Abstract
Immaginiamo di infiltrarci fra gli elettroni per accompagnarli nel loro viaggio da vicino. Ecco allora che scopriremo diversi fenomeni e cercheremo di spiegare alcuni concetti basilari in maniera intuitiva.
Premessa
Qualche anno fa, incominciavo ad interessarmi di autocostruzione elettronica, mi stuzzicava la voglia di provare a fare da solo, e così mi venne fra le mani un kit di una microspia FM, prodotta da una ditta di Viareggio, di cui ho purtroppo perso le tracce. Il kit era accompagnato non dal solito elenco dei componenti e la breve illustrazione del circuito insieme ai consigli per il montaggio, bensì da un opuscolo che mi colpì così tanto da farmelo conservare gelosamente e da farmi correre a comprare il mio primo libro di elettronica (Guida alla Elettronica di Andrea Vismara, ed. Mondadori).
Questo opuscolo colpì la mia fantasia e mi indirizzò verso gli studi tecnici, quindi ebbe un notevole impatto sulla mia futura formazione. Oggi voglio condividerlo con gli amici di ElectroYou con la speranza che qualche giovanissimo lettore resti fulminato (ops!) volevo dire affascinato, ed abbracci gli studi tecnici con passione. Ho deciso di scriverlo dopo aver letto l’articolo di elettrodomus: Elettricità spiegata anche ai bambini, che mi ha dato il LA in tal senso.
Il contenuto, che farà sorridere (spero non inorridire...) i più raffinati frequentatori del portale, è orientato a giovani lettori, magari studenti del biennio iniziale di un Istituto Tecnico Secondario, che hanno voglia di capire le basi dell’elettronica e che non sono ancora in grado di compiere il salto d’astrazione che richiede la matematica. Perché la matematica, formidabile strumento di sintesi, racchiude nei suoi formalismi tutti i processi logici e mentali comprensibili a chi ha già ampiamente assimilato l’oggetto, di cui essa rende il modello. Il modello matematico deve intervenire in un secondo momento, quando ci sarà modo di approfondire la materia. Naturalmente si tratta del mio personale punto di vista… Questo articolo non contiene nemmeno una formula.
Introduzione
Un circuito elettrico è sempre densamente popolato di protoni (cariche positive) ed elettroni (cariche negative), che sono piccolissime cariche di elettricità, tanto piccole che in un granello di sabbia ce ne sono miliardi di miliardi. Gli elettroni, mentre non vanno d’accordo con gli altri elettroni, sono attratti dai protoni. Elettroni con elettroni quindi si respingono, mentre elettroni con protoni si attirano. Saranno proprio questi disaccordi e questi amori che faranno funzionare il nostro TX. Gli elettroni, pur essendo fittamente presenti su tutto il TX se ne restano assolutamente fedeli ai protoni vicini, nel materiale isolante (il supporto plastico), mentre nei materiali conduttori di elettricità (le piste di rame e tutti gli altri componenti) possono scorrere da una parte all’altra.
Schema a blocchi minimo del TX
In effetti il nostro TX è lillipuziano e non c’è un vero e proprio amplificatore di potenza e l’antenna sarà un semplice filo di 75 cm.
Schema circuitale
Alimentazione
Per far funzionare il TX occorre prima di tutto una pila. Una pila è un serbatoio di energia elettrica, cioè un serbatoio di elettroni (negativi) tenuti a forza separati dagli amati protoni che stanno al polo positivo. Quanto più numerosi saranno gli elettroni del polo negativo nei confronti del positivo, ossia quanto maggiore sarà la differenza di potenziale esistente (i volt della pila), tanto più grande sarà il numero degli elettroni che andrà verso il positivo, quando la pila verrà collegata al circuito del TX. Inserita quindi la pila, gli elettroni escono di corsa dal polo negativo, per andare verso quello positivo e così facendo cominciano a spingere tutti gli elettroni che già abitavano tranquillamente il circuito e li costringono a scorrere verso il polo positivo, mettendo così in funzione il TX. Per gli elettroni che si trovavano già sulla via del polo positivo, il viaggio è stato breve, ma per quelli che escono dalla pila, la strada sarà lunga e piena di ostacoli. Qualcuno troverà vie più facili, altri vie più difficili, ma nessuno una via diretta.
in viaggio…
Usciti dal polo negativo (fig.2), i nostri amici elettroni cominciano a correre, spingendo quelli che gli stavano davanti, sulla strada del negativo, in cerca di una via che li porti al positivo. Provano dal condensatore C1, niente da fare, incontrano il microfono (MIC) ma anche da qui è impossibile, arrivano così alla deviazione che porta all’ingresso E (emettitore) del primo transistor (TR1). Così, mentre altri proseguono la corsa, i nostri amici, in una bella colonna compatta, si avviano ad entrare in quella casa misteriosa, che si para loro dinanzi e che è il TR1, preceduti dagli elettroni che gli stavano davanti. Entrando dall’ingresso principale E (emettitore) vedono subito com’è fatto il transistor, cioè un corridoio con ingresso dall’emettitore e uscita dal collettore (C), nel mezzo al corridoio una porta semiaperta saldamente collegata con una porticina pure semiaperta, che dà sull’uscita laterale di servizio B (base).Circuito di polarizzazione
Il transistor è perciò un oggetto con un ingresso (emettitore) e due uscite, una secondaria (base) ed una principale (collettore). Capiscono immediatamente che la porta dell’uscita principale C, da dove passa la maggioranza degli elettroni, è tenuta semiaperta dalla porticina pure semiaperta dell’uscita di servizio B, grazie al piccolo flusso di elettroni che deviano dal flusso principale passando da quest’uscita secondaria. Appare perciò chiaro che in assenza della pila, che spinge gli elettroni, le porte del transistor resterebbero completamente chiuse, mentre con la pila inserita, gli elettroni che escono da B aprendo la porticina per metà, aprono contemporaneamente per metà anche la porta principale C. Giunti nel transistor, anche i nostri amici elettroni, si divideranno in due correnti, seguendo i flussi di quelli che li precedevano; e così mentre un piccolo flusso di elettroni se ne andrà dall’uscita secondaria B, mantenendo col suo passaggio la porticina semiaperta, dalla porta principale ad essa collegata, e quindi pure semiaperta, passerà la corrente principale di elettroni che uscirà poi dal collettore C. Quei pochi elettroni che escono da B (permettendo alla maggioranza di uscire dal collettore) per giungere al desiderato polo positivo, dovranno fare un ben difficile cammino. Usciti da B infatti, devono attraversare la resistenza R1, che è una stradina stretta stretta e poi dopo R1 dovranno passare dall’altra strettoia che è R2, insieme a tutti gli altri. Questo piccolo flusso di elettroni, che uscendo da B, tiene la porta del corridoio semiaperta, si chiama “corrente di polarizzazione” e serve a far circolare attraverso il corridoio, la corrente principale che esce dal collettore. La resistenza R1 che fa passare i pochi elettroni della corrente di polarizzazione, si chiama “resistenza di polarizzazione”. Fin qui abbiamo visto il primo percorso che fanno gli elettroni, ma non abbiamo capito perché gli abbiamo fatto fare questa strada. Ecco il motivo: vogliamo amplificare, render più grandi gli impulsi che genera il microfono (MIC), e ciò avverrà nel modo seguente:
Stadio Modulatore
Quando un suono colpisce la membrana del microfono (piezoelettrico) (fig.3 e 4) gli elettroni che stanno sul micro, si spostano da un capo all’altro del micro stesso, e poiché un capo è in contatto con la base, si vanno a sommare o a sottrarre agli elettroni della corrente di polarizzazione che esce appunto da lì. Avverrà quindi che la corrente della base, la corrente di polarizzazione, verrà ostacolata quando gli impulsi del MIC si sommeranno (fig.3), o agevolata quando si sottrarranno (fig.4); di conseguenza la porticina e quindi la porta del corridoio, dalla posizione di semiaperta, si chiuderà o aprirà del tutto a seconda degli impulsi del microfono, facendo così passare in collettore non più una corrente continua, come accadeva in assenza di segnali del micro, ma una corrente impulsiva, con impulsi corrispondenti a quelli che arrivano sulla base dal microfono. Questi nuovi impulsi in collettore, saranno simili a quelli presenti in base, ma centinaia di volte più grandi come volevamo appunto ottenere. Attenzione adesso alla resistenza R2 (resistenza di carico). Sappiamo già che la resistenza è una strettoia, una strozzatura della strada, però da questa strettoia, finché non c’erano impulsi, gli elettroni che erano passati dalla porta semiaperta del transistor, se ne andavano tranquillamente verso il polo positivo. Adesso però quando in collettore “C” arriva un impulso dovuto alla spalancatura della porta, che succederà? Succederà che questa folata di elettroni, non potendo passare di colpo tutta insieme, si ammucchierà per un attimo all’ingresso di R2 (fig.4), andandosene poi gradualmente, prima che arrivi un nuovo impulso amplificato. E’ proprio grazie a questo momentaneo ammucchiarsi degli impulsi dovuto a R2, che noi potremo utilizzarli, come si vedrà poi.Circuito AGC
Vi siete chiesti perché la resistenza R1, che fa passare quei pochi elettroni della polarizzazione non va direttamente alla strada del positivo, ma si congiunge all’ingresso di R2? Adesso ve lo spiego: Per avere un controllo automatico di amplificazione (AGC Automatic Gain Control in english) o CAG (Controllo Automatico di Guadagno in italiano), cioè per fare amplificare al massimo quando i segnali del micro sono deboli, e per diminuire l’amplificazione quando sono troppo forti. Avviene infatti questo: la corrente di elettroni che passa attraverso R1 (corrente di polarizzazione) transita tranquillamente anche da R2, che è una strettoia notevolmente più larga, fintanto che non ci sono impulsi troppo amplificati. Quando però dal collettore arrivano folate di elettroni di impulsi troppo grandi, che vanno ad intasare l’ingresso di R2, gli elettroni che arrivano da R1, giunti all’ingresso di R2, trovano un folla che gli impedisce di inserirsi facilmente in questa nuova corrente di traffico, per cui rallentano la marcia (fig.4). Rallentando la marcia, anche dalla base, passeranno meno elettroni e quindi la porticina e la porta del corridoio ad essa collegata, diverrà meno aperta ed allora usciranno anche meno elettroni dal collettore C, si ridurrà perciò l’amplificazione eccessiva. La resistenza R1 per questo motivo, pur restando resistenza di polarizzazione, sarà pure resistenza di “controreazione” (infatti fa un’azione contraria). Grazie alla resistenza R2 i nostri impulsi amplificati saranno a disposizione per “modulare” la base del TR2, e così il “Modulatore” è terminato.sempre in viaggio…
Fatta una sosta, se è tutto chiaro, torniamo alla strada negativa di partenza per seguire gli elettroni che non essendo riusciti ad entrare in TR1 (R2 più di quel tanto non fa passare), hanno proseguito la corsa in cerca di altri ingressi verso il positivo, e notate bene, sono proprio questi la stragrande maggioranza. Lasciata la deviazione per l’emettitore del TR1, gli elettroni usciti dalla pila (fig.5), trovano il condensatore C2 che come al solito non li lascia passare, arrivano così finalmente alla resistenza R3, che essendo una leggerissima strettoia, li lascia transitare abbastanza facilmente. Oltrepassata R3, salgono in TR2 dall’ingresso principale E, da C3 infatti non si può. Anche in questo secondo transistor una colonna di elettroni si divide dagli altri e uscendo dalla porta di servizio B, attraverso la resistenza R2 se ne andrà al positivo, polarizzando la base, mantenendo cioè la porticina e quindi la porta del corridoio, semiaperta e facendo quindi scorrere una corrente alla quale si sommeranno o si sottrarranno gli impulsi che verranno descritti in seguito. Mi chiederete, ma R2 non era la resistenza di carico del TR1, quella che impediva agli impulsi amplificati di andarsene subito, e permetteva la controreazione fatta da R1? Certo che lo era e lo è ancora, ciò non esclude però che insieme agli elettroni che vengono dal collettore del TR1 non si possano mescolare anche quelli che polarizzano la base del TR2; vorrà dire che si adatteranno a passare tutti da R2 (fig.6). (Si intuisce che da TR2 passeranno molti più elettroni che in TR1, infatti in TR2 la corrente di base è quasi equivalente alla corrente principale di collettore del TR1).Concetto di Campo Magnetico
Prima di analizzare il cuore del nostro trasmettitore, il “circuito oscillante” formato dalla bobina “L” e dal condensatore “C” facciamo alcune considerazioni sul comportamento degli elettroni. Quando gli elettroni corrono in un qualsiasi filo conduttore, sono paragonabili a delle auto che corrono su una strada (fig.7). Infatti quando un filo viene percorso da una corrente di elettroni, tutto intorno al filo si genera un “vortice” che si chiama “campo magnetico” (è una zona di influenza magnetica uguale a quella di una calamita). Questo vortice “il campo magnetico” è simile al vento generato da un’auto in corsa, ed è appunto generato dalla corsa degli elettroni. Poiché il vento è causato dall’aria che ostacola la corsa dell’auto, così il campo magnetico ostacolerà la corsa degli elettroni. Immaginiamo adesso di spegnere il motore della nostra auto che sta correndo, che cosa avverrà? Avverrà che andrà avanti per forza d’inerzia, ma avverrà anche che il vento, che andava nella stessa direzione (quando passa un’auto le foglie le volano dietro, seguendo la sua corsa) e che lei stessa aveva generato, l’aiuterà ad andare avanti, la spingerà. Negli elettroni avverrà la stessa cosa, appena interrompiamo la corrente (ad es. stacchiamo la pila) gli elettroni non si fermeranno di colpo, ma proseguiranno per un attimo, un po’ per inerzia, ma specialmente perché spinti dal vento “il campo magnetico” che correndo avevano generato. Il campo magnetico quindi cessa, quando cessa la corrente che lo aveva prodotto, ma scomparendo rende l’energia che aveva immagazzinato, riattivando per un attimo la corrente nel filo conduttore, cioè rifacendo correre un po’ gli elettroni che stavano fermandosi (fig.7a)Bobina e Condensatore
Vediamo adesso cos’è la Bobina (L). La “bobina” non è altro che un filo conduttore avvolto a spirale. Quando una bobina viene percorsa da una corrente elettrica (di elettroni), l’effetto del vortice aumenta moltissimo, perché il vento “campo magnetico” prodotto dalla corrente di elettroni in una spira, si aggiunge concatenandosi a quello della spira vicina e così via, moltiplicandosi notevolmente. Adesso che conosciamo il comportamento degli elettroni e sappiamo cos’è la bobina, andiamo a conoscere il Condensatore (C). Il “condensatore” è un componente formato da due piastrine metalliche, una di fronte all’altra, ma isolate fra loro e collegate a due conduttori terminali si comporta proprio come un contenitore diviso a metà da una membrana elastica che separa le due parti. Attraverso il condensatore quindi gli elettroni non possono passare, però possono passare gli impulsi degli elettroni (le spinte). Se infatti un impulso, un gruppo di elettroni, viene spinto sulla piastrina di un condensatore, dall’altra piastrina (quasi spinti dal tendersi di una membrana elastica), uscirà un ugual gruppo di elettroni, che torneranno poi al loro posto non appena è cessata la spinta (l’impulso), pronti a ritrasferire un’altra spinta che arrivasse dall’altra parte (fig.7b). Ciò avviene perché gli elettroni con elettroni si respingono e pertanto essendo le piastrine vicinissime, quelli che arrivano su una piastrina influenzano quelli che sono sull’altra, che perciò vengono respinti e se ne vanno lasciando al loro posto solo i protoni.Stadio Oscillatore
Se fin qui è tutto chiaro, possiamo adesso analizzare il circuito formato dalla bobina “L” e dal condensatore “C”. Quando il primo impulso, nato all’atto dell’inserzione della pila, uscendo dal collettore del TR2, viene lanciato in questo circuito, in questo assieme (L+C), gli elettroni invece di andarsene tutti, attraversata la bobina, verso il positivo, molti andranno stranamente a pigiarsi sulla piastrina superiore 1 del condensatore C, e poi da qui verranno rimbalzati indietro e ridiscenderanno la bobina. (fig. 8, 9 e 10). Vediamo adesso il perché di tutto ciò. Ecco qua, gli elettroni usciti dal collettore del TR2, riempita la piastrina inferiore 2, salgono su per la bobina, e mentre alcuni se ne vanno al positivo, altri andranno sulla piastrina superiore 1 fintanto che non si stabilirà qui un numero di elettroni uguale a quello della piastrina inferiore 2 (fig.8). A questo punto essendo gli elettroni equamente distribuiti tra le piastrine 1 e 2 del condensatore (mancando cioè una differenza di potenziale), cessano di scorrere ed il transistor quasi si blocca. In questo stesso momento però, appena il TR2 cessa di far passare l’impulso di corrente, il campo magnetico che si era prodotto al passaggio degli elettroni nella bobina, si scaricherà (fig.9) ed indurrà gli elettroni a proseguire la corsa e ciò facendo li toglierà dalla piastrina inferiore 2 e li spingerà nella superiore 1. La piastrina inferiore 2, svuotata degli elettroni, sarà perciò diventata positiva (ci sono rimasti solo i protoni) nei confronti della 1 che è diventata negativa (si è riempita degli elettroni che erano sulla 2). Appena cessa l’azione di spinta del campo magnetico, gli elettroni pigiati nella 1, rimbalzeranno indietro verso la piastrina 2 (attratti dai protoni che adesso sono rimasti qua) proprio come respinti da una membrana elastica tesa e quindi, grazie al campo magnetico, svuoteranno la piastrina superiore 1 ed empiranno quella inferiore 2 (fig.10). Se a questo punto togliessimo la pila, gli elettroni continuerebbero ad andare su e giù tra le piastrine e rimbalzando, proprio come fa una palla di gomma, attraverserebbero la bobina prima in un senso poi nell’altro. Naturalmente dopo qualche oscillazione ostacolati dalla resistenza del conduttore, si fermerebbero esattamente come una palla, che lasciata cadere si ferma dopo qualche rimbalzo. Ma se volessimo che i rimbalzi della palla continuassero, che faremmo? Le daremmo una pacca ad ogni rimbalzo e così la terremmo continuamente in oscillazione. Ai nostri elettroni, quando la pila è inserita, faremo lo stesso trattamento, infatti (fig.10) appena tornano di rimbalzo verso la piastrina inferiore, andranno a caricare anche la piastrina superiore del condensatore C3, che spedirà quindi un impulso di elettroni all’ingresso principale E del TR2. (Il condensatore C3, prelevando parte dell’impulso di ritorno, carica la sua piastrina superiore di elettroni, e fa quindi scappare dalla piastrina inferiore un ugual numero di elettroni, che si vanno a sommare a quelli che già entravano da R3, trasferisce cioè parte dell’impulso di ritorno all’ingresso in emettitore). Questo impulso prodotto da C3, rispalancherà la porticina di base, uscendo da lì sommato alla corrente di polarizzazione (fig.11),e ciò facendo spalancherà la porta del corridoio che produrrà perciò un secondo nuovo impulso che riandrà sulla bobina e ricaricherà il condensatore “C”, il quale rispedirà indietro l’impulso che ricaricando C3, ne creerà un altro e poi un altro in continuazione.. Il transistor TR2 si spalancherà e darà quindi una “pacca” dopo ogni rimbalzo, grazie al condensatore C3 (condensatore di reazione). Dal collettore di TR2 escono perciò tutti gli impulsi che vanno verso il positivo, mentre quelli di ritorno (rimbalzi) sono generati dal condensatore “C”. Il TR2, con la bobina “L” ed il condensatore “C”, come circuito oscillante sarà il nostro “oscillatore”. A questo punto vi chiederete, ma a cosa serve l’oscillatore? Serve per trasmettere; infatti l’oscillatore è un generatore di onde herziane, che sono le onde che si propagano nello spazio e che possono essere ricevute a distanza da una radio ricevente. Ma andiamo per ordine. Se in un lavabo pieno d’acqua facciamo cadere una goccia, cosa avviene? Avviene che dal punto di caduta, si formano delle onde circolari che vanno per tutto il lavabo e se fosse più grande andrebbero più lontano. Così nello spazio, quando un elettrone fa un salto (scintilla) o si agita, si propagano delle onde. Noi sappiamo già che quando gli elettroni vanno su e giù tra le piastrine, passando nella bobina generano un “campo magnetico” (il vento) tutt’intorno alla bobina stessa, che si alterna, cambia direzione, come cambiano direzione gli elettroni del circuito oscillante. Questo andare e venire del campo magnetico intorno alla bobina, produce appunto quelle onde herziane che si propagano nello spazio. Poiché ho detto che quando un elettrone si agita o fa un salto si propagano delle onde, qualcuno dirà: ma allora basta collegare il positivo col negativo di una pila e così quando attacco e stacco il contatto, agitando gli elettroni o facendo scintille avrò creato delle onde. Esatto avrà creato delle onde, ma saranno casuali, senza ordine alcuno, per cui non ci sarà modo di decifrarle, avrà inviato nello spazio solo dei disturbi elettrici (fig.12). Il nostro oscillatore genererà invece delle onde precise, una dietro l’altra, con un ritmo scelto per essere ricevute da una radio ricevente. I nostri elettroni andranno infatti su e giù per la bobina al ritmo fantastico di 100 milioni di volte ogni secondo. Le onde herziane si propagano nello spazio alla velocità di 300 milioni di metri al secondo (la velocità della luce) e poiché nello stesso secondo i nostri elettroni hanno fatto, diciamo, 100 milioni di oscillazioni, ne deriva che ogni oscillazione farà un’onda di 3 metri (300:100=3); questa infatti è la lunghezza d’onda del nostro trasmettitore (fig.13). Come le onde create dalle gocce nel lavabo, così le nostre onde herziane partiranno dalla bobina propagandosi nello spazio circolarmente (o meglio sfericamente), susseguendosi a 3 metri l’una dall’altra (3 metri da cresta a cresta) ad una velocità tale che in un secondo possono arrivare quasi sulla Luna. Abbiamo chiaro adesso che il nostro oscillatore genera delle onde con una lunghezza di 3 metri ed al ritmo (frequenza) di 100 milioni di oscillazioni al secondo (ossia 100 MHz Megaherz o Megacicli in italiano). Come abbiamo fatto a stabilire questa frequenza? Facendo la bobina di un certo numero di spire, ben preciso. Aumentando le spire la frequenza diminuirebbe, gli elettroni infatti impiegherebbero più tempo ad attraversarla e nello stesso tempo farebbero meno oscillazioni. La frequenza diminuirebbe pure stringendo le spire, in questo modo infatti il campo magnetico, per la maggior concatenazione aumenterebbe, rallentando la corsa degli elettroni, che impiegherebbero più tempo ad attraversare la bobina. Per aumentare la frequenza quindi è sufficiente allentare un po’ le spire. Per ottenere gli stessi risultati lasciando fissata la bobina potremmo cambiare il condensatore. Bobina e condensatore essendo un sistema risonante sono un tutt’uno strettamente collegato. Poiché il condensatore è formato da 2 piastrine, più le piastrine sono grandi e più elettroni ci stanno e quindi più tempo ci vuole per riempirsi o svuotarsi. Con un condensatore di maggior capacità, la frequenza si abbasserebbe, con uno di capacità minore s’innalzerebbe.Portante e Modulante
A questo punto, ora che sappiamo tutto sul TR1 e sul TR2, vediamo come gli impulsi amplificati del microfono (che sono circa 100.000 volte meno numerosi di quelli che escono dal TR2), vengono spediti nello spazio con quelli dell’onda portante che il nostro oscillatore ha fabbricato. Ogni volta che un impulso amplificato del micro arriva all’ingresso di R2, ingolfando (ricordate?) l’ingresso, rallenterà anche l’uscita della corrente di polarizzazione del TR2, che passa da lì. Di conseguenza diminuirà anche la corrente principale che esce dal collettore di TR2 e che sono i nostri impulsi che vengono spediti al circuito oscillante. Diminuendo la corrente principale del TR2 oltre a diminuire l’ampiezza degli impulsi (modulazione d’ampiezza), diminuirà anche la frequenza (passando meno elettroni occorrerà più tempo a caricare il condensatore C) (fig.14). E’ proprio questo piccolo spostamento della frequenza, provocato dagli impulsi del micro, intorno alla frequenza stabilita, (fig.13) “la modulazione di frequenza” ed è quella che le radio riceventi FM possono rilevare e decifrare. Ecco così che a distanza potranno essere udite le nostre voci.Condensatori filtro
Andiamo adesso ad analizzare i condensatori C1 e C2, di cui ancora non abbiamo parlato e che sono condensatori ausiliari. C1, caricandosi e scaricandosi a 100MHz, ammortizza gli impulsi di corrente prelevati dalla pila, infatti cede elettroni insieme alla pila nell’attimo di massima conduzione del TR2 e si ricarica dalla pila durante il tempo in cui TR2 resta quasi bloccato, attenuando così gli impulsi prelevati dalla pila. La pila perciò darà la corrente in modo continuo e non impulsivo. Si dice che C1 chiude la RF (radiofrequenza) impedendo che circoli nella pila (fig.15 e 16). C2 rende “fredda” la base di TR2 alla RF, la rende cioè insensibile alle oscillazioni a 100MHz, neutralizza infatti gli impulsi presenti in base, spedendoli a massa, ossia la punto comune negativo, mantenendo così la base ad un potenziale fisso. La corrente di polarizzazione di TR2 passa così da R2 in modo continuo e non impulsivo.Trasduttore microfonico
Ora che il trasmettitore non ha più segreti, siamo pronti per capire altri schemi con microfoni diversi. Se invece di un microfono piezo, usiamo un più piccolo microfono “a condensatore”, il nostro schema analizzato fin qui, da n°1 diverrà n°2, (fig.16a).
Il micro “a condensatore”, è un microfono formato da due piastrine di cui una mobile. Sotto la spinta delle onde sonore, la piastrina mobile, si avvicina o allontana da quella fissa, creando così impulsi di elettroni. Poiché per funzionare le piastrine devono essere molto piccole, ne risulta che i segnali da esse generati sono debolissimi, e pertanto dentro questi microfoni viene generalmente inserito un transistor particolare (FET) per amplificare subito questi segnali. Ne deriva che questo microfono (ossia il transistor dentro di esso), va alimentato, cioè bisogna fargli scorrere dentro della corrente perché possa amplificare. R4 è la resistenza che si incarica di far scorrere la giusta quantità di corrente, di modo che gruppi amplificati di elettroni possano caricare il condensatore C4 che trasferisce così questi impulsi sulla base di TR1. Se però il micro a condensatore amplificato dà un segnale sufficiente a pilotare l’oscillatore TR2, possiamo togliere TR1 e R1 ed inviare gli impulsi con C4 direttamente sulla base di TR2 semplificando lo schema come n°3 (fig.16b).
Conclusioni
Le mappe mentali sono costituite da nodi cognitivi legati all’esperienza, al vissuto dei ragazzi, ai colori e alle forme, non sono costituite da formule e da Leggi… Verrà anche il tempo della Matematica, e allora si che giovani menti potranno crescere. Grazie di essere arrivati fino a qui!