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Sulla legge di Lenz

A seguito di un thread aperto nel forum, è risultato evidente come un concetto fondamentale, quale la legge di Lenz, sia di fatto sconosciuto ai più. Non sono stupito, anche a me è stata insegnata in modo del tutto scorretto e solo l'intervento a distanza di anni di nuovo mentore, mi ha aperto gli occhi. Cerco di trasferire ciò che ho ricevuto.
Consideriamo una spira conduttrice S, aperta in AB e attraversata da un flusso magnetico variabile nel tempo Φ(t). La legge di Lenz afferma che ai capi aperti AB si sviluppa una differenza di potenziale E, funzione del gradiente del flusso Φ. In formule

E=- \frac{d\phi}{dt} (1)


Il verso di E sarà tale per cui, chiudendo il circuito, la corrente circolante genererà nella spira un flusso tale da opporsi alla variazione che l’aveva generata.

Supponiamo ora che la spira abbia una resistenza propria R e cortocircuitiamo A e B. Si potrebbe pensare che il modo corretto di procedere per individuare la corrente circolante I, sia quello di applicare la legge di Ohm. In formule

I= \frac{E}{R} (2)


Questo è un grave errore. Forse è l’errore più subdolo e diffuso dell’elettrotecnica. Subdolo perché l’equazione appare semplice e lineare, diffuso perché commesso in tutte le aule dagli stessi insegnanti, di ogni grado, creando di fatto una pandemia. Da questo errore deriva l’assurdo delle correnti infinite nelle spire ideali a resistenza zero. Nulla di più errato.

Vediamo ora un semplice esempio che dimostra in modo inconfutabile come l’applicazione in sequenza di (1) e (2) porti all’assurdo.

Si abbia una spira S, aperta in A-B con resistenza di 1 ohm, e la stessa sia attraversata da un flusso magnetico la cui intensità decresca con il tempo in ragione di 1 \frac{Wb}{m^2s}. L’applicazione dell’equazione (1) porta alla conclusione che ai capi A-B si sviluppi una differenza di potenziale pari a 1 V. Tensione costante nel tempo. Si chiudano ora i capi A-B. L’applicazione della (2) porta alla conclusione che la corrente circolante sia anch’essa costante, pari a 1 A.

Questo è ovviamente assurdo perché una spira chiusa, attraversata da un flusso variabile nel tempo, deve essere soggetta ad una corrente variabile in grado di contrastare la variazione del flusso in essere (legge di Lenz).

Come si deve affrontare correttamente il problema? Considerando l’induttanza della spira, non la sua resistenza.

L’induttanza è la grandezza che non poteva essere tralasciata, mentre la resistenza può essere considerata esclusivamente un elemento di disturbo. E’ paradossale come alcuni docenti (forse rendendosi parzialmente conto delle incongruenze) si premurino di indicare negli esercizi di tralasciare nei calcoli l’induttanza della spira. Follia! Tralasciando questa grandezza, l’errore è garantito.

Se consideriamo la spira una pura induttanza a resistenza nulla, la corrente circolante sarà

I=  \frac{1}{L} \int E dt (3)

Formula nella quale abbiamo tralasciato la costante di integrazione, considerando la corrente iniziale nulla all’inizio dell’integrazione stessa. Questa è la formula da applicare nel caso in esame, non la legge di Ohm.

Vediamo ora l’esempio precedente applicando le equazioni (1) e (3), anziché (1) e (2).

Abbia la spira di cui prima un’induttanza di 1 H e resistenza nulla. L’applicazione dell’equazione (1) porta alla conclusione che ai capi AB si sviluppi una differenza di potenziale pari a 1 V. Tensione costante nel tempo. Si chiudano ora i capi A-B. L’applicazione della (3) porta alla conclusione che la corrente circolante sia crescente nel tempo in ragione di 1 A/s che a sua volta genererà un flusso contrario di 1 \frac{Wb}{m^2s}, tale da annullare la variazione di flusso nella spira.

Questa conclusione è in accordo con la legge di Lenz.

Cosa c’è di sbagliato nell’applicazione di (1) e (2) in sequenza? L’errore è profondo e consiste nel considerare E indipendente. Se uniamo le due equazioni (1) e (2)

I= -\frac{1}{R}  \frac{d\phi}{dt} (4)

ciò che ne risulta non è un’equazione algebrica, ma un’equazione differenziale. Φ è funzione di I in quanto differenza tra il flusso imposto e quello generato dalla spira stessa.

L’equazione (4) non rappresenta comunque l’equazione corretta, perché non considera l’induttanza della spira. La risoluzione dell’equazione differenziale completa (che consideri sia R sia L) mostra come il termine R possa essere anche pari a zero senza invalidare il risultato, mentre imporre induttanza nulla porti a soluzioni impossibili.

Angelo

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Commenti e note

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di ,

Sì, anche io intendevo dire che la deduzione "trascuro la resistenza -> la corrente non è infinita" non è corretta perchè l'ipotesi non lo è, proprio perchè c'è anche una induttanza. L'unica cosa che si può dire è che trascurando entrambe si arriva ad una rete impossibile. Se trascuro solo la resistenza ho una rete non strettamente passiva, per cui l'energia (non potendo "sparire" abbandonando il mondo elettrico per trasformarsi in calore) deve necessariamente accumularsi. Infatti questo si vede dall'andamento della corrente.
Come ho scritto fin dal mio primo commento, la legge di Lenz è una diretta conseguenza della conservazione della carica.
Altro appunto che si potrebbe ancora fare (per complicarci la vita ) è che anche le reti non strettamente passive non esistono. Prima o poi qualche grandezza diventa così grande che dobbiamo necessariamente tenere conto di fenomeni dissipativi.
Anche in un superconduttore, come ho già scritto nel thread collegato a questo articolo, a furia di aumentare la corrente si provoca la sua brusca fuoriuscita dalla superconduttività.
E' ragionevole, non potendo qualunque sistema fisico accumulare energia per sempre.
Questo purtroppo però non significa che è sbagliato trascurare la resistenza, ma significa che ogni modello vada adeguato al suo campo di validità.
Per riprendere l'esempio di gill90, che reputo molto pertinente, nei primi istanti del transitorio di un gruppo RL posso trascurare la resistenza e avrò un andamento lineare crescente della corrente. Posso con ragionevole approssimazione considerare la rete non strettamente passiva e posso pensare che tutta l'energia venga accumulata nell'induttore. Quando la corrente cresce a sufficienza l'energia persa in calore a causa della resistenza diventa influente e non è più possibile fare questa approssimazione. Si vede bene dall'andamento della corrente, che devia dalla linearità.
Quindi trascurare la resistenza è possibile, stando al di sotto di un opportuno modello.
E' interessante notare che potrebbe essere possibile anche l'inverso, cioè trascurare la sola induttanza, qualora l'energia accumulata dal sistema sia trascurabile rispetto a quella persa in calore. Il modello diventa quello di un generatore di tensione chiuso su una resistenza. Nel caso precedente si aveva un transitorio eterno, in questo un transitorio nullo: entrambi non sono la realtà, ma solo delle approssimazioni che valgono per un periodo limitato di tempo, il primo a patto di non andare troppo lontano da t=0, il secondo a patto di non andarci troppo vicino. Un cattivo modello è invece quello che trascura entrambi: non va bene nè per periodi di tempo troppo vicini a t=0, nè per periodi di tempo troppo lontani, infatti viene fuori una rete impossibile.

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di ,

Occhio però che la mia intenzione non era quella di discutere la tesi dell'esistenza o applicabilità (o meno) delle correnti infinite, ma semplicemente di far notare che i tuoi ragionamenti sono in parte sbagliati. In alcuni punti non si capiscono i passaggi che ti portano a concludere che le tue ipotesi sono giuste, per cui la mia intenzione (e immagino anche quella di admin e PietroBaima) è solamente mostrarti che il procedimento deduttivo non è corretto. Se poi si tira in ballo la superconduttività, allora il discorso cambia eccome, però cambiano anche le equazioni... Con le sole leggi di Ohm e Faraday-Neumann-Lenz purtroppo non si scappa. Sono d'accordo con te sul fatto che la natura non sia così menagrama da regalarci nella pratica un'assurdo teorico come le correnti infinite, ma stando a queste due equazioni in linea teorica è accettabile, se vuoi dimostrare il contrario devi per forza rivolgerti a fenomeni (ed equazioni) più complessi.

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di ,

Grazie della puntualizzazione gammaci. Riferimenti molto interessanti. Come deciso qui sotto, non commenterò ulteriormente la questione. Gli interessati hanno materiale per trarre le loro conclusioni.

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di ,

Io seguirei percorso diverso, data proprio la legge di Faraday - Lenz - Newmann, un conduttore sottoposto ad una variazione di flusso magnetico "risponde" con correnti tali da contrastarne la variazione. Un conduttore che ipoteticamente avesse una resistenza pari a zero si direbbe "perfettamente diamagnetico". Un tale conduttore espelle dal suo interno il flusso magnetico, chiamato dal nome del suo scopritore tale "effetto Meissner". Credo che per calcolare quale sarebbe una possibile corrente si debba usare la "formula di London". Lo spessore di penetrazione non risulta nullo (niente corrente) ma dell'ordine dei nanometri (una certa corrente) non infinita.

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di ,

La rete non è strettamente passiva, per questo la corrente può crescere senza limite. Certo che per avere una corrente infinita bisognerà attendere un tempo infinito.

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di ,

Ah questa poi! Anche tu con la corrente infinita? Ok. Ci rinuncio.

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di ,

Non è un assurdo: le correnti tendono proprio all'infinito se . Prendi

e fai il limite per
. Esprimendo innanzitutto l'esponenziale in serie di Taylor nell'intorno t=0 trovi
.
Semplificando ottieni

da cui facendo il limite ricavi infine l'espressione risultante che è:
,
la quale rappresenta l'espressione risultante nel caso di spira con resistenza trascurabile. L'andamento della corrente è a rampa (lineare), e in quanto tale non è limitato superiormente, continua a crescere finchè viene mantenuta l'alimentazione (la tensione indotta E generata dal campo magnetico variabile. Ovviamente la pendenza dipende da L: tanto più essa sarà elevata, tanto più lentamente crescerà la corrente. Viceversa, per valori molto bassi la corrente crescerà velocemente. Ma sempre indefinitamente.

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di ,

gill90 affronta il problema in modo corretto. Prima in modo analitico, risolvendo l'equazione differenziale (come scritto nell'articolo), poi verifica se si possa semplificare l'equazione restringendone il campo di validità. In pratica R>>L oppure L>>R. In questo modo non si cade nell'errore di fare prima la semplificazione R>>L e poi utilizzare l'equazione (4) ponendo R a zero cosa che nega l'ipotesi iniziale. J.A. Edminister fa proprio questo: risolve il problema in modo semplificato, dando però una soluzione analitica di validità generale che porta all'assurdo di ottenere correnti infinite per resistenze di spira che tendono a zero.

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di ,

Senza tirare in ballo formule, l'autoinduttanza è una misura di quanto la geometria del circuito permetta ad esso di concatenare tanto più flusso magnetico per da un determinato valore di corrente circolante. Non vedo nulla di male nel supporre l'induttanza trascurabile se la geometria è particolarmente sfavolevole, così come non c'è nulla di male a supporre trascurabile la resistenza del filo. Comprendendo entrambe i termini, l'equazione complessiva da considerare è

la cui soluzione per i(t), combinazione lineare di una omogenea e di una particolare, con condizione iniziale nulla

è
.
Il fattore di induttanza L influisce sulla "velocità di variazione" dell'andamento temporale, mentre il fattore di resistenza R anche sul valore a regime.
Se L è molto piccola, allora il contributo di campo magnetico indotto dalla corrente (a sua volta indotta dal campo generato esternamente) sarà ininfluente, per cui la corrente andrà subito a regime
.
Se invece R è piccola, in tal caso il contributo di campo magnetico della corrente indotta sarà influente, per cui alla corrente occorrerà del tempo per stabilizzarsi a causa dell'interazione dei due campi: questo avviene con limite superiore e andamento esponenziale se R>0, senza limite superiore e con andamento lineare (che è il troncamento di Taylor al primo ordine dell'esponenziale) se R=0.

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di ,

Stiamo perdendo il filo del discorso. Io ho sempre parlato di condizioni ideali non di approssimazioni della realtà. E non ha senso parlare di generatori ideali in corto o altri esempi che portano solo confusione. Questo articolo riguarda l'esercizio che hai portato come prova della supposta corrente infinita. Hai preso la soluzione analitica, hai eguagliato R=0 e dedotto che la corrente potesse raggiungere l'infinito. Questo è errato. Non la tua applicazione di quella formula (semmai si potrebbe commentare il suo utilizzo acritico), è la formula ad essere errata. E' l'esercizio ad essere stato risolto in modo errato. Viene data una soluzione ANALITICA che invece è un'approssimazione valida solo in determinate condizioni che, tra l'altro, sono ben distanti dalla realtà. Il fatto che quella soluzione analitica sia errata è dimostrato anche dal fatto che pure tu l'hai applicata ottenendo un risultato impossibile. Quando un problema di fisica viene risolto in modo analitico, il risultato deve essere valido in ogni condizione, non in un ristretto ambito, neppure indicato. Questo articolo è qui perché tra tutti i professionisti e professori che hanno messo parola sull'argomento nel forum, TUTTI escluso due (di cui uno sono io) erano convinti che le spire a R=0 in movimento in campi costanti potessero raggiungere correnti infinite. Il vero problema è che anche tra gli autori dei libri di testo la percentuale non cambia e questo errore grossolano è riportato testo su testo. Quell'esercizio è l'esempio lampante. Io ho detto la mia non per dare contro a te (non me ne viene nulla), ma per rispondere a un quesito accattivante che tocca un argomento che mi è costato tanto lavoro comprendere in modo corretto, proprio a causa di molti testi scritti sovrapensiero (diciamo così). Credo invece che EY avrebbe potuto cogliere l'occasione per chiarire ai più la faccenda. Non si vuole fare? Peccato per gli altri.

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di ,

Che le correnti reali non possano essere infinite siamo d'accordo. Ma se io chiedo qual è la corrente di cortocircuito di un generatore ideale di tensione, non posso che rispondere che è infinita. Se invece chiedo qual è la corrente di cortocircuito di un generatore ideale di corrente, non è difficile rispondere che è la stessa corrente del generatore di corrente ed è infinita solo se ipotizziamo che sia infinita quella del generatore stesso. Alla medesima conclusione si arriva se si interpone tra il generatore ed il cortocircuito un trasformatore ideale. Se da qualche parte ho scritto che la corrente di cortocircuito di un generatore di corrente di valore finito è infinita, ho sbagliato evidentemente.
Se si ipotizza che l'induzione sia costante, si trascurano l'induttanza del circuito indotto e la sua resistenza, si arriva alle stesse conclusioni del generatore ideale di tensione. Se poi vuoi dire che questa situazione non si verifica nella realtà, non posso che essere d'accordo: stiamo parlando di generatori e componenti ideali, e stiamo facendo ipotesi sulle impedenze circuitali. Le situazioni ideali non esistono nel mondo reale e se vogliamo realmente schematizzare questi casi estremi, non possiamo trascurare più nulla. Ma questo non significa che lo si deve fare in ogni caso, anche quando si è distanti dai casi estremi.

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di ,

admin, prendo dal tuo commento una delle frasi sulle quali non ci sono dubbi.

admin ha scritto:
E’ evidente che se il circuito è aperto il flusso concatenato con il circuito è solo quello prodotto da cause esterne al circuito

e ti faccio notare che nel forum, in queste precise condizioni, scrivi che per R=0 secondo te la corrente deve essere infinita. Vedi tu. Scrivi anche che la corrente deve essere infinita al secondario in corto di un circuito magnetico chiuso dove al primario c'è un generatore di corrente costante, ma questo lo prendo come svista. Poi le polemiche possono essere trascinate all'infinito, ma le correnti no. L'ho scritto fin dall'inizio. Qualcuno lo ha capito, altri continuano a considerarlo come spunto polemico.

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di ,

demos81 ha scritto:
A primo membro ho un integrale su un volume di una divergenza.. se ragiono con il teorema della divergenza posso ricondurlo al flusso della corrente elettrica attraverso una superficie chiusa.

Con il teorema della divergenza l'integrale in questione diventa

Prova a fare l'analisi dimensionale dell'integrale, è un'area.
Ricordati che stiamo parlando non di flussi di correnti elettriche ma di correnti magnetiche.
demos81 ha scritto:
Anche ragionando allo stesso modo con il secondo membro dell'equazione e usando la prima equazione di Maxwell mi ritrovo il flusso del campo elettrico o del campo induzione elettrica...

Fai semplicemente una analisi dimensionale, ricordando che parliamo di densità di carica magnetica.
Ciao,
Pietro.

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di ,

Scusa PietroBaima, c'è qualcosa che mi sfugge sulla tua affermazione finale (son un pò arrugginito e non riesco a farmi quadrare la cosa). A primo membro ho un integrale su un volume di una divergenza.. se ragiono con il teorema della divergenza posso ricondurlo al flusso della corrente elettrica attraverso una superficie chiusa. Anche ragionando allo stesso modo con il secondo membro dell'equazione e usando la prima equazione di Maxwell mi ritrovo il flusso del campo elettrico o del campo induzione elettrica... Non riesco a ricollegarmi con la tua affermazione dove il primo membro sarebbe riconducibile a una tensione e il secondo al flusso.

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di ,

Innanzitutto la (1) non è la legge di Lenz, ma la legge di Faraday-Lenz, cui di solito si aggiunge anche il nome di Neumann.
La legge di Faraday afferma che la tensione indotta in un circuito è prodotta dal flusso variabile che si concatena con il circuito; Lenz precisa che la tensione indotta ha una una polarità tale da produrre un effetto che si oppone alla variazione di flusso. L’effetto si manifesta quando la corrente si instaura nel circuito chiuso, ed è il flusso magnetico che essa produce.
E’ evidente che se il circuito è aperto il flusso concatenato con il circuito è solo quello prodotto da cause esterne al circuito, ma quando il circuito è chiuso, il flusso concatenato comprende, oltre a quello dovuto a cause esterne, quello prodotto dalla stessa corrente nel circuito. Il suo valore è legato all'induttanza del circuito, ineliminabile, poiché non si può vietare alla corrente di produrre un campo magnetico, ma che può essere trascurabile rispetto a quello esterno. Del resto non esistono resistenze, induttanze o capacità pure, ma solo bipoli comprensivi di tutti i fenomeni legati alla corrente ed alla tensione elettriche: il campo magnetico, il campo elettrico, l'effetto termico. La purezza deriva dal fatto che si trascurano due dei tre fenomeni fisici sempre presenti
Quando si considera la tensione indotta a circuito aperto per valutare la corrente con la legge di Ohm con il circuito chiuso, come in (2) significa che si trascura il flusso autoindotto, perché lo si ritiene trascurabile. Non è nulla di diverso dal calcolo della corrente su una resistenza applicando la legge di Ohm ed usando la tensione a vuoto di un qualsiasi generatore: è lecito farlo se la differenza tra la tensione a vuoto e la tensione a carico è trascurabile. La tensione a carico dipende dalla corrente erogata in modo più o meno importante a seconda delle caratteristiche di carico e generatore. Allo stesso modo il flusso a carico dipende in modo più o meno importante dalla corrente a seconda delle caratteristiche del circuito e del campo induttore. Non c’è quindi alcun errore subdolo nel procedimento da te descritto commentando la (2), o meglio, l’errore, più che subdolo, è palese se non si considera il corretto flusso della legge di Faraday.
Se si legge un po’ di teoria della macchina sincrona, quindi tensione a vuoto, reazione di indotto, diagramma di Potier, Blondel ecc. non è difficile constatare quale sia il flusso corretto per calcolare la forza elettromotrice indotta.

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di ,

Non vorrei dire, ma ho come l'impressione che tu lo sappia.

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di ,

E dov'è l'incongruenza tra ciò che ho scritto io e quello che hai scritto tu? L'ultima tua equazione è la (1).

Rispondi

di ,

Ahem...
La legge di Lenz è una conseguenza della conservazione della carica!
Se scrivo la conservazione della carica:

e poi la integro su un volume, per ottenerne una versione macroscopica, ottengo che:

portando la derivata fuori dall'integrale (spazio e tempo possono ritenersi separabili, qui):

L'integrale a primo membro è una tensione, mentre l'integrale a secondo membro è un flusso, da cui:


Fai più attenzione a quello che scrivi.
Ciao,
Pietro.

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