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9 Ottobre 1963

Avevo sedici anni quando per la prima volta ho sentito parlare del Vajont. Una casualità, decisamente una casualità. Stavamo organizzando la festa di capodanno a casa di una amica e solo allora mi sono accorto che la sua casa aveva l'ingresso carraio in una via trasversale, una stradina a fondo chiuso, la via Vittime del Vajont. Ricordo che allora quel nome, Vajont, con la i-greca, mi suonava molto come nome estero e, ad una mia interrogazione, qualche amico più grande mi disse che le vittime erano una popolazione deceduta a causa di un problema con una diga. La mia curiosità di teen-ager fu allora saziata e non mi preoccupai più di "quelle vittime" da me considerate in Paese straniero.

Via Vittime del Vajont

Via Vittime del Vajont

Passarono alcuni anni e quell'amico che mi diede la prima risposta sul Vajont faceva consegne in stile pony-express per l'azienda presso la quale lavorava, portando ai clienti sparsi qua e là sul territorio nazionale gli articoli prodotti dalla stessa azienda per i quali i clienti non potevano certo aspettare, ma bramavano per avere i materiali entro breve, pena il blocco delle produzioni. Mauro, questo amico, mi disse "sono andato a consegnare materiale in Friuli e sono passato dal Vajont". Vajont, Vajont. Dopo pochi anni quel nome mi ricordava una tragedia ma chiesi lumi e mi spiegò che anni addietro una disgrazia connessa ad una diga uccise delle persone. Il Vajont... gli anni per me passavano ed il Vajont, ormai passato dall'estero al Friuli, dopo essermi in parte documentato sulla vicenda, era diventato per me soltanto un nome, un episodio di una vita da me non vissuta ed adagiato in un cassetto impolverato della mia memoria, finché...

Indice

"La nostra sede principale è in provincia di Belluno"

Nel 2012, dopo una serie di vicissitudini professionali, venivo assunto da una multinazionale britannica, con diverse sedi sparse in tutto il mondo. In Italia, la divisione presso la quale sarei andato ad operare, aveva appena aperto una sede a nord di Milano, sede nella quale sostenni i due colloqui pre-assunzione. La telefonata giunse un po' inaspettata: "La assumiamo", mi disse la collega dell'HR "ma la sede principale della divisione nella quale Lei andrà ad operare è in provincia di Belluno. Dovrà periodicamente recarsi là per confrontarsi con i suoi responsabili ed i suoi colleghi. Se questo aspetto non le crea problemi, allora benvenuto a bordo!". Accettai e ne fui (e ne sono) molto contento. Dopo la prime due settimane trascorse a Milano, eccomi alla "prova-trasferta": "Paolo, ti aspettiamo settimana prossima, qui a Belluno. Starai qui 4 giorni". Bene, organizzo la trasferta, prenoto l'auto aziendale e al lunedì mattima sono già a destinazione. La prima giornata passa tranquilla, alla sera giro un po' per Belluno. Il giorno seguente, il mio capo mi manda una email con la quale mi dice che, a termine dell'orario di ufficio, dato che la giornata era limpida, un giro in Val Zoldana mi avrebbe permesso di ammirare le bellezze delle Dolomiti. Così, mi suggerisce un percorso che da Belluno porta a nord, verso Longarone e, una volta arrivato lì, svoltare a sinistra e su per la strada fino al passo di Staulanza.

Effige al Passo di Staulanza

Effige al Passo di Staulanza

Il monte Pelmetto, visto da Staulanza

Il monte Pelmetto, visto da Staulanza

Per sicurezza, imposto il percorso anche con il navigatore ma la strada era davvero semplice! Dopo qualche chilometro ecco un cartello: "Cimitero monumentale Vajont". Vajont, VAJONT! Ma dai: sono a due passi dal Vajont! Arrivo a Longarone e vedo i cartelli: "Diga del Vajont". Sono cartelli a sfondo marroncino, quindi turistici. Senz'altro la meta indicata si trova a poca distanza. Ma dopo poco ecco profilarsi un altro segnale che riporta le indicazioni, a sinistra, per la Val Zoldana. "Alla rotonda, prendere la terza uscita" dice il mio navigatore. Bene, svolto a sinistra e mi concentro sulla strada. Ma quel segnale, "Diga del Vajont", mi ha messo addosso una tale curiosità che... Il terzo giorno, con negli occhi il Pelmetto, una splendida cima delle Dolomiti che sovrasta il passo di Staulanza, mi presento in ufficio. A pranzo con i colleghi racconto della mia gita serale del giorno prima e cito il Vajont. "Per andare al Vajont, anziché svoltare per la Val Zoldana dovevi proseguire ancora un poco e poi svoltare a destra", mi dice Michele. A questo punto divento serio e chiedo: "Mi raccontate del Vajont?"

La tragedia del Vajont

La storia del Vajont è molto complessa e, per chi ha voglia di approfondire la tematica, si accorgerà che le basi di tutta la vicenda poggiano addirittura negli anni '30 del secolo XX. La storia ha inizio quando la SADE (Società Adriatica Di Elettricità) decide di realizzare una diga, la più alta del mondo all'epoca, nella valle del fiume Vajont, affluente destro del fiume Piave. Il Vajont, poco più che un torrente, scorre in una valle stretta ed alta, luogo ottimale per realizzare uno sbarramento artificiale e raccogliere l'acqua che va a servire il bacino idroelettrico della provincia di Belluno, dal Cadore fino all'Alpago. L'acqua, raccolta in bacini via via posti ad altezze diverse, va ad alimentare le centrali idroelettriche per poi essere consegnata alla pianura per usi agricoli. La diga del Vajont rappresentava quindi una vera opportunità in tal senso. I dati dell'impianto sono impressionanti: doppio arco in calcestruzzo, altezza di 263m per una portata complessiva di 168 milioni di metri cubi di acqua: una vera e propria banca dell'acqua! La diga poggia i suoi fianchi all'uscita della valle che il torrente Vajont si è scavato nei secoli per raggiungere il Piave; nel punto in cui è stata costruita, a destra e a sinistra del lago i monti Stanca e Toc rappresentano i due sbarramenti naturali ai fianchi del lago. Il monte Toc è un monte instabile, con una morfologia geologica decisamente inadatta per sostenere un invaso di tali proporzioni. Durante i collaudi per la verifica della tenuta della diga, l'invaso fu riempito e svuotato a più riprese per saggiare la tenuta della diga. Forti scosse, simili ad un terremoto, venivano avvertite dalla popolazione e registrate dagli strumenti, quando la montagna non riusciva a rimanere in posizione ed iniziava i suoi spostamenti verso il lago. L'acqua, penetrando nel fianco del monte Toc, ne stava impregnando la terra ed i tecnici (ed anche la popolazione) si accorsero di un fronte franoso di circa 2.5 km a rischio stabilità con la possibilità, non tanto remota, di precipitare nel lago, con conseguenze disastrose.

9 ottobre 1963

Ed alla fine l'irreparabile accadde: alle 22.39 della sera del 9 ottobre 1963, una poderosa massa di terra e detriti si staccò dal monte Toc, causando una frana di 200 milioni di metri cubi di roccia lunga 2.5 km. La frana si schiantò a 90km/h nel lago sottostante sollevando due gigantesche onde d'acqua alte circa 250m ciascuna. Una di esse punto a monte del lago sfiorando i comuni di Erto e Casso causando pochissimi danni ed un limitato numero di vittime (ma non per questo da dimenticare!); l'altra scavalcò la diga, distruggendone soltanto la strada carrozzabile (costruita sulla sua sommità) ed il centro di comando e controllo, per poi correre lungo l'orrido in direzione Longarone.

La forra del Vajont con LONGARONE sullo sfondo

La forra del Vajont con LONGARONE sullo sfondo

Si formò una bolla d'aria che letteralmente esplose provocando la vaporizzazione dei corpi, una vera e propria esplosione paragonabile, per effetti provocati dall'aria, ad un paio di atomiche del tipo di Hiroshima. Ma quello che l'aria non fece, fu completato dall'acqua che piombò dopo soli 4 minuti, sull'abitato di Longarone che fu letteramente spazzato via. Delle case rimase solo il pavimento, la furia dell'acqua non risparmiò nè uomini nè animali. Il Piave, nero come non lo si era mai visto, trascinò cose e cadaveri a valle e molti corpi furono recuperati anche a San Donà di Piave, 100 km più a valle. Ci furono 2000 vittime, la maggior parte abitanti di Longarone e delle sue frazioni. Il dato che colpisce e che aumenta la stretta al cuore è il numero di bambini deceduti: 470. Un quinto delle vittime non aveva ancora 15 anni e una intera generazione è stata spazzata via in pochi istanti. A ridosso della diga, lungo il fronte della frana, una staccionata è stata coperta con delle bandierine colorate riportanti i nomi dei bambini morti nella tragedia. Quelli non ancora nati sono stati rappresentati con teli bianchi.

A ricordo dei bambini deceduti

A ricordo dei bambini deceduti

I teli a ricordo dei bambini deceduti

I teli a ricordo dei bambini deceduti

I teli a ricordo dei bambini deceduti

I teli a ricordo dei bambini deceduti

A ricordo di un bimbo mai nato

A ricordo di un bimbo mai nato

A ricordo di un altro bimbo mai nato

A ricordo di un altro bimbo mai nato

Ieri e oggi

La diga ed il lago, nel 1962, apparivano, come in foto, nel loro pieno splendore. Oggi del lago resta un'appendice nella direzione rivolta verso il Friuli, mentre a ridosso della diga il monte Toc ha occupato lo spazio precedentemente ocupato dai 50 milioni di metri cubi d'acqua che sono usciti dal lago. L'invaso è pieno di terra.

La diga nel 1962

La diga nel 1962

L

L'invaso oggi, colmo della frana

La diga vista dalla posizione del centro di comando e controllo

La diga vista dalla posizione del centro di comando e controllo


Salendo verso Casso si ha modo di vedere il fronte franoso a forma di M che si è sganciato dal pendio.

Fronte a "M" della frana scesa dal Monte Toc

Fronte a "M" della frana scesa dal Monte Toc

Schematico della diga, oggi

Schematico della diga, oggi

In conclusione

La diga del Vajont non entrò mai in servizio: il paradosso è che la spinta alla quale fu sottoposta fu di molte volte superiore a quella massima ammessa per poter dichiarare che lo sbarramento fosse da ritenere sicuro. Insomma, il collaudo vero e proprio fu quello del disastro. La diga tenne e, a distanza di 50 anni, è ancora lì, maestosa. La Storia non si cancella, non è possibile. Dopo cinquant'anni una vicenda come questa non può e non deve essere dimenticata, per rispetto verso chi non c'è più. Persone più autorevoli di me hanno scritto e documentato la vicenda legata al Vajont, per questo rimando agli approfondimenti indicati in coda a questo articolo.

Io ci sono stato nel 2012, ci sono voluto tornare nel 2013 e ho capito che sotto quella frana c'è molto dolore, benché non riesca nemmeno ad immaginare quanto! Chi passa da quelle parti si rechi a visitare quei Luoghi feriti che possono aiutare a capire molte cose.

L'ultima domenica di settembre, con la collaborazione dell'ENEL (proprietaria dell'impianto, dal 1962 a seguito del programma di nazionalizzazione della rete elettrica Nazionale), è possibile camminare lungo i percorsi della memoria che da Longarone portano su al Vajont lungo i sentieri, le vie e le gallerie di accesso alla diga.


Riferimenti

9 Ottobre 1963

9 Ottobre 1963

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Commenti e note

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Grazie, tormen. Chissà che non ci si incontri, in quei di Belluno, allora! Ciao.

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Complimenti per l'articolo. Io sono di Belluno e ti ringrazio perchè mantieni vivo un ricordo che nessuno deve dimenticare. In provincia ci saranno diverse manifestazioni per celebrare l'anniversario della tragedia: oltre alla tappa del Giro d'Italia, ci saranno anche gare di atletica e un amichevole dell'Udinese.

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C'è stato un periodo in cui andavo a sciare abbastanza spesso a Cortina. Una volta mi sono fermato a Longarone (è sulla strada) e mentre guardavo la diga, ho visto un vecchietto camminare barcollando in salita e poi cadere a terra. L'ho tirato su e gli ho dato un passaggio in auto fino ad un bar del centro. Quando gli ho detto il motivo della mia fermata la sua laconica risposta è stata "io c'ero e mi sono salvato per pochi minuti". Non ho osato insistere. Ho visto diverse volte lo spettacolo di Paolini, una delle cose che mi piace di più è come descrive il sentimento delle mamme e dei papà. Non avrebbe potuto rappresentare meglio la contraddizione delle sensazioni che si provano guardando quell'opera.

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Paolino, non solo l'articolo mi piace molto, ti dirò di più: ritengo che questa tragedia sia passata in sordina per troppo tempo, dunque articoli come questo sono indubbiamente di grande importanza per mantenerne viva memoria. Colgo l'occasione per ricordare che il 9 ottobre 2013, in occasione del cinquantennale del disastro, sarà possibile seguire gratuitamente la visita guidata di 40 minuti sul coronamento della diga. Per info: http://www.girofvg.com/38875/vajont-1963-2013-per-non-dimenticare-le-visite-guidate-della-memoria.html

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@brabus: nussun voyeurismo. Ho preso in prestito una espressione usata da fonti più autorevoli di me, tutto qui. Nel complesso, spero che l'articolo sia stato di tuo gradimento. @foxone1978: ti ringrazio.

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Senza giudizio, sia chiaro. Sarebbe bellissimo togliere quel macabro (e inesatto) riferimento all'hollywoodiana "bolla d'aria esplosiva" etc. che genera solamente facili voyeurismi e non aggiunge nulla alla descrizione dei fatti.

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Bellissimo articolo.. complimenti.

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Grazie, Carlo. Quando, nel tuo girovagare professionale, passerai da quelle parti, non scordarti di far visita. Ciao.

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Grazie Paolino, ho visto più volte lo spettacolo di Paolini del quale ho letto il libro; ho anche visto il film menzionato da elettrodomus, ma non ho mai purtroppo avuto occasione di andare a visitare la diga e la città di Longarone. Grazie, grazie per averlo fatto per me.

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Grazie EnChamade. L'educazione al rispetto è una cosa importante, non solo per il Vajont.

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Complimenti vivissimi a Paolino per il suo racconto di un disastro che poteva e doveva essere evitato. Quei luoghi sono sempre molto forti anche per chi è abituato a passarci di frequente o ci vive poco lontano. Noi della nuova generazione, qui dalle nostre parti, fin da piccoli siamo stati educati al rispetto di questa tragedia, soprattutto a causa di testimonianze e conoscenti che allora ci sono stati. Io personalmente ho conoscenti che allora, da giovani alpini in servizio di leva, alle ore 5.00 del 10 Ottobre 63 si trovavano lì, immersi nel fango fin oltre le ginocchia, tentando di portare i primi soccorsi a un paese che ormai non esisteva più. Testimonianze che gelano il sangue all'istante e che mi ritornano vive nella mente ogni volta che passo in quei luoghi poco distanti da casa. Per altro, qui nel feltrino, nel raggio di 15 km ci sono ben quattro dighe con firma Carlo Semenza, edificate negli anni 50, e tutte dei veri e proprio gioielli ingegneristici. La costruzione di questi imponenti muri di cemento armato portò molto lavoro nella popolazione locale ed ancor oggi non è raro trovare chi, a quell'epoca appena ventenne, conobbe direttamente i protagonisti del progetto Vajont: sono testimonianze che trovo sempre molto affascinanti e significative.

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@Guerra: grazie Riccardo per l'apprezzamento. @badilant: i cunicoli sono stati operati anche per effettuare dele canalizzazioni. Ti rimando all'Orazione Civile di Paolini, in bibliografia. Per quanto concerne la domanda che poni: l'aria si trovò a dover passare da un orrido davvero stretto e la pressione dell'acqua contro l'aria fu tale da creare un vero e proprio pistone pneumatico. La pressione aumentò a tal punto da far esplodere la bolla d'aria che si formò e la spinta fu tale da provocare la vaporizzazione dei corpi. Questi dati non sono inventati da me, bensì determinati da chi studiò a fondo l'evento. Tu, come me, abiti lontano da quelle zone: se hai modi di passare, soffermati... Grazie anche a te.

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Bellissimo approfondimento, ammetto di essere rimasto pressochè all'oscuro dei dettagli, o di essermene dimenticato forse. Un evento estrememnte drammatico che fai bene a ricordarci. In particolare mi ha colpito questa tua: "Si formò una bolla d'aria che letteralmente esplose provocando la vaporizzazione dei corpi, " Puoi spiegarmi meglio cosa significa? Impressionante la mappa delle gallerie,non immaginavo che dietro ad una diga vi fossero tanti cunicoli tunnel e passaggi, molto interessante.

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Grazie Paolo. Inoltre davvero belle le foto.

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@Attilio: la prossima volta che andrai a fare visita ai tuoi parenti, non mancare di andare al Vajont. Le emozioni che sono suscitate in me ho cercato di trasferirle e sono contento che tu le abbia colte. @Gustavo: grazie, Gustavo! Sono contento che abbia apprezzato. @mir: hai ragione: vedere quelle bandierine è davvero impressionante. Ti garantisco che la fila è davvero lunga, costeggia la strada, impossibile non notarla. @elettrodomus: sto cercando il film (lo acquisterò on-line) per poter acquisire altri dettagli benché alcuni romanzati. @carloc: la mostra itinerante è una bella cosa! Il nostro Paese NON DEVE dimenticare! @brabus: ho cercato anch'io di immaginare ma lo trovo davvero arduo. Il suocero di un mio collega è un superstite. Non credo che avrò mai il coraggio di chiedergli cosa si ricorda. @admin: per voi, giovani di allora, vedere la vostra regione ferita deve essere stato un colpo davvero forte! @Kirkegaard: lo spettacolo di Paolini ha un non so che di incredibile. Mi ha portato a rivedere tutta la vicenda come se fossi un protagonista. Grazie a tutti per gli apprezzamenti.

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Conobbi la tragedia tanti anni fa con lo spettacolo di Paolini. Fanno davvero impressione i dettagli che tutte le volte vengono fuori...

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Grazie Paolino, per questa tua testimonianza. Io ricordo ancora bene il mattino del giorno successivo, quando a scuola, frequentavo la quinta ginnasio, non si parlava d'altro-

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Da conoscitore (fortunatamente esterno) dell'agghiacciante evento, mi astengo da ogni ulteriore commento. Ho cercato a lungo di immaginare la scena, ma per quanti sforzi abbia fatto non ci sono mai riuscito. Vi assicuro che l'immaginazione non mi manca; semplicemente il fatto è di gran lunga troppo terrificante per essere visualizzato nella mente. Consiglio a tutti la visione dell'omonimo film.

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Bellissimo Paolino.... L'anno scorso mi è capitato di visitare una esposizione itinerante con foto, ritagli di giornale, dettagli, progetti... insomma un "memorial". Devo dire che l'emozione fu molto forte, il tuo bellissimo articolo mi ha riportato proprio lì.

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Concordo: bellissimo articolo, Paolino. Grazie. ...Esiste anche un "colossal" (vagamente in stile Titanic) del 2001, che si intitola Vajont, uscito sulla scia dello spettacolo di Marco Paolini; non è un documento preciso, e per questo è stato oggetto di qualche polemica, ma può dare un idea della vicenda ai più pigri.

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di ,

Bravo Paolino, è bene non dimenticare, anche se il particolare di quello steccato multicolore fa male. Complimenti bell'articolo.

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di ,

Bellissimo articolo.

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di ,

Grazie Paolino, non conoscevo i dettagli dell'episodio, anche se la storia mi era nota fin da ragazzino (ho degli zii trapiantati in veneto da molti anni). Sono stato nella provincia di Belluno tanti anni fa, ma non sono riuscito a recarmi in quel luogo. Il tuo racconto è emozionante e condivido pienamente che queste storie non debbano mai essere dimenticate. Ciao

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