettive della passione e della fantasia, le sole in grado di spezzare le polverose catene del vecchio mondo. L’uomo non è più una macchina che cerca di muoversi nella natura come meglio può, ma è un essere che si eleva sopra gli altri animali: la sua vera potenza sta nella forza morale, nell’imperativo di Kant (“La legge morale in noi, il cielo stellato sopra di noi …”), nella forza interiore che affronta con coraggio le asprezze della vita e che permette di godere della dolcezza dei sentimenti senza lasciarsene sopraffare. “E come Kant aveva posto le basi della religione sulla morale, elevata dal piano del pratico e dell’utile a quello di una superiore illuminazione, così Beethoven, inserendo al centro della morale la musica, la arricchì, più di quanto non fosse prima avvenuto, di valori ideali, la potenziò di una nuova carica emotiva, le infuse un’agogica ispirata al proteiforme mondo dei sentimenti, per renderla atta a esprimere gli intimi conflitti dell’anima” (Magnani).
Il Romanticismo
Fu in quei tempi che la filosofia occidentale si trovò costretta a rinunciare alle visioni omnicomprensive del mondo che fino ad allora l’avevano caratterizzata, a partire da Platone per tutti i secoli successivi; Kant e Hegel sono gli ultimi che propongono sistemi di conoscenza totale. Hegel è contemporaneo e conterraneo di Beethoven, così come Goethe. Quando tutti e tre muoiono alla fine degli anni ’20 dell’800, stava già emergendo un soggettivismo sempre più marcato e diffuso, innestato in quella corrente di pensiero che viene chiamata “Romanticismo”. Su di essa e sulla sua definizione non c’è un vero accordo tra gli studiosi, soprattutto sulle date che ne segnano l’inizio nelle arti visive, in letteratura e in musica. Il Romanticismo nasce come reazione all’Illuminismo, sentito da molti come una sorta di gabbia paralizzante nella sua attitudine a privilegiare quei lumi della Ragione, cui tutto andava ricondotto e ispirato. In realtà non era proprio così, ma i tempi prospettavano grossi cambiamenti sociali, che in Francia ebbero inizio nel modo più cruento con la Rivoluzione; ciò induceva negli animi una tensione verso qualcosa di nuovo, che appariva al tempo stesso esaltante e spaventoso.
Considerato, non a torto, l’ultimo rappresentante del“classicismo”, Beethoven dà però inizio alla grande rivoluzione “romantica” in musica, cui Mozart aveva già più volte alluso. Beethoven non incarna direttamente il Romanticismo come movimento quale lo avevano inaugurato Tieck, Novalis, i fratelli Schlegel, Wackenroder e in cui si facevano strada temi esotici, irrazionali, nazionalistici insieme a un’enfatizzazione della fantasia, della religiosità, del rapporto con la natura che investe tutte le arti; è piuttosto una sorta di ponte tra passato e futuro. La musica di Beethoven chiude il mondo classico e apre quello più ampio dei romantici, dal quale non sarà più possibile tornare indietro. Essi amano molto questo genio che si prende il carico di rappresentare in musica l’inquietudine profonda di fronte ai quei cambiamenti in atto, che investivano il sociale ma lasciavano l’uomo da solo di fronte alla fine dei grandi sistemi di pensiero che, anche se fonte di oppressione, erano stabili e rassicuranti. "Per affrontare quei cambiamenti la nuova borghesia dovette procurarsi una diversa visione del mondo, che poteva fondarsi solo sull’uomo come soggetto contrapposto all’infinità dell’universo, inteso sia come natura che come spirito universale. Davanti a questo spazio sconfinato e irraggiungibile l’uomo è portato a lottare con tutte le sue forze pur essendo cosciente che la sua fatica sarà del tutto inutile, così come i Titani non cessavano mai i loro disperati tentativi di liberarsi dalla prigionein cui Zeus li aveva relegati per l’eternità, nonostante ne conoscessero la vanità. Il terrore dell’infinito si trasforma poi nell’aspirazione verso lo spirituale e induce a valorizzare la vita interiore, come rifugio doloroso ma inattaccabile dalla minaccia del proprio limite. Questa lotta continua assume connotati eroici e viene infatti chiamata “titanismo”." (Magnani)
Beethoven viene a trovarsi in questo passaggio ma vive ancora sull’onda degli ideali globalizzanti dell’Illuminismo ; il suo pensiero, sia verbale che musicale, si svolge e si esprime in termini universali, come testimoniano i suoi Quaderni di conversazione. La dialettica tra “maschile” e "femminile”, di origine kantiana, è presente in tutte le sue composizioni, esplicitamente teorizzata come principio di movimento nel dispiegarsi del fatto musicale. “Dolore della vita ed energia indomabile” secondo Massimo Mila sono gli elementi che ispirano e sostengono la sua musica. Nella quale però, retti da una solida struttura compositiva, non mancano sentimenti di dolcezza e di tenerezza in tutte le possibili sfumature. Beethoven non è solo “titanico”, carattere al quale viene sempre associata la sua figura, severa e corrusca; è anche capace di vivere e portare nella musica una grande varietà di contenuti, emotivi e intellettuali, storici e futuribili, espressi in forme tradizionali ma rivisitate o reinventate, come il “Minuetto” che diventa “Scherzo”, apparso in Joseph Haydn e impiegato da Beethoven come “terzo movimento” in molte composizioni (sinfonie, sonate, quartetti, …).
Forma-sonata
Noi sentiamo parlare spesso di “sonata” come nome di un pezzo per pianoforte o per altri strumenti, ad esempio la Sonata “Al Chiaro di luna”, ma bisognerebbe distinguere tra il periodo fino a metà ‘700, in cui la “sonata” era una forma monotematica in due parti, e il periodo dopo metà ‘700, quando si diffuse, soprattutto ad opera di Johan Christian Bach (uno dei figli di J.S. Bach), la cosiddetta forma-sonata. Si tratta di uno schema compositivo che prescrive in una prima parte (Esposizione) l’uso di due temi (ossia due motivi musicali) in due tonalità diverse, tonica e dominante; segue una seconda parte (Elaborazione) in cui i due temi vengono sviluppati e arricchiti eventualmente da altri elementi; una terza parte (Ripresa) riprende la prima, variandola di poco, con i due temi nella stessa tonalità ed è seguita da una “coda” conclusiva. I due temi dovevano essere non molto diversi tra loro, in modo da non creare contrasti troppo forti. Oltre alle “Sonate” vere e proprie, la forma-sonata trova impiego in molte composizioni, quali sinfonie, concerti per strumento solista e orchestra, quartetti, trii, etc.
Beethoven conferisce ai due temi un contrasto assai più accentuato, mutuando da Kant l’idea dei principi opposti, che sono “principio respingente o di opposizione” e “principio implorante” (cioè maschile e femminile); come dice Magnani “principio dei temi in perpetuo conflitto tra loro, come personaggi di un dramma che soggiacciono alle leggi dell’amore e dell’odio. ”Un conflitto che è però destinato a risolversi costantemente, dando luogo a una nuova situazione, a sua volta sede di contrasti in un continuo divenire fino alla soluzione finale che vede il lieto fine del trionfo della ragione sul sentimento, della forma sulla materia sensibile. La forma-sonata viene quindi rinnovata da Beethoven, dotata intenzionalmente di dinamicità propulsiva fino ad allora assente o presente solo occasionalmente. Anche l’orchestra subisce un potenziamento quantitativo e viene adeguata alle necessità espressive di una musica che in modo esplicito si riferiva alla lotta tra l’uomo e il resto dell’universo.
I tre periodi
Tradizionalmente si usa suddividere la produzione beethoveniana in tre periodi; il primo che va circa fino all’opera 26, il secondo fino all’opera 100 e il terzo fino alla fine.
Nonostante la caratterizzazione di forte originalità di cui dicevo all’inizio, nel primo periodo il legame con il passato (classicismo) è ancora piuttosto evidente; tuttavia le composizioni di questo tempo possiedono una vitalità e una freschezza del tutto nuove che subito ci conquistano. Questo primo periodo arriva fino al 1800, quando iniziano i primi sintomi della diminuzione dell’udito, e comprende, tra l’altro, le prime due sinfonie, i quartetti dell’op. 18, la sonata “Patetica” per pianoforte op.13, i primi due concerti per pianoforte e orchestra.
Il secondo periodo è detto anche ”eroico” e giunge fino al 1812. Ha inizio con il famoso "testamento di Heiligenstadt", una lettera indirizzata ai suoi due fratelli (mai recapitata e ritrovata dopo la morte) in cui annunciava il disperato intento di ritirarsi dal mondo degli uomini, essendosi reso conto che dalla sordità non sarebbe più guarito. Da alcune ricostruzioni basate su descrizioni che lui stesso faceva, pare che il sintomo principale fosse la diminuzione costante della risposta alle frequenze più alte, con decremento dell’intellegibilità e, a poco a poco, del volume sonoro percepito. Non è chiara quale fosse la patologia, iniziata a 28anni, che lo portò alla sordità; pare che non fosse quella più comune.
Beethoven però superò la crisi e riprese a scrivere con rinnovata energia, affrontando le sofferenze della sordità. Questo periodo contiene le composizioni importanti come le sinfonie dalla terza all’ottava, varie sonate per pianoforte tra cui “Al Chiaro di luna”, “Waldstein”, “Appassionata”, altri quartetti d’archi, l’opera lirica “Il Fidelio”, gli altri tre concerti per pianoforte e orchestra, il concerto per violino e orchestra. Le composizioni sono caratterizzate da forti contrasti drammatici, da nuove armonie, da una certa grandiosità della struttura.
Nel terzo periodo Beethoven si muove verso mondi nuovi, sperimentali, in cui le forme tradizionali tendono a dissolversi. La completa perdita dell’udito contribuisce a spostarlo verso un mondo più interiore, nel quale il suono poteva essere solo immaginato e in cui la fantasia diventa il solo motore creativo. Gli ultimi quartetti e la Grande Fuga op 133 hanno una scrittura musicale di una tale modernità da lasciare esterrefatti: Beethoven appare in anticipo di un centinaio d’anni! Di questo periodo sono anche la IX Sinfonia e le ultime 3 sonate per pianoforte. Ma lui stesso diceva che non scriveva più per il grande pubblico il quale infatti, fatta eccezione per la IX sinfonia e a differenza di grandi musicisti come Schubert, smise di osannarlo.
Sconvenienza
C’è un altro aspetto che vale la pena mettere in rilievo: Beethoven si fa portatore di forme “nuove” ma, come dice G. Zaccaro, sono forme “sconvenienti”, che rompono cioè quel patto implicito con il passato che si vuole allontanare ma dal quale non si può prescindere, un patto la cui vera forza è proprio la contraddizione tra perdita e superamento. Mantenere questo patto è la condizione tacita e condivisa da tutta la società per conservarsi e al tempo stesso evolversi. La natura puritana e geniale di Beethoven lo porta invece a disconoscere non tanto il passato quanto il rapporto di complicità con esso, inaugurando il processo di immissione nella musica di quei tratti di prorompente soggettività, creando una vera frattura con una grossa parte del passato, ignorando le regole del bon ton musicale, dando la stura a un flusso emotivo irriverente, orgoglioso di sé, a volte spavaldo. La tradizione voleva invece che l’emotività restasse entro i limiti della decenza, o al massimo che spiccasse solo quando accompagnava un’azione drammatica precisa e circoscritta, come nel melodramma.
A volte Beethoven dà invece l’impressione di prendere molto alla lettera i propri intenti morali: l’ironia, un tratto così caratteristico dell’Illuminismo, non sembra tanto appartenergli. In ciò potrebbe essere visto come uno dei veri romantici, a molti dei quali non faceva difetto uno stato d’animo decisamente orientato verso la depressione. La ribellione al passato non era una certo una “ribellione allegra”, tipo il maggio francese del nostro '68.
Benché fosse divenuto famoso, la sua tendenza a sperimentare che si manifestò soprattutto nell’ultimo periodo gli procurava l’intervento di vari detrattori, poco inclini all'innovazione dei linguaggi. Magnani scrive che “i critici del tempo, secondo le particolari deformazioni del loro orecchio e del loro intelletto, avevano ravvisato in Beethoven e nelle sue opere, genio e sregolatezza, slancio appassionato ma caotico, un’arte ricca di espressione emotiva ma priva di forma, bizzarra e confusa. Si giunse a definire la Sonata a Kreutzer op. 47 per violino e pianoforte “un terrorismo artistico” e il suo autore “un mago evocatore di apparizioni magiche”, ad accusarlo di avere scatenato nella Sonata Op.57, l’Appassionata, “molti spiriti maligni”. Lo Scherzo della Quinta Sinfonia aveva suscitato l’impressione di “una voce strana e terribile” da provocare il brivido della “paura degli spettri”.“. Se poi siguarda il secondo tempo della Sonata op. 111 per pianoforte vi si trovano alcune “stranezze”, ad esempio la mano destra suona a un certo punto un SIbem5 e la sinistra un FA1ossia due note distanti cinque ottave e mezzo! Una situazione mai vista prima di allora (e nemmeno dopo, per molto tempo) che fece gridare alcuni allo scandalo.
Tuttavia Beethoven divenne un disubbidiente accettato. La sua grandezza e la sua genialità furono riconosciute abbastanza presto e il suo brutto carattere fu facilmente tollerato; la società borghese lo riconobbe come uno che la rappresentava, almeno per quella parte di spinta ideale che l’ebbrezza del potere le conferiva. La “sconvenienza” venne fatta rientrare nelle regole del gioco. Anche se lui non la prese poi così bene. Quando Napoleone, a cui il musicista aveva dedicato inizialmente la Terza Sinfonia (detta "Eroica") considerandolo l’ eroe che “cavalcava lo spirito del mondo”, si fece eleggere imperatore, una grande delusione si impadronì del nostro che, non soltanto lo indusse a cambiare il destinatario della dedica, ma provocò una sofferenza e una chiusura ulteriore nel suo rapporto con il mondo che purtroppo si accordò con l’altra sofferenza, quella fisica e psichica, dovuta alla sordità crescente e anche ad altri malesseri.
Melodia
Curiosa, in un certo senso, è l’opinione, da più parti espressa (Verdi, Bernstein e altri), che Beethoven non fosse un “melodista”, ossia uno capace di scrivere “belle melodie”, qualità attribuita invece a Mozart, Schubert, Chopin, Bellini, Verdi. In realtà nella sua musica si trovano molte melodie che spesso manifestano il massimo di intensità e bellezza solo se sono incorniciate dalle voci secondarie, o di “accompagnamento”; salvo alcune, considerate in sé possono sembrare di poco rilievo, diversamente da quanto avviene per altri autori. Questo fenomeno si presenta spesso nella musica pop e rock, in cui il successo delle melodie risente in forte misura dell’arrangiamento complessivo, del ritmo, degli strumenti usati e così via. Beethoven, seguendo la sua linea di pensiero musicale, accentua molto i contrasti e i colori nella strumentazione, cosa che appare più evidente nell’orchestra, ma che si può percepire anche nello strumento solista, in particolare nel pianoforte. Il suo orientamento preponderante è verso la musica strumentale, come dimostra la maggior parte della sua produzione: alcuni ritengono che quella sua certa “fatica melodica” di cui accennavo sia da ricondurre proprio alla sua propensione più verso le corde di budello e di metallo (strumenti a corda) che verso quelle della gola (“corde” vocali, in realtà “lamine di tessuto elastico rivestito da mucosa”). M.Solomon dice però che spesso si esagera: delle sue oltre 600 composizioni circa la metà sono vocali, una ripartizione considerata normale per l’epoca. Tuttavia i pezzi divenuti più noti e quelli considerati meglio riusciti sono per lo più strumentali: accanto all’unica opera lirica, il Fidelio, spiccano una trentina tra lieder, arie e composizioni corali, insieme a un Oratorio e a due Messe. Il famoso Inno alla gioia, per soli coro e orchestra, inserito nella grande e famosissima IX sinfonia, potrebbe intendersi anche come una sorta di conciliazione tra strumenti e voce, o anche di celebrazione di quest’ultima come punto di maggior forza nell’affermazione della fratellanza umana, così centrale nel suo mondo ideale. Il suo mondo reale, quello fatto di rapporti sociali e personali, era invece un’altra cosa. Il carattere irascibile e poco incline ai convenevoli non gli impediva di essere riconosciuto come un grande compositore, ma come uomo non gli permetteva di riscuotere grandi simpatie; né era favorito dall’aspetto fisico, ritenuto dalle donne tutt’altro che attraente.
Il jazz
Qualcuno ha detto che Beethoven è stato l’inventore del jazz, da intendere nel senso del ritmo dagli accenti marcati e spostati rispetto ai tempi regolari. Si trovano spesso nella sua musica accentuazioni ”fuori tempo” o “sincopate”, come accade appunto nel ragtime e nel jazz, specie quello più “antico”. L’esempio più conosciuto lo si trova nella Sonata op. 111, III variazione dell’”Arietta”, che a detta di molti anticipa di più di 80 anni il ragtime o il boogie. Si trovano situazioni simili nella maggior parte dei pezzi che hanno un tempo mosso; Beethoven è stato il primo musicista a dare al ritmo quell’importanza espressiva che mai aveva avuto. Il ritmo infatti era sempre stato una sorta di cornice ripetitiva e pulsante, una sorta di frame in cui contenere i suoni. Per lui invece “non è uno schema astratto entro cui … si immetta e scorra con costante meccanica regolarità la materia sonora , ma al contrario è il respiro stesso della musica, il palpito del suo cuore, è l’impulso generatore dei disegni melodici, l’elemento unificatore che accompagna il loro divenire”(Magnani).
Questa è l'esecuzione della III variazione dell'Arietta della Sonata op. 111 da parte di Artur Schnabel, un eccellente interprete beethoveniano. L'incisione (mono) è del 1932 per la EMI ed è stata rimasterizzata nel 1991.
L’amata immortale
Si sa che il rapporto di Beethoven con le donne non fu per niente facile. Come si è visto di frequente nella storia, gli artisti pagano la loro creatività con una difficoltà ad accettare relazioni durevoli e appaganti con l’altro sesso e Beethoven non fa eccezione. Amicizie femminili importanti ce nefurono ma l’amore trovò spazio solo in brevi contatti, spesso circoscritti al mondo della prostituzione, per il quale però è più corretto parlare di sesso che di amore. La sua naturale reticenza in questo campo gli ha fatto tacere nomi e circostanze; tuttavia sono note alcune sue lettere manoscritte indirizzate “all’amata immortale”, la cui identità è rimasta a lungo sconosciuta. Sono state fatte varie ipotesi e secondo Salomon la donna corrisponderebbe a una certa Antonie von Birkenstock, sposata al senatore di Francoforte Franz von Brentano (fratello di Clemens e di Bettina, entrambi scrittori). A tutt’oggi, pare che sull’identità indicata da Solomon non vi siano più dubbi: era lei la donna tanto amata quanto irraggiungibile. Beethoven era infatti amico del marito e adorava i loro quattro figli. Nonostante fosse corrisposto, il suo forte senso morale gli impedì sempre di intaccare l'unità di quella famiglia e preferì chiudersi in un dignitoso e doloroso riserbo, come del resto fece la stessa Antonie. La solitudine si confermò così la sua vera compagna di vita.Beethoven è stato il musicista che più di tutti ha rappresentato il passaggio dal mondo aristocratico a quello borghese e l’hafatto con un’intensità e un’universalità che sono rimaste insuperate. Noi tutti proviamo grande pietà per le sue sofferenze, nonostante le quali (e non "in virtù delle quali" come pensano molti) è riuscito a regalarci una musica di un valore incalcolabile. Per noi è questa "l'amata immortale" e non possiamo che essergli infinitamente grati.
Bibliografia
L. Magnani -“Beethoven nei suoi quaderni di conversazione”(Einaudi 1975)
L. Magnani - "Goethe, Beethoven e il demonico" (Einaudi 1976)
S. Zaccaro – “Beethoven o della sconvenienza” (Bulzoni 1979)
M. Solomon - "Beethoven" (Marsilio 1986)
M. Cooper - "Beethoven l'ultimo decennio 1817-1827" (ERI 1979)
P. Autexier - "Beethoven la forza dell'assoluto" (Universale electa 1993)
G. Abraham - "Beethoven il suo tempo, la sua musica, la sua eredità" (Feltrinelli 1990)