In fondo, le telecomunicazioni fondano i loro obiettivi sulla lotta tra "segnale" e "rumore".
Il segnale è energia le cui variazioni di forma sono associate a significati prestabiliti, scelti in un campionario la cui estensione può anche essere virtualmente infinita, come nel caso del segnale analogico. Anche se in pratica non lo è mai, perché l’infinito è solo una comoda astrazione mentale, che stranamente ci fa semplificare i calcoli, perlomeno in molti casi: la matematica con l’infinito (in particolare quella del continuo) è in generale meno difficile di quella del finito, peggio se “discreto”.
L’energia usata per trasportare il segnale può essere di tutti i tipi: meccanica, elettrica, termica, etc. Ma affinché possa costituire un segnale deve variare. E’ solo la variazione che può trasportare significati. La variazione può essere nel tempo, come per i segnali vocali, o nello spazio, come per quelli visivi statici, oppure sia nello spazio che nel tempo, come per le immagini in movimento.Nella maggior parte dei casi ci si riconduce però a variazioni nel tempo. Ad esempio quando osserviamo un quadro, è stato dimostrato che noi muoviamo lo sguardo lungo una linea spezzata e aggrovigliata, che cerca di percorrere tutta la superficie dipinta. Anche se la percezione retinica è “parallela”, perché basata su un gran numero di recettori (coni e bastoncelli), la trasmissione avviene nel tempo tramite variazioni dei potenziali cellulari, in modalità molto complesse.
Per venire a qualcosa di più familiare, una memoria elettromagnetica viene letta e scritta nel tempo, utilizzando la cosiddetta “conversione serie-parallelo” o “multiplazione-demultiplazione”. La storia della tecnologia delle comunicazioni mostra che è più agevole “maneggiare” il tempo che lo spazio, per cui si preferisce infilare in un solo canale fisico tanti segnali temporali diversi (a patto di saperli poi distinguere) invece di dotarsi di tanti canali fisici, uno per ogni segnale. Naturalmente si cerca sempre il miglior compromesso tra “parallelo” e “serie”, ma è facile rendersi conto che la ripartizione tra i due è fortemente asimmetrica, dove la prevalenza è di molti segnali per ogni canale fisico.
Insomma il grande “territorio” dei segnali è diventato assai più il tempo che lo spazio. Lo è diventato con lo sviluppo della tecnologia, mentre fino a poco tempo fa l’origine dei segnali stava forse più nello spazio, espresso dall’architettura, dall’agricoltura, dalla moda nel vestire, dalle bandiere, dalle tante figure a funzione più o meno simbolica, dalla stessa scrittura. Il tempo riguardava solo la voce e poco più.
Tornando alla lotta tra segnale e rumore, ci si deve domandare che cos’è il rumore. Il termine è di origine acustica e si riferisce a un evento acustico che rende difficoltose la ricezione e la decodifica di un segnale acustico come la voce umana. Ma può anche essere un disturbo in sé, un evento acustico sgradevole alla percezione uditiva.Per estensione, poi, possiamo dire che il rumore è “tutto ciò che non è segnale” e che interferisce con il segnale, lo altera, rende difficile o impossibile decodificarlo. Questa definizione sottintende quindi una contestualizzazione: un segnale è tale (ossia è portatore di significato) solo in un dato contesto, perché lo stesso segnale è rumore in un altro contesto, come ben sa chi opera nelle telecomunicazioni.
Ne segue qualche connotazione manichea: il segnale è buono, bello, utile mentre il rumore è cattivo, brutto, inutile. Come dire che per gli ingegneri delle telecomunicazioni e dell’elettronica prevale l’aspetto funzionale ed è giusto che sia così. Il rumore preferito per loro è quello termico “gaussiano bianco”, il più facile da trattare, e anche quello più diffuso in natura, magari con statistiche un po’ diverse.
Il rumore è lo sfondo su cui si staglia il segnale: il “silenzio” assoluto non esiste, a cominciare da quello acustico: si sa che, messo in una camera anecoica, dopo un po’ un essere umano comincia a udire i propri movimenti interni, come lo scorrere del sangue e il battito cardiaco. Il rumore termico è sempre presente, anche perché è una condizione di fondo dell’universo e senza di esso saremmo senza esistenza. Altri tipi di rumore, essendo spesso niente altro che segnali per altri contesti, non hanno una statistica così semplice.
In musica il rumore è fondamentale perché diventa spesso segnale o parte importante del segnale sonoro. Si pensi agli strumenti a percussione come tamburi e piatti che generano rumori, più o meno “colorati” (da ricordare quello strumento che il futurista Luigi Russolo nel 1903 chiamò “intonarumori”) usati per segnare il ritmo. Ma il rumore è indispensabile anche come “componente” del suono: qualsiasi strumento musicale genera insieme al suono anche una certa quantità di rumore che contribuisce a caratterizzarlo in modo imprescindibile.
Il concetto di rumore si potrebbe estendere anche ad altri campi. Ad esempio l’inquinamento ambientale sarebbe rumore rispetto alle condizioni ritenute salubri, che sarebbero segnale. Alcuni dicono che l’inquinamento ambientale non ha sempre e comunque solo l’aspetto negativo consueto, quello del male, perché è un segno (in un certo senso un segnale) che l’economia si muove. I fatti economici producono insieme ai benefici anche svantaggi come l’inquinamento ambientale, proprio come i farmaci producono effetti collaterali indesiderati. Insomma ci sono vari casi in cui il rumore è anche un amico, oltre a un nemico da combattere.Nella tecnica digitale il rumore viene opportunamente chiamato “errore”, contro il quale Shannon ha individuato nuove armi fondate sui codici, mettendo in grado gli ingegneri di agire non solo sul piano energetico ma anche su quello concettuale, lavorando sulla statistica.
Poiché la definizione di segnale e quella complementare di rumore sono contestuali, accade spesso che uno si trasformi nell’altro o viceversa.
Si consideri per esempio il concetto di distorsione. La si può considerare un particolare rumore (statisticamente dipendente da quello del segnale) che si somma al segnale alterandolo. Negli anni ’60 ha cominciato a diffondersi nei gruppi pop e rock l’impiego del distorsore per chitarra elettrica, un dispositivo che distorcendo il suono della chitarra genera un suono che nel contesto tradizionale sarebbe “brutto” o “cattivo”, mentre nel contesto pop-rock diventa un suono nuovo, che sarà impiegato sempre più largamente, specie nel punk e nello heavy metal. Il rumore è diventato segnale. E’ come la storia del brutto anatroccolo.
Viceversa, molta musica techno, o anche punk e heavy metal, per certa gente (me compreso) è spesso più rumore (disturbo) che segnale, e molta musica “colta”, ad esempio quella seriale, è vissuta come rumore (non sempre a sproposito) dalla maggior parte delle persone.
Più in generale si può osservare come la trasformazione da "rumore" in "segnale" e viceversa è legata ai cambiamenti sociali incessanti, il più semplice dei quali è forse la moda nel vestire. Anche la lingua si dà ben daffare perché varia continuamente e ci tormenta con vocaboli “nuovi”, magari provenienti da altre lingue, che all’inizio sono vissuti con repulsione e orrore, cioè sono “rumore”, mentre dopo un po’ non ci facciamo più caso e la maggior parte di essi diventa “segnale”. Non parliamo poi dell’economia, dei rapporti sociali, dell’etica, e chi più ne ha più ne metta…
I cambiamenti sociali, più rapidi in certi periodi storici, determinano corrispondenti cambiamenti di contesto che, non prontamente compresi, generano a loro volta conflitti, legati appunto alla definizione, per lo più implicita, di “segnale” e “rumore”. Il super contesto che dovrebbe limitare i danni di questi conflitti può essere a parer mio solo la conoscenza basata sull’affettività. Il cammino per raggiungerla è indubbiamente impervio e accidentato. Però c’è.