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IPv6: una transizione indolore?

Indice

Premessa

Una domanda che gira nelle menti di alcuni o molti di noi è questa: se e per quanto l’Internet potrà rimanere “libera” e a basso costo e soprattutto così ben funzionante. Ogni tanto arrivano infatti preoccupanti notizie di oscuramenti informativi da parte di alcuni governi. Siamo anche diventati molto Internet-dipendenti, quasi come per il telefono e l’energia elettrica, tanto che se l’Internet si fermasse molti di noi si troverebbero in grandi ambasce. Mentre da una parte questa libertà di comunicare qualsiasi cosa ha i suoi contro, pericolosi o imbarazzanti, dall’altra ormai la sentiamo come irrinunciabile e l’idea di una sua restrizione genera in noi una leggera e strisciante inquietudine.

Un po' di conforto

Tuttavia un conforto lo possiamo trovare nel fatto che la “libertà” dell’Internet è il fondamento di quella rapida espansione come mezzo di business iniziata una ventina di anni fa. E non mi riferisco solo all’e-commerce, naturalmente, che ne è solo l’aspetto (per ora) meno rilevante.

Un altro conforto può venire anche dalla constatazione che esistono intorno all’Internet varie organizzazioni, oltre a quelle tradizionali (W3C, ICANN, etc.), che ne promuovono e custodiscono, per così dire, la sua indipendenza e il suo ruolo di “facilitatore di civiltà”, magari idealizzandolo un po’.

Una di queste è la Internet Society, che si autodefinisce “a global cause-driven organization governed by a diverse Board of Trustees that is dedicated to ensuring that the Internet stays open, transparent and defined by you” (un’organizzazione motivata a livello globale, governata da un gruppo di fiduciari di diversa estrazione, dedicata ad assicurare che l’internet rimanga aperta, trasparente e definita dagli utenti).

I temi affrontati da questa organizzazione sono molto interessanti e sono i seguenti:

  • Access: Arrivare all’accesso a Internet per tutti
  • Domain Name System (DNS) e Domain Name System Security Extensions (DNSSEC): L’importanza della gestione dei nomi e della sicurezza ad essi associata
  • Human Rights: Vedere Internet come un “abilitatore” (enabler) di diritti umani
  • Innovation: Lavorare con governanti, business people e comunità per orientare l’innovazione nella direzione della civiltà
  • Online Identity: Concentrare l’attenzione sulla difesa della privacy on line
  • Intellectual Property: Rivedere il concetto di proprietà intellettuale e a studiarne le implicazioni indotte da Internet
  • Internet Exchange Points (IXPs): Capire come ottimizzare la connettività, in modo da ottimizzare il costo e il peso dei percorsi di traffico dati
  • Internet Regulation, Net Neutrality, Privacy, Security: Preservare la neutralità di Internet giocando su libertà di innovazione, accesso aperto e collaborazione.
  • Routing, Autonomous Systems (ASNs), Border Gateway Protocol (BGP): Affrontare la problematica del routing e le sue implicazioni tecniche ma anche organizzative
  • Internet Governance, Standardisation: Gestire/studiare la coordinazione degli standard tecnici, l’esercizio delle infrastrutture, lo sviluppo, la legislazione e molto altro
  • Spam: Affrontare I problemi dello spam e della messaggistica fraudolenta
  • Internet Protocol (IP) Addressing: Gestire l’indirizzamento di rete e della sua crescita
  • IPv6: Adottare estensivamente IP versione 6 per superare le limitazione della versione 4 e per ottenerne altri vantaggi.


Manutenzione ben indirizzata

La libertà di comunicare di cui parlavo prima, una volta che sia salvaguardata, necessita ovviamente di adeguati supporti tecnici; dei quali fondamentale è l’infrastruttura di rete e la sua manutenzione, che non può essere solo correttiva ma deve essere in molti casi preventiva o addirittura proattiva. Uno di questi casi è proprio l’indirizzamento di rete, che è parte del ben conosciuto protocollo IP (internet Protocol). Gli indirizzi di rete vengono assegnati a livello globale da ICANN (Internet Corporation for Assigned Names and Numbers) agli ISP (Internet Service Provider).

Gli indirizzi previsti dal protocollo IP versione 4 (quello da sempre in uso su Internet) sono ormai finiti, cioè sono stati tutti assegnati, e non certo da oggi.

Urge correre ai ripari! E’ proprio questo l’ultimo argomento dell’elenco della Internet Society: IP versione 6.

Pacchetti e protocolli

Come si sa, i dati in rete viaggiano raggruppati in “pacchetti”, ognuno dei quali rassomiglia a una busta con lettera al suo interno. La busta ha su di sé l’indirizzo del destinatario e quello del mittente e così è lo “header” del pacchetto: nello header si trovano vari bit “di servizio”, tra cui i 32 che costituiscono l’indirizzo IP di rete. La “lettera” è costituita dal resto dei dati, i quali però possono anche rappresentare un’altra busta con lettera, e questa “contenere” un’altra busta con lettera e così via, come una matrioska.

La quantità di indirizzi IP disponibili si è esaurita anche se non sembrava piccola. Quando, nei primi anni ’70, Cerf e Khan pubblicarono per IEEE (Institute of Electrical and Electronic Engineers) “A Protocol for Packet Network Intercommunication”, furono certi che i 32 bit contenuti nella parte “Internet Protocol” (IP) della cosiddetta suite TCP/IP e destinati a identificare l'indirizzamento di rete sarebbero bastati a coprire le esigenze di comunicazione fra computer, non potendo nemmeno immaginare l’insorgere di un numero così alto di “individualità informatiche”, ciascuna delle quali bisognosa di un indirizzo di rete diverso, facendo diventare i 4 miliardi da loro previsti largamente insufficienti.

Nuovi protocolli standard

D’altra parte, con lo svilupparsi dell’Internet, i vari guru pensarono che sarebbe stato necessario sviluppare nuovi protocolli, più adatti ad affrontare una probabile crescita delle reti. Nacque così la cosiddetta OSI (Open System Interconnession) a cura della ISO (International Standard Organisation), come alternativa agli standard di networking governativi (come ARPANET negli USA, di cui faceva parte la suite TCP/IP) e a quelli dei vendor (SNA di IBM, DECNet di DIGITAL).

Il risultato principale, duraturo e assai rilevante, fu l’elaborazione del Modello ISO/OSI, un modello di comunicazione “di riferimento”, basato su un concetto di modularità della comunicazione: considerando 2 interlocutori A e B, si individuano per entrambi una serie di processi comunicativi “corrispondenti”, ognuno indipendente dagli altri. Chiamando questi processi A1, A2, A3, … An e B1, B2, B3, … Bn il modello prevede che A1 scambia messaggi con B1, A2 con B2, etc. con un protocollo ben definito. Il modello viene rappresentato come “a 7 strati” (layers) posti in una “pila” verticale, per evidenziare che ogni processo (strato) colloquia con il corrispondente.

Modello ISO OSI.gif

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Questa rappresentazione è ovviamente astratta e potrebbe anche essere fuorviante, perché sembra che le funzioni si “parlino” tutte contemporaneamente su 7 canali in parallelo. E in effetti è così sul piano logico, ma si tratta pur sempre di una trasmissione seriale, se pure bidirezionale. Quindi si tratta di una conversione serie-parallelo e di una parallelo-serie.

Come si vede dalla figura ogni gruppo di dati di un protocollo di un certo livello (o strato/layer) è “payload” per lo strato inferiore, che vi aggiunge la propria intestazione (dati di servizio), fino a formare il pacchetto completo che viaggia sulla linea.

Oltre al modello, furono costruiti anche i relativi protocolli per ciascuno strato, che però si rivelarono ben presto poco utilizzabili: pesanti e rigidi, come ispirati a uno stato fortemente burocratico. Ben presto, chi li adottò, dovette sbarazzarsene il più in fretta possibile.

Il modello fu semplificato, adottando i vecchi protocolli della suite TCP/IP che divennero in breve lo standard “de facto”. Anche se esiste una miriade di protocolli proprietari, confinati entro mondi chiusi, tutto il mondo internet si muove ormai utilizzando questo modello comunicativo. Chi inventò quei protocolli non fu forse lungimirante, ma fu estremamente abile nel progettarne la funzionalità.

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A parte vari protocolli caduti ormai in disuso, nello strato Application troviamo i protocolli http, https, ftp, telnet, etc.

Lo strato Transport (che include anche il vecchio strato Session) è coperto da TCP. Questi due strati non “vedono” la rete: sono appunto “end to end”.

Lo strato Internet è quello della rete ed è coperto quasi ovunque dal protocollo IP, nella tradizionale versione 4, e dai protocolli “di routing” (RIP, IGRP, OSPF, …), usati appunto dai router.

Nello strato 2, quello detto Link, troviamo i protocolli Ethernet, Point-to-Point Protocol (PPP), Wi-Fi, ATM .

Nello strato 1 (rappresentato in figura un po’ fuori dal modello) detto “Fisico” ci sono lo standard Ethernet (che quindi comprende i due primi strati), il DSL (o ADSL), il Bluetooth, e molti altri; il livello fisico riguarda i canali fisici di trasmissione e quindi le interfacce quali SCSI e una grande varietà di codici di linea (Manchester, HDBn, ITUT-G, etc).

Il terzo strato

Prendiamo in considerazione adesso lo strato 3, quello detto “Network” o “di rete”. Qui domina ormai il protocollo IP, almeno tra quelli che l’utente “vede”. Ma come dicevo, gli indirizzi per il protocollo IP versione 4 sono esauriti ed è stato necessario provvedere a un aggiornamento: nel 2004 è stato rilasciato il protocollo IP in versione 6 (IPV6). Esso è stato introdotto realmente nel 2008 ma è ancora assai poco diffuso. Oltretutto IPV4 verrà impiegato almeno fino al 2025, per dar modo a tutti di adeguarsi.

Gli indirizzi IP di cui parliamo sono quelli “internet” ossia contenuti in pacchetti che viaggiano sull’Internet. All’interno di organizzazioni è ovunque diffusa la pratica del NAT (Network Address Translation), che consiste nell’associare agli indirizzi IP visibili in rete altri indirizzi visibili solo all’interno dell’organizzazione, ottenendo così un mascheramento dell’indirizzo che viaggia nella rete, oltre alla sua condivisione da parte di vari utenti interni. E’ chiaro che questi indirizzi IP interni non soffrono della limitazione di cui andiamo parlando, riferita agli indirizzi globali. Il NAT viene implementato tipicamente dai router e non è ben visto dai puristi delle reti, a causa delle complicazioni che introduce.


2011 World IPv6 Day

L’ 8 Giugno 2011, i maggiori fornitori di servizi internet, tra cui Google, Facebook, Yahoo!, Akamai e Limelight Networks si sono riuniti con 1000 altri siti partecipanti al World IPv6 Day dedicato a un collaudo su scala mondiale del nuovo protocollo IPv6.

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Attraverso un test coordinato di 24 ore, si è riusciti a dimostrare la possibilità di migrare verso l’uso esteso di IPv6 in tutto il mondo, consentendo così l’uso di internet a qualsiasi nuovo utilizzatore, senza limitazioni di numero.

Da quel giorno I principali ISP (Internet Service Provider), produttori di apparati e organizzazioni centrate sul web si sono uniti per abilitare permanentemente IPv6 sui loro prodotti e servizi, impegnandosi a garantire connettività sul nuovo spazio di indirizzamento ad almeno l'1% della loro utenza.

Il cosiddetto World IPv6 Launch rappresenta una pietra miliare nella diffusione globale di IPv6. Il 6 Giugno 2012 è stato il giorno di inizio della seconda fase di IPv6, quello del suo rilascio definitivo.

Come riporta Punto Informatico: “La transizione da IPv4 a IPv6 rappresenta un passaggio dalla portata storica che coinvolge sistemi operativi, operatori telematici e produttori di router/modem, ma uno switch-off riuscito dovrebbe risultare sostanzialmente trasparente all'utenza finale […]. Anche Vint Cerf, il co-creatore del protocollo TCP/IP (ovverosia quell'architettura base di Internet citata dalla succitata Akamai), parla di evento dalla portata storica im merito al passagio verso IPv6. Nella sua veste di "Chief Internet Evangelist" presso Google, Cerf definisce il nuovo protocollo come la base della Internet del 21esimo secolo e promette: "non avete ancora visto niente”.”

Secondo quanto riporta il portale Liquida “Nonostante gli annunci allarmistici, per la maggioranza degli utenti non cambierà nulla anche se, in futuro, sarà probabilmente necessario sostituire il modem o il router. Durante la fase di transizione l’utente potrebbe trovarsi però di fronte a dei rallentamenti. Si tratta in realtà di un pericolo più teorico che pratico: durante la fase di transizione è probabile che i principali operatori offrano doppi indirizzi, mantenendo l’IPv4 a fianco dell’IPv6.”

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Possibili transizioni verso IPv6


Dice Wikipedia che “IPv6 riserva 128 bit per gli indirizzi IP e gestisce 2128 (circa 3,4 × 1038) indirizzi […] Quantificando con un esempio, per ogni metro quadrato di superficie terrestre, ci sono 655.570.793.348.866.943.898.599 indirizzi IPv6 unici (cioè 655 571 miliardi di miliardi), ma solo 0,000007 IPv4 (cioè solo 7 IPv4 ogni milione di metri quadrati). Per dare un'idea delle grandezze in uso, se si paragona l'indirizzo singolo ad un quark (grandezza nell'ordine di 1 attometro), con IPv4 si raggiungerebbe il diametro dell'elica del DNA (di pochi nanometri), mentre con IPv6 si raggiungerebbe il centro della Via lattea dalla Terra (tre decine di millenni-luce).”

Come dire: per un po’, dovremmo stare tranquilli ….

Migliorie

Ma l’IPv6 contiene varie migliorie rispetto a IPv4, non soltanto l’ampliamento del numero di indirizzi. Il quale sembra eccessivamente “superdotato”; tuttavia si vuole evitare la frammentazione degli indirizzi in blocchi non contigui. Wikipedia riporta : “Per quanto riguarda i grandi gestori di telecomunicazioni, le principali migliorie sono:

  • header di lunghezza fissa (40 byte);
  • pacchetti non frammentabili dai router;
  • eliminazione del campo checksum, già presente negli altri strati dello stack protocollare e perciò ridondante.

Queste tre novità alleggeriscono molto il lavoro dei router, migliorando l'instradamento e il throughput (pacchetti instradati al secondo). Insieme all'IPv6 inoltre viene definito anche l'ICMPv6, molto simile all'ICMPv4 ma che ingloba il vecchio protocollo IGMP, assumendosi anche il compito di gestire le connessioni multicast. “

L'IGMP (Internet Control Message Protocol) è un protocollo di servizio, incapsulato in IP, usato ad esempio dall’applicativo “ping”. L'IPv6 incorpora alcuni protocolli che prima erano separati, come l'ARP, ed è in grado di configurare automaticamente alcuni parametri di configurazione della rete, come per esempio il Default Gateway. Inoltre supporta nativamente la qualità di servizio e introduce l'indirizzamento anycast, che permette ad un computer in rete di raggiungere automaticamente il più vicino server disponibile di un dato tipo (un DNS, per esempio) anche senza conoscerne a priori l'indirizzo.”


Conclusioni

L’indirizzamento di rete, pur riguardando la comunicazione in tutto il mondo, non è un problema di una gravità paragonabile a quello, ad esempio, dell’inquinamento. Però, considerando l’espansione esponenziale di Internet e della comunicazione, potrebbe diventarlo; la crescente diffusione degli RFID e loro derivati (vedi il mio articolo precedente) implica una voracità di indirizzi senza precedenti nella Storia. Vedremo quanto la transizione a IPv6 sarà indolore come viene detto. Io qualche dubbio ce l’ho.

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