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Premessa
Nel precedente articolo ho ricordato che EY ha avuto ed ha come matrice l'Elettrotecnica, ma che ha tentato, e tenta ancora, di essere una fonte di intrattenimento. Naturalmente l'intrattenimento dovrebbe essere di qualità, e la speranza era, ed è ancora, che la qualità fosse, e lo sia ancora, presente negli utenti di EY. L'intrattenimento è inteso come la capacità di esprimere se stessi ed i propri interessi culturali, coinvolgendo gli altri e stimolandone lo spirito creativo e comunicativo.
Chi segue da tempo EY sa che ogni tanto propongo piccole storie personali, a volte legate al sito a volte alla vita di tutti i giorni, raccolte in una specie di diario, cui ho appiccicato l'aggettivo asincrono, sia come firma nascosta per il richiamo alle macchine elettriche, sia per il "timing" in cui certi eventi mi inducono a fissarli in un ricordo per comunicare sensazioni ed emozioni.
Non so se sia una buona idea o meno, e se riesco, almeno un po', nel mio intento, ma ci ho provato e continuo a provarci.
Ad ogni modo, a parte "le mie cose", diciamo così, sono apparsi alcuni racconti molto graditi, come quelli divertentissimi di
carlomariamanenti, o i pezzi ironici e spiritosissimi del nostro indimenticabile
Tardofreak o quelli tecnico-filosofici di
Kirkegaard, o quelli tecnico-sentimentali di
attilio, ma non solo di loro, i primi che mi sono venuti in mente, ma anche PietroBaima, GuidoB,
mir,
WALTERmwp,
6367,
Guerra,
sebago,
lillo,
clavicordo
...
Insomma con questa premessa ho voluto ricordare cosa vorrebbe essere anche, almeno dentro di me, ElectroYou: senz'altro un qualificato sito di riferimento nel campo elettrico, ma anche un piccolo social network in grado di ritagliarsi un minuscolo spazio tra i giganti del genere. Un social noto magari a pochi, ma, per quei pochi almeno, appagante per la sua capacità di generare e consolidare amicizie che vanno oltre l'interesse tecnico che li ha fatti incontrare nel mondo virtuale.
Ecco allora un nuovo pezzetto di "Diario asincrono" ( che qualcuno ha definito in un commento l'apoteosi di un egocentrico :-))
15 maggio 2017
Uno non se lo aspetta.
Almeno io, tanto più in un periodo in cui sembra che non ci sia niente per cui valga la pena impegnarsi, niente per cui valga la pena di essere soddisfatti, quasi nessuno in cui valga la pena di avere fiducia.
È con tale stato d'animo che in questo pomeriggio di maggio improvvisamente afoso, decido di uscire con la macchina con l'intenzione, tanto per fare qualcosa, di portarla da un gommista per controllare la pressione delle gomme.
Sono incerto perché il mio gommista è anche il meccanico e controllare la pressione può essergli solo di disturbo: deve interrompere il lavoro più importante e perdere cinque minuti.
Così chiedo a Marco se al lavaggio fai da te c'è anche il compressore per gonfiare le gomme.
Mi risponde di no e mi dice che forse al distributore nuovo, o meglio quello che hanno riaperto, sì c’è; e lì lavano anche le macchine.
Ci vado senza molta convinzione, ma durante il percorso penso che, già che ci sono, posso anche lavarla questa macchina.
Sarà un anno che non lo faccio ed è fuori per tutto il tempo dell’anno, nonostante abbia un garage che ne terrebbe due, con una porta a libro scomodissima da aprire, e costosa a suo tempo, e anche sbagliata pure dall’installatore; insomma uno dei tanti errori che si fanno quando ci si costruisce la casa.
Ma divago e non è questo il tema da trattare.
Arrivo al distributore e non vedo lavaggi in corso.
Gli spazzoloni rotanti del lavaggio automatico sono fermi, ma c’è un cartello con scritto “Lavaggio automobili interni ed esterni”.
Mi guardo intorno e non mi sembra di scorgere addetti, nessuno ha una divisa particolare, una tuta blu o gialla, che so, un berretto con la marca del carburante, insomma qualcosa che ti faccia pensare, “ecco, mi devo rivolgere a lui”.
Ai tavolini esterni del bar una ragazza sorseggia una bevanda ai frutti rossi; dentro una commessa curata tipo dark, occhialoni trasparenti e ciglia nerissime, come i lisci capelli, labbra rosse, piercing, camicetta di thule a pieghe svolazzante nera su jeans attillati, parla e ride con un cliente.
Nei pressi dell’ingresso al bar ci sono due personaggi che hanno l’aria di aver a che fare con bar e distributore.
Uno è robusto e serio, camicia a quadri azzurri, jeans mollicci e capelli lunghi brizzolati tirati in fronte e raccolti in un codino; l’altro, magrissimo, con camicia a quadri marroncino stinto, capelli tra il grigio topo ed il rossiccio, ciuffo al vento, ed uno straccio in mano.
Sorride mentre si muove snodato, un po’ a scatti.
Una strana coppia.
Chiedo se il lavaggio funziona.
Non so chi dei due prima, ma mi rispondono entrambi di sì ed il magro dinoccolato, che dimostra sui cinquant’anni, per la faccia rugosa ed abbronzata come quella di un marinaio, ( ma non so, ha un fare giocoso e potrebbe anche averne di meno), quasi si accende e mi chiede se voglio pulire l’automobile sia esternamente che internamente.
Si capisce che mi sta proponendo entrambe le pulizie ed io non ho nulla in contrario. Sarebbe ora che lo facessi. E’ un lavoro per me odioso, pur riconoscendolo necessario ed ammirando chi lo fa.
Dico di sì.
Chiedo quando può iniziare ed il magretto mi dice: “Anche subito!”
Chiedo anche per quanto tempo devo lasciare la macchina, e mi dice almeno tre quarti d’ora per un lavoro ben fatto, dentro e fuori.
L’altro, il serio con il codino ed i tatuaggi sulle braccia, aggiunge: “anche un’ora”, con l’aria di chi sa come stanno le cose, facendo quasi capire di tralasciare l’aggettivo abbondante. Si capisce che è lui il capo ed anche che considera l’esile che lo affianca un po’ particolare.
Per me, in modo diverso, lo sono entrambi e rapidamente mi chiedo se questa volta il distributore avrà trovato gestori che durano nel tempo.
Dico anche, a chi capisco sarà il lavatore, se poi mi controlla la pressione delle gomme. Mi risponde: “Ma certo!” e tralasciando di sicuro “quello si fa in un attimo”.
Chiedo al capo quanto costa il lavaggio completo e mi fa con un po’ di noncuranza: ”Venti euro”, quasi temesse di averla sparata grossa.
Non sono pochissimi, ma c’è il lavoro di tre quarti d’ora in fondo.
L’ultima volta che l’ho fatta lavare non l’hanno pulita dentro, non avevano tempo, l’hanno lavata con gli spazzoloni, e nei bordi nascosti lo sporco rimane, e mi pare di aver speso una decina di euro.
Guardo nel portafoglio se ho i venti euro; il capo crede che voglia pagare in anticipo e mi dice che lo farò a lavoro finito.
“Va bene” dico, “allora lascio qui la macchina. Faccio un giro poi torno a prenderla”.
Penso che ci sia qualche altra macchina da finire, ma evidentemente no, perché ciuffo svolazzante grigio dice “cominciamo subito”.
E si vede che quasi non vedeva l’ora.
Porta l’auto vicino agli spazzoloni, penso li avvii, ma invece si ferma di lato ed attiva la lancia dello spruzzatore manuale, con una lena sorprendente, gioiosa, mentre le fini e fittissime e veloci goccioline cominciano a spingere via lo sporco dalla carrozzeria.
Potrei sedermi al bar, aspettare e guardare, ma mi sembra di dimostrare poca fiducia dopo che il capo mi ha detto: “Può tornare fra tre quarti d’ora”…”anche un’ora”, aggiunge quasi subito, facendomi capire che lui conosce bene il suo dipendente.
Ma sì, penso.
Nel portafoglio ho trenta euro, vado al bancomat in piazza, faccio un prelievo e torno.
Mi ci vorrà mezz’ora e magari quando arrivo la macchina è già pronta.
Il sole è abbastanza impetuoso in questo strano maggio. Faccio la mia camminata e dopo mezz’ora circa sono di ritorno, ben accaldato.
Ora la macchina non è più vicina agli spazzoloni, ma poco oltre l’entrata del bar.
La vedo già abbastanza lucida.
Le quattro portiere sono però tutte aperte, come lo sportellone dietro.
L’addetto le sta girando intorno.
Si ferma per un attimo in più punti del tragitto circolare ed osserva la macchina inclinando la testa, direi anche socchiudendo gli occhi come se prendesse la mira.
Scruta il lavoro, quasi finito, penso io.
Sembra un sarto che guarda come sta il vestito del suo cliente, o un artista che osserva da più angolazioni l’opera che sta prendendo forma.
Tra le mani tiene una straccio di pelle di daino per nulla nuovo che non mi dà molta fiducia, ma potrebbe essere perché lo vedo un po’ in controluce.
Dopo qualche indecisione decido di fermarmi nel bar ad aspettare.
E ad osservare meglio il lavoro.
Penso che mancheranno una decina di minuti: sono le 15:40 e quando ciuffo grigio ha iniziato a danzarle intorno erano poco più delle quindici.
La barista dark non si affretta a chiedermi se voglio qualcosa, impegnata dietro il bancone a ridere e chiacchierare con il cliente che le fa qualche battuta che provo ad immaginare, ma che in realtà non so riferire.
L’ometto lavatore intanto appoggia la pelle di daino sul tettuccio della macchina, quindi lo ritira, si allontana un po’, piega lo straccio in due, l’attorciglia con energia per espellere l’acqua che contiene.
Tutta.
Si riavvicina alla macchina e ripete l’operazione più volte sempre con lo stesso interesse, la stessa cura, la medesima energia, nonostante l’aspetto poco promettente dello straccio.
Il suo lavorare mi sta coinvolgendo e quasi non mi accorgo che la barista dark mi sta chiedendo se desidero qualcosa.
Prendo un crodino, che mi porta con il ghiaccio, che io levo quasi sempre da quando nella trasmissione "dimartedì" di Giovanni Floris hanno detto che milioni di microbi o chissà quali e quanti altri invisibili e malevoli animaletti ci sono proprio nei cubetti di ghiaccio. C’è da dire che hanno prodotto una serie di questi consigli per parecchie settimane di seguito che, ad ascoltarle tutte, non si ha più il coraggio di mangiare o bere o anche toccare nulla.
Dopo questa divagazione, che faccio mentre getto il cilindretto di ghiaccio in una delle fioriere, torno a sedermi su quelle specie di sedie alte che ora vanno di moda forse per tenere i vecchi lontano da certi bar.
Sento la necessità di osservare bene il lavaggio in corso.
Forse ha quasi finito, penso mentre sorseggio il crodino.
Mi sbaglio.
Ha solo finito, o quasi, di asciugare la carrozzeria esterna.
Ora tocca all’interno.
Innanzitutto lo libera giustamente di tutte le cianfrusaglie che la mia pigrizia permette che si accumulino.
Tre bottiglie di plastica, sportine varie, giornali, cavi, cavetti, ombrelli, due addirittura (ecco perché non li trovavo più).
Si è accorto che lo sto osservando e da lontano mi mostra gli oggetti chiedendomi se li deve tenere o buttare nel bidone dell’immondizia.
Quello che non gli dico di buttare via, lo mette sulla finestra dell’ufficio del capo.
Poi tocca ai tappetini.
Quindi, con un leggera corsetta, si avvicina al tubo del bidone aspirapolvere, lo afferra, e punta la bocca aspirante all’interno dell’abitacolo.
Avvicina il bidone ed ne accende il motore.
Si piega, si china, si contorce per infilare la bocca aspirante in ogni angolo. Davanti, dietro, nel portabagagli.
I tre quarti d’ora sono già trascorsi, anzi sono le quattro; è già un’ora che sta pulendo.
Bevo l’ultimo sorso di crodino che comincia a diventare caldo.
L’ometto lavatore ora passa l’aspirapolvere sui tappetini che, da grigi che erano, riprendono il loro nero originale.
Pulisce per bene i loro bordi con la pelle di daino.
Pulisce anche i bordi del buco formatosi nel tappetino lato guida.
Ora ha finito, penso.
E invece no.
Appoggiati al suolo ci sono contenitori di plastica con vari prodotti, due secchi d’acqua e vedo che le pelli di daino che usa sono due.
Torna dentro l’abitacolo e spruzza sul cruscotto, sui bordi dei sedile, sulle varie scanalature che nessuno ha mai pulito, un prodotto apposito.
Poi inizia a sfregare e sfregare, asciugare col panno, strizzare.
Entra nell'abitacolo, esce, saltella.
Fischietta.
Niente, si diverte.
Direi perfino che danza come un ballerino impegnato in una articolata coreografia.
Sta avvicinandosi al finale in un crescendo vorticoso.
Ed io sono lo spettatore incantato da una scena inaspettata.
Alle 16:30 ed oltre lo spettacolo si conclude.
L’ometto magrolino mi fa un cenno che è pronta.
Ha impiegato esattamente il doppio di quanto annunciatomi.
Forse ora mi chiederanno più di venti euro, penso.
“Dove pago?” chiedo al capo, lì vicino e sempre serio, quasi un po’ imbronciato, nonostante codino e tatuaggi.
“Alla cassa del bar”, mi dice accompagnandomi.
“Venti euro per il lavaggio”, precisa alla barista dark.
“Più il crodino”, dico io.
Esco e mi avvicino alla macchina.
La vernice così lucida non l’ho mai vista.
Nell’interno non c’è un granello di polvere nemmeno forse a cercarlo con la lente.
Le scanalature, che ad ogni lavaggio rimanevano comunque sempre sporche, sono pure lucide.
La macchina sembra nuova.
L’ometto lavatore è lì vicino che la guarda soddisfatto.
Io gli dico: “È venuta proprio bene. Credo che non sia mai stata così pulita”
Gli faccio i complimenti e lui mi dice:
“Si ci ho messo un po’ di più, ma è il tempo che ci vuole per un lavoro fatto bene”
Il padrone sempre un po’ imbronciato mi guarda e lo guarda.
Non ha l’aria allegra del suo dipendente.
Ai complimenti che rinnovo anche a lui, più che sorridere, reagisce con una smorfia che sembra voler dire: “So bene come è fatto questo qui. Va matto per pulire le automobili. Sembra godere mentre lo fa, ed impiega sempre più tempo di quanto dovrebbe. Ma non riesce a lasciare nemmeno un centimetro quadrato di sporco, nemmeno se è nel posto più inaccessibile e nascosto. Sarebbe meglio che dimezzasse i tempi e raddoppiasse i lavaggi”
Ma non dice nulla di tutto questo. Sono io che immagino.
Del resto non vedevo altre macchine in attesa.
Molti vanno ai lavaggi fai da te. Si vede che è divertente lavare le macchine. Ma probabilmente, pur nella sua imbronciatura, anche lui ammira quel lavoratore che in fondo non chiede nulla, ma quasi solo di poter pulire.
Non so quanta parte dei venti euro riceverà. Ma non sembra il motivo per cui lava le auto.
Salgo in macchina, me la guardo pulitissima, lo saluto di nuovo e gli dico: “Ora so dove devo venire per una buona pulizia. Bravo!”
Ah, dimenticavo: mi ha pure controllato la pressione delle gomme e ripristinato le 2,2 atmosfere per quelle davanti, 2 quelle dietro.
Mentre mi allontano mi dico che basta poco per essere felici.
Anche un paio di vecchi stracci di pelle di daino, un paio di secchi d’acqua, una lancia per spruzzarla, tanti bei prodotti di pulizia in fila sull’asfalto, una bella giornata di sole, e niente a cui pensare, ma solo una macchina cui ridonare lo splendore originario.
Non so se quella sia felicità o serenità, certo che da quell’ometto lavatore sembra arrivare un messaggio di come affrontare la vita.
Come detto, non me l’aspettavo proprio; non credevo che portare a pulire la macchina mi avrebbe insegnato a dimenticare certi fastidi della vita ed a ricordare che tutto deve essere affrontato sì con serietà, ma con leggerezza ed un po’ più di gioia, come quella trasmessami dall’ometto lavatore.