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Ponte della Venturina

Ponte della Venturina è una piccola stazione della linea ferroviaria Porrettana, conosciuta anche come “la Transappennina”, quella che inaugurata da Re Vittorio Emanuele II il 2 novembre del 1864 aveva collegato Bologna a Pistoia, il nord al centro Italia, varcando per la prima volta la catena degli appennini seguendo le valli del fiume Reno e del torrente Ombrone Pistoiese.

La stazione di Ponte della Venturina

La stazione di Ponte della Venturina

Quella realizzazione fu un'opera ingegneristica di altissimo livello nel diciannovesimo secolo, i principali numeri di questa ferrovia sono 99 chilometri, 47 gallerie e 35 ponti.

I treni a Ponte della Venturina, come da orario del 1954, transitavano regolari a partire dalle 5 del mattino fino alle 22 della sera.

Ricordo la stazione, una casa fatta in gran parte con pietra serena, quella azzurro/grigia della cave di Porretta, costruita nel 1945 subito dopo la fine della guerra, alta, squadrata, con un piccolo giardino sul lato sinistro ed una fontana a cui i viaggiatori potevano bere.

Al piano terra della stazione una sala d’attesa, uno sportello biglietteria, un piccolo ufficio per il capo stazione e diverse stanze per i servizi, mentre al primo piano un appartamento forse per il personale della stazione.

Il sei settembre del 1954, io avevo compiuto da tre giorni quattordici anni ed era la prima volta che salivo su un treno, andavo a Pistoia per iniziare la scuola all’istituto Filippo Pacini per Ragionieri, una vera conquista sociale per me e per la mia famiglia.

In tasca avevo un piccolo gruzzolo, i risparmi di un anno di mio padre, denari che mi dovevano servire per le tasse di iscrizione, per i libri del primo anno di corso e per il costo dell’abbonamento ferroviario.

Nella mia cartella portavo qualche matita, una gomma, due quaderni ed i documenti per l’iscrizione alla scuola. Avevo anche un panino preparato da mia mamma, due fette di pane cotte nel forno di casa e una abbondante porzione di prosciutto ottenuto dal maiale allevato da noi, il tutto incartato con cura in un foglio di carta gialla, quella di paglia che i macellai usavano per avvolgere la carne. I libri li avrei acquistati a Pistoia possibilmente usati oppure in una delle cartolerie che erano attorno alla scuola che avrei frequentato.

Il treno, un accelerato, arrivò puntuale alle 6,50 proveniente da Porretta Terme, era formato da diverse carrozze di terza classe con in testa una carrozza, subito dopo il locomotore, che aveva anche alcuni posti di seconda classe.

Io mi sentivo importante, mi sentivo un piccolo uomo mentre aprivo lo sportello del vagone, chiamato centoporte, e salivo gli scalini quasi verticali per arrivare alle panche che già ospitavano diversi passeggeri.

Ricordo perfettamente le carrozze di colore marrone, seppi poi che il colore si chiamava “tinta castano Isabella”, con interni caratterizzati da lucide panche di legno, da pavimenti in linoleum, da piccoli lampadari con tipiche coppe bianche di vetro acidificato e da tendine ricamate con il logo FS messo ovunque. I finestrini, piccoli, stretti e lunghi, potevano essere abbassati sia per fare entrare aria che per osservare meglio il paesaggio e salutare le persone incontrate lungo il percorso.

Le carrozze centoporte, costruite con metallo molto pesante e rinforzate con lamine esterne rivettate, erano famose per essere calde durante l’estate e piene di spifferi durante l’inverno.

Nel vagone su cui ero salito era già seduto un gruppo di adolescenti e di ragazzi che provenivano da Porretta Terme che mi accolsero subito con un misto di curiosità e sfottò, io timido ed impacciato mi sedetti accanto ad un ragazzo che sembrava più grande di me.

- Come ti chiami, mi chiese con piglio molto sicuro il mio vicino di seduta prima ancora che il treno si muovesse.

- Carlo, risposi con un filo di voce.

Un controllore chiuse con colpo secco gli sportelli aperti dalle persone che erano salite per poi sventolare una piccola bandierina verde con cui comunicava al macchinista che il treno era pronto a partire.

Per me era tutto nuovo, il chiasso dei ragazzi, le ragazze che parlavano sia tra di loro che con noi, il rumore del treno che iniziava a muoversi, il mio paese, Pavana, al di là del fiume Reno, in Toscana, che spariva dietro la costa del monte.

Curioso del viaggio ricordo che mi alzai e mi misi al finestrino più vicino, lo abbassai e tenendo la testa parzialmente fuori, all’aria, guardavo stupito quel paesaggio che scorreva dalla mia sinistra alla mia destra.

La ferrovia costeggiava il fiume Reno, compagno di giochi e di battute di pesca estive, dalle cui rive boschi di castagni, querce e cerri salivano senza soluzione di continuità fino alla cima dei monti che formavano strettissime valli.

Era ancora estate, l’aria anche prima del sorgere del sole era tiepida e assieme alla bassa velocità del treno permetteva di stare affacciati tranne che durante le molte e buie gallerie.

In pochi minuti il treno arrivò in una località di cui avevo sentito parlare ma non avevo mai visto: Molino del Pallone, ove una decina di studenti salirono sul treno sparpagliandosi tra i vari vagoni.

Molti, i più anziani, si chiamavano per nome e si salutavano, formavano gruppi di ragazzi vocianti e chiassosi, riprendevano un rito di relazioni e di comunità interrotto qualche mese prima.

Il controllore, con una divisa scura ed un cappello con il bordo argentato, passò tra le panche chiedendo di verificare il titolo di viaggio. Io estrassi dalla cartella il mio abbonamento, un libretto fatto di cartoncino scuro, con la mia foto, il mio nome, il percorso e le date di validità del documento e lo porsi per la verifica. Il controllore aprì il libretto e guardandomi:

- È il primo giorno?, mi chiese.

- Si, risposi.

- Auguri, mi disse, richiuse il libretto e me lo rese.

Lo ringraziai di cuore, poi riposi l’abbonamento nella cartella.

Io non lasciai neppure un attimo il finestrino, troppo intenso era il desiderio di vedere, di conoscere. Dietro di me sentivo i discorsi che facevano gli studenti, parlavano dei professori, della scuola, delle vacanze appena finite, degli incontri e degli amori estivi, dei giochi, di calcio, di ciclismo e di quanto altro poteva suscitare il loro interesse.

Ascoltai con curiosità che i più anziani si stavano dando appuntamento al bar Bologna, che seppi in seguito fosse luogo di ritrovo per gli studenti che marinavano la scuola, che facevano forca detto alla pistoiese, più interessati al biliardo, al terziglio, al pokerino, che agli studi classici o scientifici che fossero.

Pochi minuti ed il treno arrivò ad una stazione di cui ignoravo anche il nome: Biagioni-Lagacci. Salirono due persone, ma solo una era uno studente. Piccola stazione tra due gallerie, lambita dal fiume Reno, un ponte in pietra con un doppio arco ed una piccola edicola al centro collegava la stazione al paese che si intravedeva sulla sinistra, un poco più in alto, poche case tutte di pietra serena con tetti neri di ardesia.

Sapevo che dopo sarebbe arrivata Pracchia, mi avevano detto essere una grande stazione, ed effettivamente dal finestrino vidi un lungo edificio, molti binari e moltissime persone che aspettavano di salire.

Seppi in seguito che la stazione era il punto di accesso alla ferrovia degli abitanti di un gran numero di paesi e comuni della montagna pistoiese, a quei tempi non ancora colpita dalla piaga sociale dello spopolamento per l’emigrazione in Svizzera ed in Germania.

A Pracchia salirono non meno di cento persone, riempirono quasi completamente il treno occupando una grande parte dei posti a sedere.

Poco dopo tutte le persone erano salite ma il treno non partiva ed io chiesi al capotreno, che passeggiava sul marciapiede del primo binario di fianco alla vetture, perché non partissimo.

- Dobbiamo fare l’incrocio, mi rispose.

- L’incrocio?, chiesi mostrandomi interessato.

- Si l’incrocio, continuò il capotreno, aspettiamo il treno che arriva da Pistoia, ah eccolo. E si allontanò verso il locomotore. Vidi arrivare un treno, simile al nostro che lentamente si fermò sul terzo binario con un grande stridio di metalli sfregati tra loro. Osservai un operaio delle ferrovie che andava tra i binari e fece dei movimenti che sul momento non capii poi alzò un braccio sventolando una bandierina rossa.

Pochi giorni dopo avrei saputo che aveva azionato il sistema degli scambi dei binari dando al nostro treno la possibilità di inserirsi nell’unico binario che ci avrebbe portato a Pistoia.

Subito dopo il treno si mosse ed entrò in una galleria, ma ormai avevo imparato a leggere le targhe poste all’ingresso dei tunnel. Quella che era all’ingresso della galleria subito dopo la stazione di Pracchia diceva: Galleria dell'Appennino – 2727m, letto questo mi sedetti in attesa che la lunga galleria terminasse.

Dopo due, tre minuti la luce intensissima del sole mi annunciava che stavamo superando il ponte sul torrente Ombrone ed entrando nella stazione di San Mommè; sul marciapiede una ventina di persone attendevano l’arrivo del treno, non tutti erano studenti, alcuni sembravano operai vestiti con tute blu.

Dalla inclinazione del treno era già evidente che la ferrovia seguiva un percorso in discesa che sarebbe terminato solo alle porte di Pistoia. La temperatura era nettamente superiore a quella del versante della catena appenninica lasciato a Pracchia, anche la vegetazione sembrava più lussureggiante.

In meno di un minuto il treno ripartì andando verso la stazione di Corbezzi, posizionata subito dopo il termine di una galleria. Mi accorsi che il treno aveva fatto una giravolta perché a San Mommè la pianura di Pistoia era sulla destra del treno mentre a Corbezzi era sulla sinistra. Ci pensai un attimo e capii che il tracciato aveva seguito un tornante per scendere con gradualità il dislivello tra il culmine del percorso e Pistoia.

Tutta la pianura di Pistoia era ora visibile dalla parte opposta di dove io ero affacciato al finestrino, ma pensai che nel tracciato doveva esserci un altro tornante per riuscire a raggiungere la pianura.

Da Corbezzi verso Piteccio una galleria dopo l’altra, sentivo che il treno stava ancora svoltando, tanto che appena uscito dalla galleria prima di Piteccio il mio finestrino era nuovamente rivolto verso la pianura, come lo era stato a San Mommè.

Sul marciapiedi della stazione di Piteccio erano presenti moltissimi studenti, molti di loro non trovarono posto a sedere e rimasero in piedi, formando gruppi di ragazzi che producevano un grande vociare tipico di un ambiente giovanile e spensierato.

Ormai il treno viaggiava vicino alla pianura e superò, con mio stupore, due grandi ponti, altissimi, che permettevano una visione molto ampia della valle sottostante.

Il treno aveva lasciato i boschi presenti nella parte altra del tracciato ed attraversava campi con vigne, olivi e loti. Non avevo mai visto le piante di olivo, nella vallata di Pavana non potevano crescere, il freddo dell’inverno le avrebbe uccise.

Ben presto il treno arrivò alla stazione di Valdibrana, rimasi molto perplesso perché non salì e non scese nessuno, sentii chiaramente il capotreno dire ad alta voce il nome della stazione, guardai attentamente ma sul marciapiede nessun viaggiatore.

Dopo la stazione di Valdibrana mi resi subito conto che iniziava la pianura e la città, le case affiancate le une alle altre e allineate su entrambi i lati delle strade erano una cosa strana per me che vivevo in un piccolissimo paese con case isolate tra loro e sparse sui fianchi della collina.

Le persone dietro di me iniziarono ad agitarsi ed a recuperare le proprie cose dalle cappelliere preparandosi a scendere, io raccolsi la mia cartella, controllai di non dimenticare niente e stetti pronto.

Il treno eseguì una larga curva a sinistra e la stazione di Pistoia mi si presentò davanti. Tanti binari, due treni erano fermi, moltissime le persone che si muovevano, altre che aspettavano, altre che scendevano dai treni appena arrivati o che salivano su quelli in attesa di partire.

Io non avevo un orologio, lessi su quello della stazione l’ora, le 7,40. Il treno si fermò sul secondo binario, tirai la maniglia dello sportello, lo aprii facilmente ma io piccolo, minuto, feci un certa fatica a scendere i tre gradini della carrozza centoporte. Mi guardai attorno e seguii le persone che scendevano nel sottopassaggio e prendevano la via dell’uscita.

Per me era tutto nuovo, appena uscito dalla stazione cercai di orientarmi seguendo le indicazioni che mi avevano dato alcuni amici e facilmente, in meno di dieci minuti, arrivai davanti al portone dell’Istituto Filippo Pacini.

Il mio primo viaggio in treno era terminato, ma varcando quel portone ne iniziava un altro, meno panoramico ma non per questo meno interessante.

Un salto di sessantotto anni.

Attualmente la mia vita si svolge tra Milano e Pistoia ed il giorno otto dicembre del 2022 dovevo tornare a Milano con una certa urgenza. Nonostante diverse ricerche via internet non avevo trovato posto né su i treni Intercity né sulle Frecce, tutto pieno tra Firenze e Bologna.

Allora mi sono detto: “Vado a Bologna con la Porrettana”.

Raggiungo la stazione di Pistoia con un taxi, il treno per Porretta da orario sarebbe partito alle 12,20. Una prima sorpresa, un bellissimo treno, con il nome Pop dipinto sulla fiancata, mi aspetta. L’accesso al vagone è allo stesso livello del marciapiede, salendo sembra di entrare in un salotto, finestre grandissime, ambiente con aria condizionata, sedili comodi e spaziosi, schermi per informazioni ben posizionati e chiarissimi.

Pochi i viaggiatori, forse una quindicina, nel mio settore sono solo, ed il capotreno, una elegante ragazza, controlla prima di partire il mio biglietto memorizzato sullo smartphone.

Il treno, partito in perfetto orario, si muove in un incredibile silenzio ed incontro subito una stazione che quando viaggiavo da giovane studente non esisteva: Pistoia Ovest, il treno si ferma ma non scende né sale nessuno. In rapida successione il treno passa davanti a stazioni che sono segnalate ma non più operative: Valdibrana e Piteccio, così arriviamo a Corbezzi, anche qui nessun viaggiatore, poi ci fermiamo in una stazione che non esisteva nel 1954: Castagno.

La stazione di Castagno è una piccolissima stazione con servizi separati costruita, come in un gioco, su un prato verdissimo e sotto le fronde di alberi sicuramente secolari. Ma quello che mi colpisce è la scritta che affida la cura di tutto quanto ai cittadini. Tutto è incredibilmente ben curato, sul prato stanno guardando il treno una decina di persone con un paio di bimbi in carrozzina.

Subito dopo si arriva a San Mommè. Nessuno scende e nessuno sale, dopo poche decine di metri inizia la lunghissima galleria dell’appennino, temuta dai passeggeri dei treni a vapore e capolavoro della ingegneria del diciannovesimo secolo.

Pracchia appare subito appena termina la galleria, qui termina la salita, terrore delle locomotive a vapore che fino al 1927 trainavano i treni da Pistoia superando un dislivello di 550 metri in 26 chilometri.

Dal treno scendono alcuni viaggiatori e sale una coppia di camminatori con zaini e bastoni da trekking, poi si riparte ed in rapida successione, lungo il corso del fiume Reno, le stazioni di Biagioni-Lagacci e di Molino del Pallone.

Il fiume Reno che da Pracchia scorre a fianco della ferrovia un poco a destra ed un poco a sinistra, è incredibilmente azzurro, pulito, sintomo evidente del calo demografico che la montagna pistoiese ha subito negli ultimi decenni. Guardando attentamente noto che la portata dell’acqua è diminuita rispetto a quanto ricordavo, anche questo è sintomo evidente degli attuali cambiamenti climatici.

Appena il treno parte da Molino del Pallone mi alzo in piedi e stando ben fermo sulle gambe davanti al finestrino destro aspetto la prossima stazione, Ponte della Venturina, la mia stazione, da cui sono partito per una avventura che, grazie a Dio, non è ancora terminata. La stazione arriva, non è cambiata molto, il giardinetto abbastanza curato sulla sinistra della grande casa con cantoni in pietra serena, la porta della sala di aspetto è aperta e intravedo due panche per i viaggiatori, la porta di quello che era l’ufficio del capo stazione è chiusa, la stazione non è più presidiata. La fontana, scolpita nella pietra serena, c’è ancora ma non riesco a vedere se butta acqua.

Una persona scende dal treno, supera il grande cancello di ferro dipinto di grigio scuro e si incammina verso il piccolo borgo, il capotreno, la ragazza elegante, controlla che le porte si siano chiuse in modo automatico e, sventolando una bandierina verde, ordina al macchinista di partire.

Mi siedo, il mio viaggio continua verso Porretta Terme, verso Bologna, verso Milano.

Ponte della Venturina è ormai lontana, è dietro di me, ma per quello scampolo di avventura umana che mi resta è ancora e sarà sempre dentro di me.

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Commenti e note

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di ,

Complimenti,bellissimo articolo,un ritorno al passato pieno di nostalgia. Io l'ho vissuto percorrendo tante volte la strada porrettana ss64.

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di ,

Bellissimo articolo. Ricordo mio nonno quando mi raccontava le sue avventure tra il personale di macchina di quegli anni. Il loro incubo era avere l'ispettore a bordo quando si affrontava una salita importante. Tra le più insidiose c'era appunto la famosa Porrettana. Ovviamente l'ispettore pretendeva che il consumo di carbone fosse ridotto al minimo cosa che mal si conciliava con alcuni percorsi. In più metteva sotto chiave alcuni attrezzi che il fuochista poteva usare in caso di difficoltà per aumentare la produzione di vapore . Ciao

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di ,

Buon giorno, Grazie a voi che avete la pazienza di leggere quanto mi diverto a scrivere. I miei ricordi lontani sono così incisi forse perchè sono vecchio e mi rimangono solo quelli. Sto scrivendo un altro mio ricordo che riguarda la stadera, spero di finirlo per le prossime due sertimane. Carlo

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di ,

Concordo con il commento precedente. Quello che mi colpisce, è il numero e l'accuratezza dei particolari ricostruiti. I miei ricordi sono sempre molto più nebbiosi, come se fossi passato attraverso le cose senza osservarle bene come avrei dovuto. Bravo Carlo!

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di ,

Letto di un fiato, bello.

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