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L'intelligenza di Turing

A.I.

Oggi si parla spesso di intelligenza artificiale e di emulazione dell’intelligenza umana, una infinità di film di fantascienza riprendono il tema sotto ogni punto di vista, dai robot di Asimov a SkyNet di Terminator a finire con una moltitudine di personaggi buoni o cattivi e più o meno artificiali (nel senso stretto del termine) che popolano lo scenario del fantastico.

Inevitabile porsi una domanda: cosa c’è di vero? Cosa è compatibile col possibile e cosa non lo è?

Prima di rispondere a queste domande, iniziamo col creare alcune basi fondamentali sul tema.

Se escludiamo gli automi meccanici precedenti all’era dei computer e i personaggi di fantasia mossi dalla magia, a parlare per primo di intelligenza artificiale non fu uno scrittore di fantascienza ma uno scienziato: Alan Turing.

Molti, oggi come oggi, hanno sentito parlare di Turing e della sua Macchina; ma cos’è?

La macchina di Turing

è nata per creare una dimostrazione matematica e non come progetto di uno strumento reale. Turing voleva dimostrare che non esiste un metodo sistematico che consenta di dimostrare un qualsiasi teorema matematico. Nel formulare la sua dimostrazione creò una macchina virtuale con un comportamento dipendente da pochissime regole prestabilite e che segue una serie di istruzioni incise su un nastro che la macchina fa scorrere avanti e indietro, su questo nastro la macchina legge le istruzioni e i dati e vi scrive i risultati.

Il nastro della macchina di Turing - Author: URL:Lhttp://turing.izt.uam.mx

Il nastro della macchina di Turing - Author: URL:Lhttp://turing.izt.uam.mx

Ora, la cosa interessante è che Turing si convinse che la sua macchina, se opportunamente progettata, avrebbe potuto “pensare” autonomamente arrivando al punto che un uomo che affrontasse un dialogo con questa macchina non sarebbe capace di distinguerla da un uomo vero (ovviamente purché non la vedesse).

Questo è il succo del cosiddetto Test di Turing il quale dice che quando un uomo non riesce a distinguere la macchina da un altro uomo, allora possiamo dire che la macchina ha una sua intelligenza artificiale e quindi “pensa”. Le obiezioni filosofiche su cosa sia effettivamente “pensare” e sulla “coscienza di sé” non hanno, dal punto di vista scientifico-matematico, alcuna rilevanza per questo Test.

La cosa è molto interessante, tanto che negli anni molti si sono cimentati nel creare simulatori di dialogo esplicitamente progettati per superare il test di Turing. Con questi programmi installati su un pc, il test viene superato purché il dialogo si mantenga estremamente generico ma se il dialogo presuppone l’apprendimento e rielaborazione di concetti complessi tali programmi falliscono miseramente. La cosa interessante e che questo ci consente di dire che, come sosteneva Turing, per superare il suo test è necessario “pensare” e non è affatto sufficiente “simulare” come invece sostenevano alcuni suoi detrattori.

In effetti, quindi, una macchina capace di “pensare” (secondo il test di Turing) non è soltanto capace di elaborare ma di assimilare, comprendere ed esprimere. Queste tre caratteristiche sono, oggi come oggi, lontanissime dai nostri potentissimi computer che sanno calcolare ed elaborare a velocità stratosferiche, immagazzinare informazioni e simulare, ma non sanno affatto imparare e anche quando sofisticati software di autoapprendimento gli consentono di farlo, sono comunque operazioni di apprendimento strettamente legate a specifiche attività e senza alcuna possibilità di rielaborazione propria delle nozioni.

In pratica, il computer attuale, per come è progettato, è una macchina che viaggia sui suoi binari, se fosse una persona, tanto per restare in tema, diremmo che è tarata, non può uscire dal seminato perché intrappolata nei suoi propri meccanismi, un po’ come uno che è maniacale o ossessivo compulsivo.

Per capirci, sto proprio dicendo che le stesse istruzioni di base contenute nel microprocessore e che gli consentono di funzionare rappresentano il suo maggiore limite.

Io penso che Turing avesse profondamente ragione quando diceva che una macchina, per poter diventare pensante, deve essere dotata del più ristretto insieme di parametri di base che sia possibile come: operatori di comparazione, uguaglianza e somiglianza, concetto di vero e falso e pochissime altre cose ed essere dotata di un meccanismo che funga da pungolo della sua attività (una artificiale “voglia di imparare”). Inoltre questa macchina deve essere dotata di una enorme memoria dove immagazzinare esperienze, scelte ed effetti delle scelte. A questo proposito, la macchina di Turing poneva la propria “memoria” nel nastro, ma non si cada nell’errore di credere che Turing non si rendesse conto che il nastro non è un buon mezzo di memorizzazione poiché il nastro della sua macchina era virtuale e prevedeva velocità di spostamento istantanee, dato che Turing non intendeva affatto che esistesse fisicamente un nastro da far scorrere, ma solo una serie di posizioni di memoria.

La macchina quindi, una volta avviata, dovrebbe iniziare a imparare “pungolata” dal suo istinto artificiale e cominciare a immagazzinare idee proprie e idee apprese con i relativi risultati creando da sé il proprio sistema operativo. Purtroppo gli studi di Turing si fermarono a metà degli anni ’50 quando si suicidò probabilmente a causa delle alterazioni umorali causate dagli ormoni che le autorità inglesi, dopo averlo arrestato, lo costrinsero a prendere quando scoprirono che era omosessuale. In pratica, se qualcuno ancora teme che il proprio computer possa ribellarsi e cominciare a fare quello che vuole si tranquillizzi perché allo stato attuale non esistono, almeno tra quelle in commercio, macchine capaci di “pensare” autonomamente. Speriamo solo che il giorno in cui qualcuno cercherà di creare realmente questa macchina, non dimentichi di inserire, tra le pochissime istruzioni base,

le tre leggi di Asimov

cioè le famose istruzioni di base che nei suoi romanzi di fantascienza venivano impiantate come primarie nella mente dei robot:

  1. Un robot non può nuocere a un uomo nè lasciare che un suo mancato intervento determini un danno a un uomo
  2. Un robot deve ubbidire agli uomini purchè questo non infranga la prima legge
  3. Un robot deve proteggere se stesso purchè questo non infranga la prima e la seconda legge.
Alan Turing

Alan Turing

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Commenti e note

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di ,

L'aspetto emotivo potrebbe essere da valutare effettivamente nell'ottica del superamento del test di turing, nel senso che se l'interlocutore umano inizia deliberatamente a provocare, la mancanza di emotività da parte della macchina potrebbe denunziare la propria natura artificiale. D'altro canto è da considerare che una macchina veramente progettata secondo i canoni di turing potrebbe autonomamente incorporare nel proprio codice anche le reazioni emotive come "comportamento che porta al risultato voluto" e in pratica simularlo deliberatamente. O ancora si potrebbe programmare la macchina con dei "bisogni" i quali sarebbero di fatto una sorta di "istinto" che porterebbe a comportamenti che discordano con la logica. Concordo col fatto che potrebbe non essere un buon obiettivo il voler creare delle nostre copie. Ciao e in bocca al lupo.

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di ,

Certo, proverò a esplicare questa riflessione :) Turing ed il suo esperimento ideale si collocano in un filone di pensatori che supportano l'equazione IA = Simulazione umana. Mi limitavo a riflettere che comunicazione e speculazione sono solo possibili declinazione del termine Intelligenza. Se l'obbiettivo da raggiungere è il problem solving il metodo "umano" non è il solo e probabilmente nemmeno il migliore. Anzi penso che il corredo emozionale che ci portiamo dietro oltre che essere una sfida da riprodurre se si vuole soddisfare il test, sia un limite alla risoluzione di problemi stessi. Per questo (opinione mia) sarebbe meglio sganciarci dall'idea di dover creare nostre copie. E' una sfida affascinante ma altrettanto poco produttiva. Questo articolo è già citato nella sitografia :) Non sono solito "prendere senza dare" :)

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di ,

ciao fairyvilje, mi fa piacere che questo articolo ti sia stato utile (magari se ti capita citalo). Non capisco però la tua osservazione, puoi spiegarla meglio?

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di ,

E' chiaro che non esistono solo "intelligenze umane" altrettanto adatte al problem solving e questo il test di Turing non lo considera. Questo articolo è stato uno spunto utilissimo visto che dopodomani discuterò la mia tesina della maturità su questo argomento.

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di ,

La "voglia di apprendere" che citavo nell'articolo è l'embrione dell'autodeterminazione, cioè fornire alla macchina uno scopo iniziale, un "istinto" che la spinga a perseguire uno scopo. Questo renderebbe la macchina ben lontana dalle attuali poichè il suo sistema operativo resterebbe in costante esecuzione senza cicli di idle, perchè anche in mancanza di sollecitazione esterna la macchina deciderebbe comunque cosa è opportuno fare per i propri scopi. Ecco l'inizio dell'autocoscenza di cui parlavo. Ben lungi da me l'idea di identificare la mente umana ad una macchina così fatta (figuriamoci avere un'anima) ma è inevitabile chiedersi quali sarebbero, in effetti le vere differenze tra le due. Altro enorme problema sarebbe inserire questo istinto senza incanalare la macchina su binari predeterminati. Cioè, per inserire uno scopo nella macchina devo programmarvi qualcosa, per programmarvi qualcosa devo inserire una serie di istruizoni di base ma inserendo tali istruzioni di base violerei il concetto di partenza secondo il quale la macchina non deve avere istruzioni predeterminate. Forse è questo il vero ostacolo da superare.

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di Foxtrot,

Grazie per la risposta sig. Davide. Cerco di spiegare meglio il concetto che volevo sottolineare: ammettiamo di avere una macchina che superi il test di Turing brillantemente (rispettandone chiaramente gli assiomi), ovvero un suo qualsiasi interlocutore non riesce a distinguerla da una controparte umana. Sulla base di questo (e solo questo) risultato possiamo dire che la macchina è intelligente? La stessa macchina ha una coscienza? Che differenza c'è tra intelligenza e coscienza? Penso che per dare ragione a Turing o ai suoi detrattori bisogna prima intendersi su cosa intendiamo definire con questi termini (alcuni hanno inserito in questo dibattito addirittura il concetto di "anima" chiaramente ancor più nebuloso dei precedenti e spesso influenzato dalle convinzioni religiose). Ma esiste una definizione univocamente condivisa dei suddetti termini? Insomma per superare il test di Turing è veramente "necessario" pensare? Chiaramente non ho risposte, ma solo domande che però (probabilmente non essendone all'altezza intellettuale) non mi permettono di avere le stesse convinzioni di un genio come Turing. Un caro saluto, aspetto altri suoi articoli, magari relativi a questo stesso argomento.

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di ,

Ciao Foxtrot, grazie per il commento. Attenzione ad estrapolare una frase da un ragionamento così complesso e articolato perchè può apparire qualcosa che non ho detto. Ho detto che, secondo i canoni di Turing, il test richiede che la macchina pensi, ossia sappia fare l'associazione di idea e significato, cioè proprio quello che obietti. La macchina di Turing, per come lui l'ha concepita, non fa una simulazione perchè la sua stessa programmazione contiene la propria autocoscienza. Ora può sembrare ingenuo pensare all'esistenza di una autocoscienza in una macchina che esegue solo semplici istruzioni, ma se pensi a quello che fanno i nostri pc semplicemente sommando tra loro 0 e 1 allora forse non ti sembrerà più così ingenua la cosa. Davide La Mantia

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di Foxtrot,

"...La cosa interessante e che questo ci consente di dire che, come sosteneva Turing, per superare il suo test è necessario “pensare” e non è affatto sufficiente “simulare” come invece sostenevano alcuni suoi detrattori... ". Beh non ne sarei tanto sicuro (vedasi dibattito avviato da Searle con la sua "stanza cinese"). Un automa che dia risposte sensate a qualsivoglia suo input superando il test di Turing non è detto che sappia associare un significato (semantica) a ciò che stà affermando. Potrebbe anche solo applicare una serie (anche immensa) di regole per dare risposte credibili ma non riuscire ad associarci una semantica (o comunque la stessa che daremmo noi). Comunque sia è un dibattito che mi ha sempre affascinato dai tempi dell'Università (corso di Teoria dei Grafi - Scienze dell'informazione).

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