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Come fare di necessità virtù
Letteralmente si tratta della capacità di affrontare e risolvere i problemi che si pongono in un processo, nel mio caso industriale.
Trattandosi di lavorazione e produzione a ciclo continuo, il Problem solving è un'attività che va affrontata nel momento in cui il problema ha inizio, o meglio, nel momento in cui viene rilevato.
Un problema, può riguardare un qualsiasi processo o sotto processo dell'attività di fabbricazione. Ovviamente, non tutti i problemi hanno lo stesso indice di priorità.
Ci sono dei problemi (che d'ora in poi, chiamerò anche "guasti") che mettono in crisi la produzione, qualitativamente e quantitativamente, che rischiano il fermo linea del cliente. Da diversi anni, in molti settori non si lavora più a magazzino, ma con programmazione mensile, settimanale, giornaliera.
E' ovvio che un guasto di natura straordinaria, per la risoluzione del quale ad esempio, siano necessari elevati tempi di approvvigionamento dei ricambi (orientativamente superiori a 48h), necessiti di una rapida strategia di azione.
Tante volte, è ritenuto meno doloroso, riuscire a garantire le consegne al cliente, sebbene con dichiarate e concordate lacune qualitative (che non incidano tuttavia, su caratteristiche di sicurezza e/o report).
I sistemi di gestione della qualità e le norme ISO, legate al settore della produzione automotive, ad esempio, definiscono o meglio attribuiscono, la responsabilità del piano d'azione (e d'emergenza) al team APQP o almeno, così mi pare di ricordare.
In molte realtà e in particolare in quella da me vissuta, le cose funzionano un po' diversamente.
Come si potrebbe erroneamente credere, da una lettura approssimativa dalle norme precedentemente indicate (tipo la vecchia QS-9000 o la più attuale ISO TS 16949), sembra quasi che il team APQP, si incontri al bar per l'happy hour e lì tra un aperitivo e dei salatini, proponga la strategia che comporti il minor danno possibile per il cliente e per il sistema, passando poi la palla agli addetti "allo sporco lavoro".
Nel mio caso, non c'era questa distinzione di ruoli, e quindi niente happy hour!
Come molti avranno sperimentato sulla loro pelle, davanti ad un problema estremamente complesso, non c'è più orologio che sia meritevole d'essere consultato.
E' bene, prima di cominciare la full-immersion nel problema specifico, fare una telefonata a casa, dicendo "Amore, è probabile che io faccia un po' tardi... ci sentiamo dopo"
Lo scopo di questo racconto è quello di constatare che...
...mancherà sempre un ricambio critico nel magazzino dei ricambi critici
L'impianto di dosaggio delle materie prime è composto da quattro cisterne da 25 m3 l'una, che attraverso delle pompe volumetriche a disco cavo oscillante e una serie di condotti e valvole di intercettazione, convogliano a seconda della mescola da preparare, il prodotto liquido, in un silos da 1500 litri, posto sopra un basamento da 3000 kg.
Al basamento, è associata una cella di carico interfacciata col sistema automatico di dosaggio, che attraverso le sue schede I/O a relè, abilita e controlla anche le pesate di altri otto additivi, prelevati attraverso delle pompe pneumatiche da altrettanti fusti metallici da 200 litri, posti su pedane con vasche di raccolta; questi ultimi, non vengono caricati nel precedente silos, ma su una vasca chiusa, posta sopra di esso.
In totale una decina di ingredienti, da pesare secondo un preciso rapporto con tolleranze nell'ordine dei 50 gr. in difetto o in eccesso.
Una mescola, per comodità produttive, consisteva in circa 1000 kg, di materiale formulato.
Il sistema di dosaggio, era composto da un PC industriale con HMI, con installato il software del produttore e da un bus proprietario per il collegamento di più basamenti, di unità di lettura di codici a barre e di stampante laser del resoconto delle pesate.
Quello che si poteva modificare, erano i parametri di lavoro del sistema, le opzioni di dosaggio, i tempi di risposta, e un'infinità di altre cosa che ora non ricordo.
In sostanza, quando c'era da preparare una mescola, bastava inserire il codice del prodotto da preparare e premere lo "start", vigilando solo sulla posizione di alcuni selettori per comandi "manuali".
Andava poi garantita la presenza durante le pesate, per abilitare il sistema a continuare, in caso di sovradosaggi fuori dai limiti impostati. Il sistama lavorava in autoapprendimento con una sorta di controllo PID, cercando di aggiustare di volta in volta gli errori di pesata rispetto al nominale.
Maledetti buchi di tensione!
Il sistema di pesatura, che veniva attivato all'occorrenza, aveva sempre lavorato senza UPS (in effetti avremmo dovuto pensarci subito e correre ai ripari, ma per un motivo o per un altro, non è stato fatto), probabilmente qualche sovratensione ha mandato in avaria il sistema.
Tuttavia, aprendo la console, non sembravano esserci apparenti danneggiamenti sul PCB, ma la cella di carico non dava segni di vita, o meglio, tramite il PC stesso, non si riusciva più a dare alcun comando.
Roba da elettronici, da informatici forse, magari anche da meccanici di precisione, tutte figure assenti nella nostra realtà e comunque, senza schemi in mano, le cose si complicano di molto.
Quella mattina, la prima cosa che feci, fu di contattare il CAT del fornitore dell'impianto, ma vedendo che la conversazione telefonica, non avrebbe dato i risultati sperati, il mio problema diventava immediatamente un altro.
Il tecnico infatti, dalla "anamnesi" da me fornitagli, parlava già di spedizione della console per una loro verifica, per la riprogrammazione ed altre azioni che non avrei comunque potuto contestargli, vista la mia ignoranza nera in materia.
Sta di fatto, che feci tutte le prove possibili ed immaginabili, ma non ci fu verso di resettare un bel nulla! In qualche modo bisognava preparare le mescole. C'era infatti autonomia solo fino alle otto della sera, ed erano già le sette e mezza di mattina.
A quel punto, non avendo alcun ricambio né tantomeno la possibilità di recuperare un semplice visualizzatore da collegare alla cella di carico, anche per questo l'attesa era di almeno una settimana lavorativa, misi in secondo piano ogni speranza di risolvere il problema in modalità software e iniziai a studiare una soluzione hardware.
La sala di pesatura, un locale di circa 200 m2, divenne presto la s(t)al(l)a di pesatura, per via dell'enorme mole di segatura sparsa per terra usata a mo' di filler per il drenaggio dei liquidi traboccati.
Utilizzando il materiale presente nei vari magazzini rottami, predisposi una tubazione manuale di carico delle materie prime poste nelle cisterne da 25 m3, sicché a valle della valvola di caricamento che convogliava nel silos da 1500 litri il suddetto materiale, ora, attraverso un restringimento del tubo, terminante con una valvola da 1" 1/2 manuale AP ed una lancia "mozza", lo indirizzava in fusti da 200 litri.
Il fusto riempito, veniva nei primi giorni, pesato su di un bilico; successivamente passammo al riempimento "ad occhio", che per un valore nominale di 1000 kg, poteva benissimo avere qualche chilo di tolleranza.
Gli additivi, invece, venivano pesati su una bilancia elettronica essendo questi in proporzione variabile, compresi tra i 40 kg e i 500 gr. Per questi, la pesatura doveva essere più precisa possibile.
Così le pompe pneumatiche, ora mandavano il materiale in dei secchi (usati come buffer) invece che sul pentolone originario. Installai delle TEE in uscita alle valvole, con apposito rubinetto.
Pur nel caos che inevitabilmente si era venuto a creare, bisognava realizzare una soluzione tampone, pratica e funzionale, il più semplice possibile e soprattutto ben scaglionata.
Essendo in tre, a dividerci le preparazioni durante la giornata, studiai una procedura che fosse unica per tutti, l'importante era memorizzarla alla svelta. Stampai dei fogli con la sequenza del materiale da pesare, e mettevamo una spunta sul foglio (uno per ogni preparazione) quando si finiva di pesare ciascun prodotto. Non era infatti auspicabile domandarsi "Ma questo l'ho già pesato?".
Materiale master ed additivi, venivano poi immessi con una pompa a pistone (ad aria compressa), nei reattori di miscelazione.
Mettevo i fusti per il materiale master a due a due su europallet, e dopo averli riempiti, stando attento a non ritardare il comando col selettore manuale, forte di transpallet, li portavo vicino ai reattori e iniziavo il travaso, quindi con manovre millimetriche, fossi quasi in una cristalleria, andavo a caricare la seconda pedana e la predisponevo vicino alla precedente, poi andavo a pesare gli additivi. Il tutto con maschera facciale tipo sbarco del Saturn V e 40°C sotto il tetto della sala mescole.
Il giorno dopo, trovai la suddetta sala, invasa di segatura inzuppata. Il mio collega aveva ritardato a manovrare il selettore e una cinquantina o più di chili di materiale master (un glicole a media viscosità in sostanza) erano andati sparsi per terra.
Ora movimentare il transpallet era diventato ancor più difficoltoso e gli scivoloni a cui si andava incontro, non si contavano più. Ne approfittai per sostituire il selettore con un pulsante N.A. e in giornata pulimmo il pulibile.
Andammo avanti così per oltre due settimane, più di metà turno mi passava nella preparazione di due mescole, le altre due le facevano gli altri colleghi nel loro turno. Devo dire che organizzandomi al meglio, con tutte le piccole comodità installabili, la cosa era diventata in un certo senso oggettivata.
Non si ebbe, nessuna ripercussione a livello qualitativo sul materiale fabbricato, i controlli erano OK e anche in produzione, non si registravano anomalie o problematiche di stampaggio.
Ricordo però che quando arrivò il terminale riparato e riprogrammato, lo installai senza troppi rimpianti. Il giorno dopo, feci RdA di un UPS da dedicare al sistema e il giorno dopo ancora collegai il tutto.
Successivamente, ordinammo ed acquistammo anche un semplice visualizzatore da connettere alla cella di carico, per ogni evenienza.
Adesso, nel magazzino "ricambi critici", c'era anche l' IND226.
Tutto è bene quel che finisce...
Questo è solo uno degli esempi che mi vengono in mente. Non si tratta propriamente di interventi di manutenzione, anche se poi eravamo noi a curarci di realizzare tutte le modifiche necessarie ad andare avanti.
Si tratta piuttosto di un adeguamento camaleontico e ad una pronta reazione alle "disgrazie" Murphyane che si incontrano in ogni processo produttivo.
Situazioni talvolta al limite del sostenibile, probabilmente non esportabili nè tanto meno applicabili ad ogni singola realtà.
Mi sono spesso chiesto, come si sarebbero comportati i colleghi di altri stabilimenti. Probabilmente avrebbero adottato scelte diverse, probabilmente essendo in posizione strategica più favorevole, avrebbero avuto tempi di rimessa in servizio minori.
Forse a torto, ma dietro ogni piccola impresa, dietro l'aver scongiurato il fermo del cliente, c'era anche una piccola soddisfazione. Non autocompiacimento quello no nè tanto meno nessun elogio alla "tecnica" utilizzata.
Solo soddisfazione, per non essersi arresi, per avere cercato un'alternativa funzionale, ed esserci riusciti in maniera completa.
Probabilmente più che da elogiare, però, si tratta di un modo di fare da condannare. Tutto questo infatti, rimane nella storia personale di pochi di noi. E probabilmente è servito solo a scongiurare il pagamento di qualche centinaio di migliaio di euro di penale a carico dell'azienda.
Chissà se "l'azienda" sa tutte queste cose... io credo proprio di no, ma infondo questo cosa importa?
A questa storia potrebbero farne seguito delle altre, ma non so se possa interessare, probabilmente no.
Vedrò se mi andrà di ricordarle oppure no, vedrò innanzi tutto se riuscirò a ricordarle.
Qualche istantanea
Condizioni ordinarie
Condizioni non ordinarie
Ebbene sì, c'è anche questo dietro la fabbricazione di componentistica per automobili.