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La stadera

Indice

Lo strumento più antico ancora in uso nel mondo nei rapporti commerciali.

I primi ricordi

Nel paese cui sono nato, Pávana, la festa del patrono, San Frediano, ricorreva la prima domenica di agosto. Nella piazza della chiesa, io allora abitavo in una casa posta sul lato ovest della piazza, quella domenica trovavano posto diverse bancarelle, alcune piene di dolci, altre di cianfrusaglie, altre con piccoli scherzi pirotecnici chiamati castagnole che se lanciati a terra con violenza producevano un piccolo scoppio tanto amato da noi bambini.

Di lato al grande tiglio veniva allestita anche una pesca di beneficenza che metteva in palio pochissime cose ma ai miei occhi di bambino sembravano un immenso tesoro.

In un angolo riparato Emore, un uomo alto, asciutto, sempre vestito con una tuta blu da meccanico e leggermente strabico, gestiva un tiro a segno per piccoli fucili ad aria compressa.

Il bersaglio era un oggetto pesante di ferro in forma di colomba sistemato in equilibrio instabile in cima ad un'asta di metallo che, se colpito dal tiratore, cadeva lungo l'asta e andava a urtare un fornellino dove Emore aveva messo una cucchiaino di polvere di zolfo e clorato di potassio che esplodeva facendo un piccolo botto.

Ma la bancarella che più mi intrigava era quella del venditore di brigidini.

I brigidini

Su un tavolo, lungo un paio di metri, trovava posto una pentola di rame, un fornelletto a carbone ed una pietra di marmo dove il venditore produceva croccante con zucchero caramellato e mandorle.

Brigidini, croccante e staera

Brigidini, croccante e staera

L'uomo stava in piedi dietro il banco, portava un cappello di paglia un tempo sicuramente bianco ma ormai giallo e indossava un grembiule a quadretti con una pettorina con un ricamo che riproduceva un mazzo di fiori.

Versava il composto amalgamato di zucchero caramellato e mandorle sulla pietra di marmo, lo spianava con un piccolo mattarello di legno scuro e tagliava il croccante in rettangoli con un coltello, conservato in una catinella piena di acqua, con gesti rapidi e sicuri, facendo un suono secco e ritmato "Crac... Crac… Crac…".

Nel banco trovavano posto, da un lato, bastoncini di zucchero bianchi e rossi, vasi pieni di caramelle colorate e una montagnetta di rotelle di liquirizia, mentre dalla parte opposta del banco era sempre presente un bidone di lamiera zincata alto circa un metro (più o meno la mia altezza del tempo), dove erano conservati i famosi brigidini.

Quelli originali di Lamporecchio, come era scrittoin caratteri rossi e neri sia sul lato del bidone, sia sul coperchio dotato di un ampio manico di legno, che il brigidinaio sollevava, di tanto in tanto, per far vedere le cialde dorate e profumate di anice contenute all’interno che prendevano, e prendono, il nome da Santa Brigida, la badessa santificata di un convento nella piana di Lamporecchio.

Sopra al bidone appesa ad un'asta che sorreggeva il telo di copertura del banco, era presente una piccola stadera, gialla come i brigidini, con cui l’ambulante pesava, ora diremmo in tempo reale, le cialde dall'intenso profumo di anice.

Penso che fosse l'estate del 1947 dato che sapevo leggere la scritta sopra al bidone dei brigidini

                       I veri brigidini di Lamporecchio

realizzata in colore rosso e nero che spiccava sul colore argenteo del bidone di lamiera zincata.

L'ambulante con la mano sinistra alzava il coperchio del bidone e con la destra, impugnando una paletta di lamiera, la plastica era ancora lontana, raccoglieva i brigidini e li poneva sul piatto concavo della stadera fino a quando l'asta con il peso si sollevava.

Poi, con un gesto rapidissimo, le cialde venivano messe un un sacchetto di carta bianca e consegnate all'avventore che non aspettava altro per iniziare a gustarle.

La precisione della pesata? Non credo che fosse quello il problema, secondo la mia attuale valutazione quella piccola stadera era solo ornamentale e l'ambulante misurava le quantità unicamente con la sua esperienza.

Ma era la festa del paese, e tutti, proprio tutti, erano nella piccola piazza a festeggiare il patrono e a farsi vedere con il vestito della festa.

Io ricordo che stavo poco distante dal banco a guardare le persone che prendevano il sacchetto di carta con i brigidini ed iniziavano a mangiarli camminando nella piazza davanti alla chiesa.

In un attimo di pausa ricordo che l'ambulante mi chiese

- E tu bimbo li vuoi i brigidini?

Feci si con la testa ma non dissi niente, le mie tasche e credo anche quelle dei miei erano vuote, irrimediabilmente vuote.

L'ambulante sollevò il coperchio del bidone, prese un brigidino e me lo porse.

Non me lo feci ripetere due volte, lo presi esenza neppure ringraziare corsi a casa distante una cinquantina di metri.

- Guarda babbo cosa mi hanno dato, dissi a mio padre che era sulla soglia della porta.

- Mangialo bischero, disse mio babbo.

Ed io lo mangiai.

Ricordo l’incredibile suono croccante che quella cialda fece nella mia bocca ed il sapore totalmente diverso dai cibi cui ero abituato, era buono, veramente buono!!

Debbo dire che assieme ai profumi ed al sapore dei brigidini mi è rimasta impressa l'immagine della stadera che oscillava appesa sopra il contenitore delle piccole cialde sul cui piatto, convesso e giallo di ottone lucido, sospeso da tre catenelle a quel meccanismo che non capivo e la rapidità con cui l’ambulante portava la paletta di latta piena di brigidini dal mastellone al sacchetto di carta, pieno e gonfio, che porgeva accuratamente chiuso ai paesani avventori..

Non credo che il peso fosse accurato, importante era che il sacchetto fosse gonfio e sembrasse pieno fino all'inverosimile.

Un’altra stadera.

Il secondo contatto con una stadera fu alla fine del 1950. nel mese di novembre.

Mio padre aveva allevato due maiali, uno era per la famiglia, lo avremmo mangiato durante l'inverno, l'altro venduto avrebbe fornito il denaro per permettermi di frequentare le scuole medie a Porretta Terme che erano solo private, parificate a quelle statali, e bisognava pagare una retta mensile per poterle frequentare.

Venne un norcino, un uomo così chiamato per assonanza agli abitanti di Norcia famosi per macellare i maiali.

Si chiamava Angelo e andava di casa in casa ad uccidere i maiali allevati dagli abitanti e impiegava due giorni per prepararli per il consumo.

Noi avevamo un maiale da vendere, ma serviva sapere il peso dell’animale ormai ucciso e pulito che diviso in due parti stava adagiato sul tavolo che era servito per prepararlo.

Non molto lontano da casa mia abitava il sig. Dario che tra le altre cose possedeva una stadera a spalla.

Mio babbo andò dal Sig. Dario, e tornò con la stadera, due uomini misero un palo nel gancio superiore della stadera, si misero il palo sulla spalla e sollevarono la bilancia con mezzo maiale attaccato alle catene.

Un terzo uomo fece scorrere il romano lungo l'asta fino a quando non rimase orizzontale.

Il compratore del maiale annotò il peso.

Poi allo stesso modo pesarono l’altra metà del maiale.

Il compratore e mio babbo entrarono in casa, dopo qualche minuto uscirono e si strinsero la mano, poi mio babbo si rivolse a me e

- Bimbo, potrai andare a scuola, disse con un certo orgoglio, e forse ce ne avanzano.

Ricordo il mio imbarazzo, ma ero incredibilmente felice.

La conoscenza con Gianni

Dimenticai la stadera fino agli anni 1954/55.

In quegli anni frequentavo un istituto professionale a Pistoia.

Una mattina avevo marinato la scuola e stavo andando alla biblioteca Forteguerriana, ero interessato alle storie dell’antico Egitto ed avevo appuntamento con uno studente universitario di archeologia.

Per non farmi vedere da eventuali professori o da altri studenti camminavo in una delle strade strette della Pistoia vecchia e passai per via del Lastrone.

Un uomo stava appendendo fuori della porta della sua bottega delle stadere, alcune un ferro brunito e lucido, altre completamente in ottone, altre ancora parte in ferro e parte in ottone.

Diverse le misure, tutte le stadere con il cartellino del prezzo e la descrizione delle loro caratteristiche.

Il cartellino stampato in tipografia era completato con una calligrafia precisa e rotonda ben lontana dalla mia anche se tra le materie del mio corso era presente la calligrafia.

Non mi fermai sul momento, andavo all’appuntamento in biblioteca, ma mi ripromisi di ripassare appena possibile.

Qualche giorno dopo ci fu a scuola l'assenza di un professore ed avemmo un paio di ore libere,

Io, al contrario di amici che andarono a giocare al biliardo al bar Bologna, mi recai in via del Lastrone e trovai l'artigiano impegnato nella sua bottega a costruire le stadere.

Bussai alla porta e chiesi permesso, lui alzo' la testa e disse

- Avanti.

Gli spiegai chi ero e che mi sarebbe piaciuto vedere cosa faceva e come lo faceva.

Lui mi guardo’ curioso e:

- Perché vuoi vedere, mi chiese, e come ti chiami.

- Carlo, risposi e con l'entusiasmo e l'innocenza dei 15 anni, gli dissi che mi piaceva l'atmosfera, il modo con cui piegava il metallo, le conoscenze che metteva nel lavoro.

Mi incuriosiva molto la forgia da cui uscivano fiamme rosso/azzurre con molte scintille, forgia che aveva da un lato un mantice che l’artigiano azionava ritmicamente con un piede e che pompava aria nel fornello contenente il carbone acceso.

- Ragazzo, mi disse, mi chiamo Giovanni, ma tutti mi chiamano Gianni, e ti dico: non fare il bilanciaio, guadagno appena per vivere da solo e non ho famiglia, turisti non se ne vedono e nei mercati ormai nessuno usa più le stadere.

- Ma se vuoi ti racconto tutto, continuò guardandomi attentamente.

- Ma perché, mi chiese dopo qualche istante, non mi compri almeno un bilancina da arredamento, te la vendo per cinquecento lire, ai turisti costa duemila.

Con un certo senso di vergogna gli raccontai da dove venivo, i sacrifici per venire a studiare a Pistoia, e che cinquecento lire non le avevo mai viste in una volta sola, ma gli dissi che non gli avrei dato noia, volevo solo capire come faceva a costruire quegli oggetti, sarei passato solo mezz'ora qualche volta nel pomeriggio, facendo attenzione a non disturbare.

- Bene, disse con decisione, basta che se mi vedi nervoso, non parlare e non insistere.

- E, continuò con un certo rigore, non imparare le mie imprecazioni e le mie bestemmie, sono toscano e noi siamo così, un poco mangiapreti ma non farei male ad una mosca.

Gianni produceva quattro tipi di stadere, una con finalità ornamentali e turistiche, e tre di tipo commerciale che dovevano avere i bolli che certificavano il funzionamento e la correttezza del peso misurato.

Seppi subito che le stadere da tenere in casa potevano essere prive del bollo purché non fossero usate per fini commerciali, ma non credo che la legge dei bolli sia tuttora in vigore, almeno con il rigore che era previsto nel 1955.

Imparai molte cose, ma sopratutto gli insegnamenti che porto ancora con me dopo sessantacinque e più anni, la pazienza, la precisione, l’amore per il lavoro manuale, la capacità e l’orgoglio di vivere del proprio lavoro.

Almeno un pomeriggio alla settimana mi fermavo nella sua bottega a guardare Gianni che batteva sull’incudine per modellare la foglia dell’asta graduata delle stadere e produceva, con pochi strumenti e molta abilità, gli altri pezzi del meccanismo, allo stesso semplice ma che doveva essere molto preciso.

Io avevo imparato ad accendere la forgia e a muovere con il piede il mantice che soffiava aria nel fornello del carbone per portare il metallo fino ad un colore quasi bianco che in quelle condizioni poteva essere martellato e sagomato nelle forme e nelle misure necessarie.

Imparai anche a temperare i perni, a marcare l’asta graduata e a tarare il romano per rendere la stadera precisa.

Al termine dell’anno scolastico quando dissi che non sarei tornato per tre mesi, il viaggio in treno costava troppo, Gianni prese dalla rastrelliera una piccola bilancia in ottone, la incartò con un giornale e me la porse.

Tieni Carlo, disse, mi hai tenuto compagnia, non mi hai dato nessuna noia, anzi spesso mi hai aiutato, e dopo un attimo disse, sei forse il figlio che non ho mai avuto.

Mi strinse la mano come fossi un uomo e così ci salutammo.

La ripresa della scuola.

Quando tornai in via del Lastrone all’inizio del nuovo anno scolastico, la bottega delle bilance era stata sostituita da una piccola sartoria per la riparazione di pantaloni e camice.

Alla donna, una signora grassoccia di mezza età seduta dietro una macchina da cucire, chiesi di Gianni.

- Ah! Gianni, disse, ha venduto tutto e se n’è andato a Viareggio, dalla sorella.

Si fermo’ un attimo e aggiunse.

- Qui dicono che fosse malato e che non voleva morire a Pistoia.

Un altro attimo e

- Si’, continuò, forse è meglio morire a Viareggio. È più bello morire vicino al mare.

Chinò la testa sulla macchina da cucire e riprese il suo lavoro.

Non avevo alcuna possibilità di andare a Viareggio, mi dispiaceva molto non aver salutato Gianni, ma forse era meglio così.

Il suo ricordo era in me, cristallizzato nel tempo, la sua voce, la sua immagine non sarebbe mai invecchiata, sarebbe rimasta quella persona che mi aveva stretto la mano considerandomi un uomo e non un giovane ragazzo curioso.

Fu l’ultima volta, prima di questo ricordo, che parlai di Gianni e delle stadere.

Le caratteristiche delle stadere.

Ora smetto i ricordi personali e cerco di riepilogare le caratteristiche del lavoro di Gianni, cioè parlo delle stadere

Lo schema della stadera

Uno schema della stadera

Uno schema della stadera

La stadera è una bilancia a bracci disuguali, il primo corto (L) dei quali porta un piatto (c) sul quale viene posato |'oggetto (a) da pesare; sull’altro braccio (d) notevolmente lungo è incisa la gradazione in chilogrammi e sotto multipli, su cui scorre un peso (c), detto romano, perché nelle bilance dell’antica Roma raffigurava spesso un guerriero con elmo.

La posizione di equilibrio permette di leggere il peso dell’oggetto posizionato sul piatto con la posizione sull’asta (d) del romano.

Sicuramente questo strumento, che si dice di origine etrusca, è stato un validissimo aiuto ai commercio per la sua facilità di uso e la possibilità di essere facilmente trasportata.

Metrologia legale.

La metrologia legale serve a garantire la correttezza delle misure utilizzate per le transazioni commerciali e, più in generale, a garantire la pubblica fede in ogni tipo di rapporto economico tra più parti, attraverso l’esattezza della misura.

Già i popoli antichi, per la delicatezza della funzione svolta, affidarono i pesi e le misure campione alle cure e alla custodia di funzionari non solo statali ma frequentemente anche a quelle dei sacerdoti e dei templi, dove si credeva, o almeno si sperava, che la divinità ne avrebbe garantito un uso onesto.

Sia le fonti greche che latine, oltre che la Bibbia, abbondano di citazioni relative all’operato fraudolento di quanti praticavano il commercio usando pesi falsi e bilance truccate.

A Roma già durante la Repubblica e poi anche in epoca imperiale, le misure campione ufficiali erano depositate presso i templi di Giunone Moneta e di Giove sul Campidoglio, nonché nel tempio dei Castori nel Foro dove aveva sede un ufficio di verificazione secondario, ad uso dei gioiellieri, orefici e mercanti di perle che avevano bottega lungo la via Sacra.

Ci sono noti alcuni esemplari di stadere e pesi recanti iscrizioni del tipo

exactum in Capitolio oexactum ad Castoris (cioè esatto, conforme, rispetto ai campioni conservati nel tempio di Giove Capitolino o dei Castori)

o con i nomi degli edili della plebe che all’inizio dell’età repubblicana erano i magistrati preposti al controllo dei mercati, dei pesi e delle misure.

Con la cristianizzazione della società, le misure campione furono quasi sempre conservate presso il tempio, cioè nella chiesa principale di ogni città.

Ad esempio sull’abside del duomo di Modena sono incise le misure di pertica, braccio, coppo e mattone, e le operazioni di verifica dei pesi e delle misure dai tempi più remoti erano di competenza della comunità. La verifica avveniva semestralmente, secondo quanto prescritto dagli statuti e le misure che risultavano giuste e conformi venivano bollate con le iniziali dei Giudici alle Vettovaglie in carica.

In epoca ducale, nel 1824, venne redatto un nuovo regolamento riguardante la costruzione dei punzoni e la procedura di verifica, in questo periodo, fino alla costituzione del Regno d’Italia, i punzoni di verifica periodica raffigurano dei disegni (occhio, freccia, aquila, torre…).

Riferimenti letterari, legali e curiosità.

Una citazione dal libro DELLA SCIENZA MECCANICA Di Galileo Galilei nella versione pubblicata a Firenze nel 1859.

Della stadera e della leva.

L'avere inteso con certa dimostrazione uno de' primi principj , dal quale come fecondissimo fonte derivano molti degli strumenti meccanici, sarà cagione di poter senza difficoltà alcuna venire in cognizione della natura di essi. E prima parlando della Stadera , strumento usitatissimo , col quale si pesano diverse mercanzie , sostenendo le benchè gravissime col peso di un picciol contrappeso, il quale volgarmente si chiama Romano , proveremo in tale operazione niente altro farsi , che ridurre in atto pratico quel tantoche di sopraabbiamo specolato.

Gazzetta ufficiale del Regni d’Italia digiovedi’ 5 maggio 1892 numero 107. Degli strumenti per pesare. Art. 103.

Disposizioni generali relative agli strumenti perpesare.

Gli strumenti per pesare, il cui uso è permessoin commercio sono:


  • • la bilancia a braccia uguali ;
   • la bilancia a sospensione inferiore (cosi’detta a pendolo);
   • la bilancia a bilico;
   • la bilancia a ponte in bilico:
   • la stadera semplice;
   • lo stadere composta ;
   • la stadera a sospensione inferiore ;
   • la stadera a bilico ;
   • la stadera a ponto in bilico.


Art. 104.

Gli strumenti per pesare devono essere costruiti in modo che la pesata avvenga sempre in un'unica posizione delle loro parti .mobili che chiamasi posizione normale. Devono essere muniti di un Indice che dimostri chiaramente ed esattamente se lo strumento si trova nella posizione normale. Questo indice deve essere invariabilmente unito ad uno degli organi essenziali. Lo strumento, quando trovasi nella posizione normale, deve essere in equilibrio stabile in modo che, qualunque sia lo spostamento al quale si sottopone, essa, lasciato a sé, vi ritorni oscillando liberamente, sia scarico che caricato.

Art. 105.

Le parti mobili devono appoggiarsi mediante coltelli di un solo pezza, solidamente fissati ad esse, aventi lo spigolo vivo e perpendicolare al plano del movimento.

I coltelli ed i vari pezzi, con i quali essi sono a contatto, devono essere robusti e temperati in guisa che non vengano facilmente intaccati da una buona lima.

Nella posizione normale I coltelli devono essere orizzontali e toccare in tutta la loro lunghezza i cuscinetti.

Art. 100.

Tutte le leve devono essere di ferro, acciaio, ghisa, ottone o dl altra lega abbastanza rigida e poco alterabile.

Art. 107.

Questi strumenti dovranno avere la marca di fabbrica e l'indicazione chiara, durevole ed in posto ben visibile,della loro massima portata, espressa con un numero in cifre arabiche compreso fra due asterischi, e immediatamente seguito dalle parole chilogrammi o grammi, o dalle loro abbreviazioni chilog. o gr. salvo il disposto degli articoli 126, 145, 148; e sotto questo carico le leve che li compongono non dovranno inflettersi. Potrà mancare l'indicazione della portata nelle bilancie per le quali essa non superi i 50 grammi.

Quando la parte, in cui si trovano le suddette indicazioni, ò di ferro, di acciaio o di ghisa, essa sarà, in prossimità delle medesime, attraversata da una spina di rame con le due estremità accecate per applicarvi il bollo di prima verificazione.

La mia situazione attuale

Da tempo dispongo di un notevole numero di oggetti, niente di importante da un punto di vista economico, ma sono raccolti, catalogati e datati ottenendo in questo modo un calendario del mio vissuto.

Questi oggetti li conservo assieme alle radio d’epoca e a varie apparecchiature elettroniche vintage, ai libri e alle riviste.

I miei familiari lasciano che queste stanze siano la mia tana e tollerano che ne sia geloso, forse mi considerano un modesto ed eccentrico accumulatore, ma quando mi siedo alla mia scrivania attorniato dalle mie cose, mi sento felice e slegato dai problemi della vita e dagli acciacchi del tempo che scorre.

Alcuni anni fa riuscii ad acquistare dal Sig.Dario la stadera a spalla con cui pesammo il maiale che mi permise di andare alle scuole medie ed ora è accanto alla piccola bilancia in ottone che mi fu donata da Gianni.

Ho altre due stadere, una costruita negli anni cinquanta del 900, di ferro, acquistata da un ambulante che lavorava nei mercati del pistoiese.

Quella più emblematica è una stadera del regno Lombardo Veneto datata circa 1825, ha bolli di verifica annuali fino al 1850, e dispone di un piccolo trucco a vite per rubare sul peso di circa il sette per cento.

Qualche abilissimo e disonesto commerciante rubava sul peso in barba alle rigidissime leggi dell’Impero Austriaco.

Per la stadera di ottone che mi regalò Gianni ho costruito una piccola vetrinetta con vetri trasparenti, ove sta protetta dalla polvere ed è appesa ad un gancio.

Ormai ha una settantina di anni ed è diventata un oggetto di modernariato. Chi verrà dopo di me potrà leggere la sua storia nei due fogli che ho messo nella piccola vetrina e se vorrà potrà conservarla come un oggetto curioso legato ad un tempo che è solo un pezzo di modesta storia locale.

Per me è un pezzo di vita, e se come afferma la radionica ogni oggetto conserva l’impronta della sua storia, Gianni è lì assieme alla sua stadera e ogni tanto mi stringe la mano.

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Commenti e note

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di ,

A proposito di vecchi computwr. Io ho il primo compter IBM del 1981 con due floppy e il primo sistema operativo in inglese fatto da Bill Gates quando lavorava con IBM. Ma ho anche un personal chiamato Kiber fatto a pisa nel 1980 con disco rigido da 5 mega e sistema operativo CP/M Carlo

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Quindi io che ogni tanto accendo vecchi computer, dopo averli sistemati, non sono affetto da sindrome da accumulo! Buono a sapersi!

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Grazie Carlo!

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di ,

Io debbo ringraziare voi che mi date l'opportunità di comunicare e di raccontare. Come ho detto più volte a me tutto questo serve per non sostare a bighellonare nei centri commerciali o in qualche bar. Mi serve per darmi degli obiettivi ora che i miei obiettivi si riducono in modo impressionante. Carlo

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di ,

Grazie del bel racconto Carlo!

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di ,

"...ma quando mi siedo alla mia scrivania attorniato dalle mie cose, mi sento felice e slegato dai problemi della vita e dagli acciacchi del tempo che scorre": è il segreto per essere sereni. Nelle nostre cose c'è impressa la nostra storia, che è anche quella delle persone care, il calore che non ci fa sentire soli e sperduti in un universo indifferente.

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