.................... Dicembre 2004 ..................Mi ero stancato.
Centoottanta litri. Funzionava da nove anni.. Erano rimasti tre pesci: uno scalare (quello della foto a destra) e due pesci matita. Era invaso dalle alghe brune. Occorreva una manutenzione più frequente, ed una pulizia radicale almeno una volta l’anno. Ma non ne avevo più voglia.
L’avevo preso da Luca, che ne allestiva uno più grande.
Era bellissimo nel suo appartamento. Luca possedeva anche l’impianto per l’anidride carbonica, l’unico metodo per combattere efficacemente le alghe brune. Non esiste altro intruglio chimico di paragonabile efficacia ed anche le lampade apposite fanno quel che fanno.
Mentre lo stavo guardando incantato, Luca mi chiese:
“Lo vuoi, zio?”
Una simmetria temporale.
Vent’anni prima glielo avevo proposto io, dopo avergli trasmesso la passione per l’acquario.
Non so bene quando e perché mi appassionai ai pesci d’acquario. Forse un po’ di DNA: mio papà pescava. Nel Po e nel Tartaro. Gobbi, carpe, tinche. Cercava almeno. Si costruiva le canne con il bambù, i portacanne con il cuoio e il cestino ‘portapesci’ in filo di ferro zincato intrecciato a mano.
Ma penso soprattutto perché mi piaceva vedere Giovanna pescare le ‘pescine’ (chiamavamo così le alborelle) nel Poazzo.
Restavo affascinato da un bell’acquario. Accostavo la faccia alla lastra frontale e guardavo gli esserini colorati che guizzavano nel verde. Sorridevo internamente e quasi non respiravo mentre venivano a boccheggiare davanti ai miei occhi. Avevo la sensazione che stessero bene nell’ambiente limpido e pieno di rifugi tra le piante. L’acquario non mi sembrava una prigione, come la gabbia per gli uccelli o il terrario per i rettili. Era, per me almeno, una zona protetta, un parco, un piccolo paradiso per i pesci.Fu così che costruii un primo acquarietto, e poi un altro. Infine ne acquistai uno di settanta litri, che allora mi sembrava grande. Me lo portarono da Padova, dove l’avevo acquistato, in un negozio nuovo vicino al Portello, gestito da un tale la cui faccia alla Lee Marvin,
mi sembrava inadatta agli acquari. Lo allestii nel salotto, che sarebbe divenuto in seguito, nel nostro lessico famigliare, “la moquette”, appoggiato su un parallepipedo di polistirolo rivestito da mamma con una tela blu tipo jeans. Ebbi molti pesci: scalari, lebistes, barbi , pesci pulitori di fondo, platy, tricogastri e anche pesci combattenti, come quelli della tabella)
| |
A molti davo un nome. Ricordo tra tutti Pasquale, uno scalare pacioccone regalatomi da Giovanna, quando mi accompagnò in un negozio di pesci a Ferrara, in una via nei pressi del castello. Duemilacinquecento lire, nei primi anni settanta del secolo scorso. Poi c’era Nerino, un platy vivace; Gastone un tricogastro azzurro e sospettoso dagli occhi attenti; ed altri di cui ora mi sfugge il nome. Chiederò a Giovanna quando si alzerà. Ora è presto: appena le 16:30.
Le cose cambiano e quando la mia vita si riempì di fatti più importanti, il posto per l’acquario mancò sulla moquette. Lo trasferii in cantina. Continuò a funzionare per qualche anno.
Ma un giorno finì: come tutto, come sempre. Si trattò di una fine dolce però. Luca, vedendo i miei pesci, se ne era appassionato fin da quando era poco più che bambino ed ora, diventato un ragazzetto, con entusiasmo accettò di allestirlo a casa sua. Luca divenne un acquariofilo abile, come gli capita per molte altre cose (restauro moto d’epoca e pittura per esempio). Ed ogni volta in cui con Giovanna lo andavo a trovare, i pesci c’erano. Insieme a Marco e Nicolò li guardavo sempre incantato dai colori e dalle traiettorie disegnate nell’acqua limpida.
Oggi è un pomeriggio di dicembre, il 18 per la precisione, e Giovanna non si è ancora alzata: come dicevo sono appena le sedici e trenta. E’ quasi Natale. Nel salone c’è già l’albero. Ieri Marco ha acquistato le luci nuove al Mercatone. Anche di queste l’intermittenza non va, rimangono sempre accese. E’ un giorno che ha poco di natalizio. Un sole primaverile entra violento dalle finestre dello studio. Il termometro esterno segna più di dieci gradi. Stavo quasi per scrivere “non esistono più le stagioni di una volta” ma mi trattengo.
Beh, digressione natalizia a parte, suona il campanello.
Poco prima c’era stato un “marocchino”. Questa volta avevo avuto la forza di non comprare: vendono le solite cose di qualità nulla, di cui non ho proprio bisogno.
“Forse è qualcuno che viene a ripetizione da Marco” penso.
Apre Nicolò. “Ah sì?” gli sento dire “Ora chiamo papà”
Capisco subito di chi si tratta.
Ieri sera aveva telefonato Pomaro. Sabato scorso ha svuotato il pozzetto di raccolta degli scarichi del secchiaio. Negli anni vi si aggruma una melmosa schifezza di grassi che ostruisce le tubazioni. Pomaro ha un camion tecnologico apposito. Novanta euro ed in circa un’ora il pozzetto è liberato. Pomaro è sinonimo di “espurgo pozzi”, neri e non. La sua bambina, che non pensa ai novanta euro all’ora, a scuola a volte si arrabbia e piange perché i suoi compagni la canzonano: “tuo papà porta in giro laa meeerda”.
Ad ogni modo mentre estraeva la poltiglia biancastra gli dico:
“Vede questo acquario?”
Era proprio li’ vicino al pozzetto. Vuoto sul suo piedestallo, dopo lo smantellamento.
”Mi sono stancato di tenerlo. E’ bello quando funziona, se tenuto bene, ma ci vuole passione pazienza e costanza. Ed io non ne ho più. Se per caso conosce qualcuno…”.
Pomaro ci pensa un po’ e, mentre manovra una stretta paletta dal lungo manico d’acciaio per sbloccare i grassi:
“Sì, forse qualcuno c’è”, mi dice.
Insomma, per farla breve.. ( però: quante parole occorrono per raccontare un fatto che sembra occupare poco tempo e spazio nel ricordo. Il ricordo in effetti è un’immagine e l’immagine è fatta di innumerevoli informazioni contemporanee, mentre un racconto è una sequenza di parole).. ieri sera squilla il telefono.
”E’ Pomaro” mi dice Nicolò, consegnandomi la cornetta.
Mi ero completamente dimenticato di quanto gli avevo detto sull’acquario.
“Che vorrà” penso “Ho forse sbagliato a scrivere l’assegno?”
“Sono Pomaro” dice, quando dico ‘ pronto’. “Si ricorda, mi ha parlato dell’acquario, mi ha chiesto se trovo qualcuno… Beh, l’ho trovato. Se è ancora dell’idea…”.
“Certo” rispondo.
“Quando posso venire con la persona interessata”, dice.
“Quando vuole” dico.
“E per i soldi?” si informa Pomaro.
“ Ma”, dico “può portarlo via, anche gratis”.
Qui non sono del tutto sincero ed allora aggiungo: “ Se poi vorrà darmi qualcosa, vedrà lui”.
“Bene” dice Pomaro “Glielo riferisco. Poi vi accorderete voi.”
E’ per questo che quando Nicolò dice ‘è Pomaro’ capisco.
Lo accompagna chi si porterà via il mio acquario. Li faccio entrare.
Pomaro ha una faccia buona. Un uomo semplice che lavora guadagnandosi da vivere abbastanza bene, portando in giro la merda; la bambina capirà che non c’è motivo di piangere. Anzi..
Chi l’accompagna è uno che non ho mai visto. Non ha una faccia da acquariofilo.
‘Perché, che faccia dovrebbe avere un acquariofilo?’ Obietto a me stesso. ‘Neanche il negoziante che mi aveva portato l’acquario da settanta litri ce l’aveva’ ricordo tra me. Comunque nel mio immaginario dovrebbe possedere un aspetto delicato un po’ sognante. Ed abbastanza solare.
Chi accompagna Pomaro è grossotto e robusto, la faccia massiccia di pelle grossa. Un po’ truce. Il naso da pugile. La voce è di quelle schiacciate. Potrebbe essere un camionista, o un macchinista per movimentazione terra. O anche il buttafuori di un club equivoco. E’ strano che in lui ci sia la passione per il fatuo mondo dei pesci e delle piante. Ma tant’è: il mondo è come vuole, non come immagino.
Pomaro dice: “Ecco l’amico di cui le ho parlato”
“E’ qui”, dico subito al massiccio acquariofilo, mentre gli stringo la mano possente. L’accompagno nei pressi dell’acquario.
Lui lo guarda, poi:
“Sì, va bene” mi dice dopo qualche secondo
“Okay, lo prenda” gli dico
“E quanto vuole?” chiede.
Qui comincia il mio disagio. Non so se e quanto chiedere. I soldi mi imbarazzano. Specie quando sono io a chiederli. In compenso quando me li offrono spontaneamente ci resto male. E’ sempre stato così. So che non sono altro che un mezzo di scambio. Eppure, non so, c’è qualcosa di impudico nei soldi. Non sono sereno quando mi entrano nel rapporto con gli altri. Li sento come un giudizio e, senz’altro per il fatto che non ne ho molti, un giudizio negativo. Hanno il potere di innescare un turbinoso cortocircuito di frasi comuni che come mosche ronzano nel cervello. Del tipo ‘ i soldi non danno la felicità ‘, cui segue la solita battuta ‘ figuriamoci la miseria ‘; poi, una più evangelica: ‘ è più difficile per un ricco ottenere il paradiso che per un cammello passare per la cruna dell’ago’.
Ma lasciamo stare. Finisco qui la digressione psico-filosofico-economica.
Di sicuro comunque mi ha fatto ritardare di qualche frazione di secondo la risposta:
“Faccia lei…” .
Era inevitabile che fosse questa. Ovviamente non potevo impedirmi di pensare ad una cifra, che tra l’altro giudicavo simbolica. In effetti tale era, ed il neo futuro possessore del mio vecchio acquario letteralmente straccia i cinquanta euro da me pensati.
“Posso offrire venti euro” dice rapidamente.
Scende un breve gelo dentro di me nonostante il sole. Non dico nulla. Del resto come potevo se l’avevo promesso anche gratis!
“Okay” dico “Va bene, lo porti pure via”.
Rapidamente mi ficca in mano la banconota azzurra. La infilo in tasca e poi nel taccuino.
Pensavo che per venti euro prendesse solo l’acquario completo di lampade. Pensavo che non gli interessasse il piedistallo. Mi sbagliavo.Si porta via anche quello.
Ora guardo le mie cose che se ne vanno.
Entrano nel vano posteriore di una monovolume blu.
Mi lasciano, ed ho l’impressione di non aver saputo difenderle.
Erano parte di me ed io le ho tradite consegnandole ad uno sconosciuto per pochi euro.
Se ne vanno i miei sguardi incantati.
Se ne vanno i pesci boccheggianti dove la mia fantasia leggeva parole.
Se ne vanno i nomi dei pesci che insegnavo ai miei bambini.
Se ne va la sera in cui mi recai a S. Maria con Nicolò per acquistare il piedistallo.
Se ne va la sera in cui portai a casa l’acquario sulla Croma, con molto timore.
Se ne va una sera a Padova con Marco e Nicolò per acquistare i pesci.
Se ne va un mio mondo.
Ho ancora tutto, è vero, di ciò che conta.
E’ una tristezza tutto sommato sciocca quella che provo.
Forse è colpa della serotonina, ma da un po’ di tempo
se ne vanno troppe speranze,
se ne vanno i sogni,
se ne va il fascino dell’ incanto,
se ne va lo stupore,
se ne va il piacere del gioco
Resta il deserto che mi cresce intorno.
Resta l’inafferrabile fluttuare dei ricordi,.
navicelle che sfumano nel gelo siderale
Beh, sdrammatizziamo.
Stop al melodramma del pessimismo cosmico. Cogliamo il lato positivo e concreto.
Stavolta mi rimangono venti euro. Diciotto litri di benzina.
Per la mia Audi, con un’andatura regolare, massimo 80 km/h, sono circa centoottanta chilometri..
Un chilometro per ogni litro d’acquario.